Spettacoli

Storia di Max e Martin

Per la Giornata della memoria, a Lugano e Bellinzona arriva ‘Destinatario sconosciuto’ di Rosario Tedesco, lo abbiamo intervistato

Tedesco e Bortolotti
26 gennaio 2019
|

Max e Martin. Due soci in affari, due amici che il destino porta uno negli Stati Uniti, l’altro in Germania. La distanza non scalfisce la profonda amicizia tra i due che colmano la lontananza scrivendosi molte lettere. Nelle quali, a un certo punto, Martin racconta di un carismatico uomo politico che sembra in grado di ridare speranza alla Germania. Certo, c’è una certa ostilità verso gli ebrei, alcuni vengono picchiati, le loro attività commerciali boicottate, ma Max non deve preoccuparsi: un incidente, le cose importanti sono altre. E l’amicizia tra i due, tra Martin il cristiano e Max l’ebreo, va oltre queste cose. Oltre, ma certo l’amico non può pretendere che Martin possa aiutare la sorella di Max, non può esporsi così, e poi se le autorità hanno preso Griselle, la colpa è anche sua: è ebrea, doveva mantenere un profilo più basso. Sono 19, le lettere che Max e Martin si scambiano. E che compongono il romanzo epistolare ‘Destinatario sconosciuto’ di Katherine Kressmann Taylor che l’attore e regista Rosario Tedesco porta in scena domenica alle 17.30 all’Auditorio della Rsi di Lugano (in collaborazione tra LuganoInScena, Associazione Svizzera-Israele, Cantone Ticino e Rsi che trasmetterà lo spettacolo in diretta su Rete Due) e poi lunedì e martedì alle 18.30 e alle 20.45 e mercoledì alle 20.45 a Villa dei Cedri a Bellinzona, nella stagione del Teatro Sociale.

Rosario Tedesco, qualche anno fa era già venuto a Bellinzona con ‘Il vicario,’ spettacolo sul silenzio di Pio XII sulla Shoah. Torniamo a quel tragico momento della storia, ma un po’ prima e da un punto di vista più personale, di comuni cittadini come potremmo essere noi… Sì, potremmo essere noi. E potrebbe essere oggi… Questa per me è la storia di un’amicizia e una domanda portante del testo è, in fondo, che cosa è l’amicizia, che cosa sei disposto a sacrificare per l’amicizia. O se c’è qualcosa che ti farà sacrificare l’amicizia. I due sono mercanti d’arte, il che nel finale si rivelerà un dato chiave – perché è grazie all’arte che ci sarà il colpo di scena finale…

Ma, senza dir troppo sul finale, che cosa l’ha colpita del romanzo? La vertigine. Sono lettere brevissime e in poche pagine si scopre non solo la storia privata dei due amici, ma anche la grande storia che sta sullo sfondo: la nascita del nazismo, come dicevamo, ma soprattutto quello spostarsi quasi immediato dell’opinione pubblica, dell’uomo della strada a favore della dittatura. Mi pare che il testo risponda alla domanda che in fondo ci poniamo tutti: come è stato possibile? Anche perché il testo è stato scritto da una ragazza del 1938: se una ragazza degli Stati Uniti riesce ad avere, nel 1938, questa lucidità di visione e di analisi, non ci si può nascondere dietro la retorica del “nessuno sapeva niente”.

‘Nessuno sapeva niente’: si riferisce solo all’Europa degli anni Trenta o anche all’Europa di oggi? A tutte e due. Ed è uno dei tratti che più ho voluto sottolineare con questo adattamento: nel testo originale ogni lettera si apre, come si fa con tutte le lettere, dai nomi di mittente, destinatario e dalla data. E studiando il testo, ho scoperto che le date si riferivano sempre a eventi importanti come il rogo dei libri o la nomina di Hitler a cancelliere. Le date non sono a caso, ma scandiscono il progressivo crollare della libertà. Tuttavia mi sono reso conto che se togli completamente queste date, a scrivere quelle cose potrebbe essere l’uomo della strada di oggi…

Come fosse scritto oggi. Sono due anni che io e Nicola Bortolotti – che oltre a essere in scena con me è anche produttore dello spettacolo – portiamo in giro ‘Destinatario sconosciuto’, e gli eventi di questi mesi è come se stessero facendo da nostro ufficio stampa… hanno reso straordinariamente attuali questi due personaggi: il giovane imprenditore che passa all’estrema destra e il giovane ebreo che, lontano dagli avvenimenti, mantiene la sua lucidità e la sua moralità. Anche se entrambi sono responsabili di quanto accade, perché il tema “se non lo faccio io lo farà qualcun altro” appartiene un po’ a entrambi, sono i due lati della stessa medaglia.

Uno spettacolo teatrale che però non frequenta necessariamente i teatri: qui in Ticino saremo agli studi radio e in un museo… Non è una storia che potevamo raccontare da soli: c’è bisogno di un pezzo della città che ci ospita. E ho pensato di coinvolgere, di volta in volta, istituzioni culturali rappresentative: mi è capitato, a Bologna, di lavorare con il Museo ebraico, il Goethe-Zentrum, il liceo musicale, o a Torino con la comunità ebraica… A Bellinzona, il Teatro Sociale ci ha indicato la Villa dei Cedri che perfettamente si presta alla nostra storia. La presenza della città sul palco è data dal coro. A Bellinzona avremo il coro della Turrita e quello del Moesano, preparati – ci tengo che venga citata – da Daniela Beltraminelli. A Lugano invece con Carmelo Rifici, direttore di LuganoInScena, abbiamo collaborato con l’associazione Svizzera-Israele e con il coro del Conservatorio.

Cori, quindi con che musiche? Ho scelto tre brani musicali che raccontano la storia della Germania, un intervento originale perché nel testo non sono citate musiche, ma penso che fossero a loro modo implicite. Il primo è un canone – scurrile, divertente, goliardico – di Mozart che rende conto dell’Europa spensierata e carnevalesca. Poi un brano sulla Germania in piena dittatura: Hindemith, un compositore tedesco definito “musica degenerata” perché la moglie era ebrea. E infine, un brano che con un salto temporale ci porta già ad Auschwitz: una ninna nanna, composta da una poetessa cecoslovacca, ebrea, Ilse Weber, che volontaria accompagna ad Auschwitz dei bambini, incluso suo figlio. “C’è un grande silenzio, è tutto buio intorno a noi, dormi bimbo mio, dormi”. E qui, in genere, il coro scende dal palco: un’azione semplicissima – e tragica, nel senso greco del termine.

Due anni di rappresentazione: funziona, il teatro riesce a coinvolgere? Sono fermamente convinto di questo. Non soltanto perché in questo caso il coinvolgimento è diretto, ma anche perché credo che abbiamo scelto la storia giusta, che fa subito capire che stiamo parlando dell’oggi.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE