Spettacoli

Cronache critiche da una 68esima Berlinale senza giuria

Un'edizione strana e fiacca, seguita da giudici insipienti. Orso d'Oro alla rumena Pintilie con la sua opera prima 'Touch Me Not'. Trionfo per il cinema svizzero.

La regista 'd'oro' Pintilie con il produttore Philippe Avril e l'attore Tomas Lemarquis (foto: Keystone)
26 febbraio 2018
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Apriamo questo articolo sulla Berlinale numero 68, appena conclusasi, con l’Orso d’Oro a un film, “Touch Me Not”, opera prima di Adina Pintilie, film rumeno, coprodotto dalla Germania, che alla proiezione stampa è stato abbandonato da più di metà sala, e giudicato dai più “osceno”, con una notizia importante: il trionfo del cinema svizzero!
Il Crystal Bear for the Best Film a “Fortuna” di Germinal Roaux, un film dolorosissimo su una giovane immigrata etiope finita ai piedi del Sempione, film girato in un bello e intenso bianco e nero, che ha convinto per il suo linguaggio e la sua intensità la giuria giovane della sezione 14plus, una delle più seguite alla Berlinale.
Importante è anche il Silver Bear Jury Prize (Short Film) a “Imfura” di Samuel Ishimwe, studente della scuola di Cinema di Ginevra. Il film ci riporta alla base del movimento dei migranti, i conflitti. Il giovane regista torna in Ruanda dopo quel massacro che ha turbato persino un mondo sempre meno attento a quello che accade fuori dalle proprie mura domestiche.
Pensando agli applausi all’altro film svizzero “Eldorado” di Markus Imhoof – premiato con una menzione speciale dell’Amnesty International Film Prize, lavoro sulla questione dell’accoglienza dei migranti declinata al passato prossimo delle migrazioni interne all’Europa – si deve dire che la Svizzera ha dato grande lezione di cinema e civiltà a questa strana e fiacca edizione della Berlinale.

Criticità della manifestazione

Un’edizione in cui sono emersi potenti i problemi interni che vedono una fronda sempre più forte contro Dieter Kosslick, direttore dal 2001. Una manifestazione che in numeri vuol dire più di 340mila spettatori, più di 20mila professionisti provenienti da 127 nazioni, 3’700 giornalisti e un mercato in crescita esponenziale. Se questi numeri sono merito indubbio di Kosslick, egli è accusato di mancanza di qualità e poca influenza come direttore artistico.
Infatti, il Concorso di quest’anno ha mostrato i suoi limiti, aggravati da una scelta di giuria di basso livello: eccetto il musicista Ryūichi Sakamoto, il resto, a cominciare dal suo presidente il regista e musicista tedesco Tom Tykwer.
Una giuria di fatto inesistente che ha premiato con l’Orso d’oro “Touch Me Not”, che un po’ tedesco lo è, e che accontenta anche il gusto di altri giurati che come la regista Pintilie sono attivi come direttori di festival. Quello che non abbiamo accettato del film vincitore è la superficialità voyeuristica con cui si presentano atti sessuali di handicappati, travestiti eccetera. Non è una questione solo morale è anche segno di una marcata incapacità narrativa.
Il gran Premio della Giuria è andato a “Twarz” di Małgorzata Szumowska, un film dal vecchio sapore televisivo che affronta il tema importante dell’identità, ma con il freno tirato per paura di perdere i finanziamenti.
Un discorso a parte merita il Silver Bear Alfred Bauer Prize per il film che apre nuove prospettive: “Las herederas”, un’altra opera prima, coprodotta dalla Germania e firmata dal paraguaiano Marcelo Martinessi. Un bel film, linguisticamente corretto e ben contenuto, che percorre bene le vecchie strade! Se un premio doveva avere era l’Orso d’oro, non è un caso infatti che porti a casa, fra gli altri, anche l’Orso per la miglior attrice, la brava Ana Brun.
Il Premio per il miglior regista a Wes Anderson con il suo “Isle of Dogs”, portando così un altro alloro alla Germania, che lo ha prodotto. Miglior attore è stato riconosciuto il giovane Anthony Bajon per “La prière”, di Cédric Kahn; anche se questo premio sarebbe dovuto andare a Milan Marić, straordinario in “Dovlatov” di Alexey German Jr., il film favorito dalla critica, insieme a “Season of the Devil” di Lav Diaz, che una giuria come questa non poteva capire. Il russo si è dovuto accontentare di un premio per i costumi, come se si premiasse un libro di poesia per la copertina!
E ora questa Berlinale, che ha ricordato la cinematografia di Weimar e quella del ’68, va in archivio e gli orsi tornano in letargo aspettando la Berlinale numero 69.

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