Spettacoli

Che leggenda

Rileggendo ‘Una vita in rivolta’, storia illustrata che racconta da vicino la biografia di Ernesto Che Guevara

25 agosto 2018
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In poco più di cinquant’anni, non si può scrivere che la sua figura non sia stata raccontata in lungo e in largo, con mezzi diversi. Ernesto Guevara, El Che (14 giugno 1928 - 9 ottobre 1967), è senza dubbio una di quelle personalità eroiche entrate nell’empireo delle icone, più forti del tempo e della sua storia. Chi non si è mai imbattuto, ad esempio, nella celebre fotografia scattata dal cubano Alberto Korda, soggetto e oggetto di stampe (dai poster alle magliette), che ritrae l’“heroico guerrillero”? Oppure quella del ‘nostro’ René Burri che lo ha ritratto con il Montecristo n. 4, il suo preferito, fra le labbra con occhi scuri e penetranti?

È fuor di discussione negare che la figura del rivoluzionario e guerrigliero argentino (nonché medico e scrittore), trucidato a La Higuera in Bolivia, non sia abusata e perciò potrebbe parere superfluo e un po’ anacronistico scriverne ancora.

Il fascino della graphic novel d’epoca dalla vicenda epica

Ma qui non si fa la storia e nemmeno si ha la supponenza di raccontarla. Quanto piuttosto buttare un occhio – anzi, anche due – sul fumetto “Che - Una vita in rivolta”, edito da Rizzoli (2017). La graphic novel ha il sapore della leggenda (fra l’altro, la copertina si ispira al ritratto di Korda) ed è raccontata da tre autori del fumetto mondiale: la penna di Héctor Oesterheld (geologo argentino diventato autore di fumetti) e le matite di Alberto Breccia ed Enrique Breccia, padre e figlio, anche loro dello Stato latinoamericano.

Pubblicato per la prima volta in Argentina nel 1968, una delle ragioni d’interesse per il fumetto è la storia della pubblicazione stessa: una narrazione d’epoca – che testimonia quanto il guerrigliero fosse diventato, ancora in vita, una figura eroica – che è stata messa al bando alla fine degli anni Sessanta. “Le storie che circondano questo libro – scrive l’illustratore Enrique nell’introduzione all’edizione italiana – sono affascinanti: molte di queste fu mio padre ad alimentarle, ma sono vere solo in parte”. L’illustratore racconta che “Che” (il fumetto) è stato osteggiato e messo all’indice dalle dittature militari argentine (da quella di Ongania a quella di Videla), Enrique aggiunge che non sono stati né lui né suo padre a dare alle fiamme le tavole originali per paura di ripercussioni. I responsabili della loro distruzione furono i militari, che le sequestrarono all’editore, mentre le copie rimaste furono mandate al macero. Le affabulazioni sulla scomparsa dell’opera raccontano anche di una copia seppellita in giardino da Alberto Breccia che, vent’anni dopo, l’avrebbe disseppellita per consegnarla a un editore spagnolo (la prima edizione in Spagna risale al 1987). Fatti smentiti nell’introduzione: “Il libro aveva venduto molte copie, ed è molto probabile che una di quelle sia arrivata in Spagna”, scrive ancora Enrique nel 2017.

Il libro, anche a seguito delle vicende che hanno colpito i suoi autori (Héctor Oesterheld, a causa del suo impegno politico, è finito nella lunga lista dei ‘desaparecidos’), diventa oggetto di culto, prezioso e introvabile, fino alla sua ricomparsa in Spagna, alla fine degli anni Ottanta.

Una biografia di culto

È un volume con fisicità importante quello edito da Rizzoli con oltre centotrenta pagine spesse e odorose che tracciano – con parole e disegni – la biografia di Ernesto Guevara, che ha nei suoi diari un punto di ispirazione.

La cronistoria inizia con una prolessi che anticipa alcune scene boliviane per poi tornare e ripartire dall’infanzia e, crescendo, alla gioventù e alla ‘nascita’ di El Che. Alcune pagine sono dedicate alla lotta nella Sierra Maestra per continuare con l’ultima battaglia del Che a El Yuro e infine la capitolazione a La Higuera. Il volume propone anche un’interessante appendice con la presentazione degli autori e uno scritto del traduttore, nonché autore Boris Battaglia.

E infine, una postilla sulla resa grafica del libro. Le tavole di Alberto ed Enrique Breccia sono drammatiche: il segno di entrambi è secco, a tratti sommario, reso ancora più ‘angosciato’ dall’assenza di colore. L’unico tono che esplode in alcune pagine è un rosso corposo e violento. Il rosso del sangue e della rivoluzione.

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