Spettacoli

Beppe Grillo: esportare la scemocrazia

A Locarno, in un Fevi semivuoto, 'Insomnia' riciccia un predicozzo messianico. Ma è difficile essere al contempo buffone e tiranno.

Una questione di bassoventre (foto: L. Zambelli)
21 ottobre 2018
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È stanco, Beppe Grillo. Sarà l’insonnia che dà il titolo allo spettacolo, saranno gli “gnocchi alla ticinese” che gli sono “rimasti qui” perché “i giornalisti” lo spiavano, “aspettando una frase” fuori posto (ero seduto dietro di lui, ma francamente aspettavo solo la mia birra, maledicendo gli dèi e il fato: nel frattempo c’erano un bellissimo spettacolo di clown a Verscio e Pirandello al Lac; e io qua come un pistola, con le tovaglie a scacchi e la pasta scotta). Non aiuta neanche l’indicibile squallore del Palazzetto Fevi di Locarno, peraltro mezzo vuoto. E poi è oggettivamente difficile fare il buffone di corte, quando sei il papà dell’imperatore in carica.

Fatto sta che la consueta combinazione di indignazione e visioni distopiche fatica a generare ilarità. Una brandina da ospedale sul palco, lui che entra direttamente sul parterre, camicia nera fuori dai calzoni (cosa direbbe Freud?). Accarezza le teste degli spettatori come un messia. Parte la prevedibile introduzione elvetica: una battuta rubata a Orson Welles e Graham Greene, quella sugli italiani che sotto i Borgia hanno “prodotto Michelangelo e Leonardo”, mentre gli elvetici in cinquecento anni di pace e democrazia avrebbero tirato fuori solo “l’orologio a cucù”. Che poi sarebbe un ordigno nato nella Foresta Nera, a guardare bene, ma vabbè. Tanto non sarà l’unica bischerata (pardon: fake news) che ci toccherà sentire. Dopo l’ulteriore, ritrita freddura sugli svizzeri che “si alzano presto, ma si svegliano tardi”, ci si deve smazzare la filosofia che il Beppe legge quando non riesce a dormire. L’ebreo Wittgenstein, secondo lui, passava gli intervalli alla Realschule di Linz a spiegare a Hitler: “’i miei genitori son delle merde’. E Hitler lo denunciava al professore”. Una balla che gira da un pezzo, sennonché i due stavano a due anni di distanza e non c’è nessuna prova dei loro scambi. Al limite riesce più carina la parte su Kant, il cui imperativo categorico “è un po’ come le frasi che leggi sui gabinetti delle stazioni: lascia questo posto come vorresti ritrovarlo”.

Un Leitmotiv diventa poi il superamento del cervello come luogo decisivo del nostro agire. Perché la serotonina nasce più in basso, e quindi ci vuole la “psichiatria intestinale” (non lo dice: lo urla. Urla tantissimo, urla in ogni momento questo tizio qua, e io mi insulto da solo per avere lasciato a casa l’Algifor.) D’altronde per lui sono tutte questioni di bassoventre, le scelte: “Lo vedi dalla faccia se un deputato lo puoi votare”. Ormai Lombroso è come il nero e lo spread: va su tutto.

Quanto alle avventure politiche, “mai avrei pensato di diventare un leader. Io scherzavo!” Risatona dal pubblico. A me, pensando al patto di sangue coi diabolici Casaleggio e a come butta in Italia, parte un sonoro “ma cosa ridete?”. Il mio vicino di posto, uno con dei deltoidi che scoraggiano di brutto il dialogo socratico, mi guarda malissimo. Taccio.

A quel punto il mal di testa è su Marte, il mio unico pensiero è “mamma, mi porti a casa?”. Ma la mamma non c’è e al suo posto mi becco il pippone sulle nuove tecnologie. In un unico respiro il profeta frulla la blockchain, il crowdfunding, l’hyperloop, la scuola che non prepara ai nuovi lavori. Seguono gomitate ai vegani, all’“alcolizzato” Juncker, frasi come “ha fatto più la Ryanair che tutta l’Europa messa insieme” e “ognuno ha gli immigrati che si merita”, una geremiade sul fatto che una volta a dire come comportarci era la Bibbia, oggi è il “datismo”, la dittatura dei dati. Una supercazzola immonda. Finisce con una critica al sistema carcerario che condivido appieno, non fosse che ‘sto megalomane la guarnisce con un “non vedo l’ora di essere arrestato” che nemmeno Silvio Pellico. D’altronde capita così, a quelli che “abbiamo fatto una rivoluzione antropologica, non politica, abbiamo cambiato le persone”. Allungatemi ‘sto Algifor, per pietà.

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