Spettacoli

Dopo 20 anni Terence Hill torna al western

'Il mio nome è Thomas' è dedicato all'indimenticato amico Bud Spencer. Non mancheranno scazzottate e padellate. Un'Harley al posto del cavallo

13 aprile 2018
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Parla di epicità, fuori dalle regole, semplicità, ma l’incubo più ricorrente che lo assale quando è sul set "è quello di aver dimenticato il copione, o di aver perso la borsa che lo conteneva". Terence Hill, al secolo Mario Girotti, a 79 anni torna al cinema, dopo 20 anni, con un film "Il mio nome è Thomas" che lo vede regista e protagonista. In sala dal 19 aprile, il film ha nel cast anche Veronica Bitto, Guia Jelo e Andy Luotto. È prodotto da Jess Hill (figlio di Terence Hill) per Paloma 4 ed è distribuito da Lux Vide. Storia on the road fra Italia e Spagna che richiama le atmosfere western, genere per il quale è diventato un volto iconico grazie a titoli come “Il mio nome è Nessuno”, “I quattro dell’Ave Maria” e “Lo chiamavano Trinità”, uno dei molti film interpretati in coppia con l’amico Bud Spencer. E proprio a lui Terence Hill dedica questo suo nuovo lungometraggio girato in parte nel deserto dell’Almeria.

"È ambientato ai giorni nostri ma ci sono delle evidenti citazioni come la scazzottata, le padellate. Più di me la protagonista è la ragazza, Veronica Bitto, che per me è bravissima. Il mio personaggio è in sella non a un cavallo ma questa volta alla sua Harley Davidson. Vuole affrontare un viaggio solitario verso il deserto dell’Almeria. Solitario si fa per dire: Lucia, ragazza vulcanica e problematica, entra prepotentemente nella mia vita. Dopo averla difesa dall’aggressione di due delinquenti, stringiamo una tenera amicizia".

Finalmente una donna accanto a Terence Hill? – "È vero. Ci sono tanti tipi di attori, io non ho la certezza che in ruoli opposti da quelli cui ormai il pubblico è abituato, riscontrerei lo stesso gradimento. Magari è una mia semplice fissazione". Nel titolo ’Il Mio Nome è Thomas’ ricorda 'Il mio nome è Nessuno', in cui un giovane Terence Hill aveva recitato a fianco di Henry Fonda con la produzione di Sergio Leone. Un omaggio? "In verità doveva chiamarsi in un altro modo ('Io viaggio da solo') ma era troppo lungo. Detto questo ci tengo a dire che Leone in quel film mi ha insegnato i fondamentali. Ha svelato anche il suo lato umano, si è commosso in una scena al mixaggio del mucchio selvaggio con Henry Fonda – mi teneva spesso al suo fianco – quando finalmente l’ha vista come doveva essere, nel modo giusto. Mi disse ’guarda questo è il west’. Inoltre mi ha fatto comprendere l’importanza della musica. Leone resta nella storia del cinema in generale a prescindere dal genere".

10 anni di maturazione

"Ho pensato a questo film 10 anni", aggiunge. "La storia solo in parte mi è stata ispirata dalla lettura di un libro, che 20 anni fa in America mi aveva passato mia moglie, scritto da Carlo Carretto (1910-1988, già dirigente di Azione cattolica, poi religioso dei Piccoli fratelli del vangelo coscienza critica e guida di una generazione, monaco che nel ’54 si ritirò nel Sahara dove visse dieci anni ritmati da silenzio e lavoro). Il volume viene mostrato nel film in una delle sue prime edizioni che si apre con Terence Hill sonnecchiante su una sedia da barbiere, mentre un gatto gli passa sotto e un’aquila lo sorvola. Quando si sveglia eccolo subito accendere una roboante Harley Davidson dopo aver detto: ’Vado in Spagna per rileggere questo libro nel deserto...’". In fondo anche Don Matteo, giunto all’undicesima stagione che sta per concludersi, "è un cowboy di cui non conosciamo il passato come 'Il mio nome è Nessuno' (che era un personaggio ispirato inizialmente a Ulisse)".

Per Terence, Trinità "fu una rivoluzione. Allora il genere western aveva stufato il pubblico. Io e Bud abbiamo aiutato a trovare i produttori. Con quel film, tra l’altro, ho scoperto anche il mio lato ironico, che non sapevo di avere. Più dietro alla cinepresa in verità che nella vita devo dire. Leggerezza come lo è stato Don Matteo, anche se in questo ultimo caso nessuno conosce il vero miracolo del successo di ascolti". Però Il mio nome è Thomas non lo voleva produrre nessuno. "Ci ho messo dentro un bel po’ dei nostri soldi chiedendo un prestito negli Stati Uniti". Terence Hill ha vissuto per 30 anni, racconta, in "un paese Massachusetts dove c’erano più tacchini che cittadini. Poi da qualche anno vivo in Umbria dove ho preso casa e ogni tanto vengo a Roma". Terence confessa infine: "Il mio sogno sarebbe che la gente uscendo dal cinema non commentasse la regia, gli interpreti, la scenografia... ma si facesse una sola domanda.Ti è piaciuto?”.

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