Spettacoli

Trent'anni dopo, Jovanotti riparte da Milano

Jovanotti ha aperto ieri il tour che il 30 giugno lo porterà a Lugano. Uno show “mai visto” dedicato alla “forza dell'immaginazione”

13 febbraio 2018
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Un Martedì Grasso e un San Valentino, «uno spettacolo oltraggioso nel suo voler essere divertente e colorato» con in testa un Don Chisciotte del pop. Lunedì al Forum di Assago Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti ha aperto così le sue 12 serate milanesi, che lanciano le 60 tappe di Lorenzo Live 2018 (il 30 giugno a Lugano). Il palazzetto, gremito, ha l’aspetto di una sala da ballo grazie ai 13 lampadari appesi, e ad aprirvi le danze è un’animazione del fumettista Manuele Fior con Don Chisciotte.

Il cavaliere di Cervantes è filo conduttore di due ore e mezza di show, nonché alter-ego di Jovanotti: «L’idea è venuta quando ho scoperto che Don Chisciotte aveva 51 anni come me – dice a fine concerto –. Questo è il tentativo folle di opporsi alla cupezza con il romanticismo, è la forza dell’immaginazione, la necessità di staccare, sentirsi vivi, celebrare». Una festa anche personale: «Per la prima volta il mio tour parte da Milano: proprio qui trent’anni fa facevo il mio debutto dal vivo, al Rolling Stone, con un giradischi e quattro basi».

Così, la scaletta è una celebrazione, ma attuale: venti grandi hit dialogano con otto brani dall’ultimo disco ‘Oh, vita!’, che sul palco trovano più densità e ricchezza rispetto alle produzioni di Rick Rubin. Il passo è da subito incalzante, con ‘Ti porto via con me’, che lancia i presenti in un evento spettacolare ma anzitutto musicale. Con inserti surreali, tre cineprese ed effetti speciali, il racconto visivo sul maxischermo è di impatto cinematografico, fuori dal ritmo ripetitivo di brano-visual nelle intenzioni dell’artista.

Ma il groove sta al centro di quello che, più che nei precedenti tour, è prima di tutto un vero e proprio concerto: per questo spiccano le prove dei fiati, come il trombone di Gianluca Petrella. Non classicamente suonato, uno dei momenti memorabili è però quando, dopo alcune ballad, Jovanotti rappando ‘Fame’ sale su una console sopraelevata per 10 minuti di dj-set: qui, suonando basi e sampler, canta versi di ‘Non m’annoio’, ‘Una tribù che balla’ e ‘Tanto’, per chiudere con la Traviata un segmento tra i più acclamati. La seconda metà è infine un crescendo di tempo pop, rock, funk, dance, fino ai bis ‘Mezzogiorno’ e ‘Viva la libertà’. Un inno, quest’ultimo, che riecheggia il messaggio lanciato poco prima dal palco: «Una teoria dice che il motore dell’evoluzione è quando succedono le cose sbagliate nel momento giusto. In questi giorni si torna a parlare di razzismo, che è la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Se io faccio musica è perché sono cresciuto in un mondo aperto».

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