Sanremo

Le ultime parole famose, ovvero Sanremo il giorno dopo

La Rita, l'albergatore, i cantanti e molto altro. Ultimo giorno in via Matteotti, con i ritornelli che non smettono di seguirci...

Vincitori e presentatori (Foto Keystone)
12 febbraio 2018
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Ariston, Roof, Casa Sanremo, Palafiori. Sanremo non dorme mai. Per seguire tutto, per scrivere di tutto, c’è una soluzione semplice e decisiva: basta non dormire. Vuoi mettere quanto tempo libero si ricava? E poi, cosa sono, in fondo, i sintomi psicotici, le paranoie e le allucinazioni, quando in cambio ti danno Sanremo? La mattina dopo la finale, il cartonato di Renzo Rubino vestito strano, in strada non c’è più. Eppure, la sua assenza non basta ad impedire che in quella parte di cervello nella quale vanno a conficcarsi i ritornelli per fermentare a lungo si risvegli un melodico "Puoi custodire l’affetto nell’insolenzaaaa" che ci tormenterà sino all’incrocio con via Gioberti.

Spariscono i cartonati

Tiriamo dritti su via Matteotti, capendo che tutti i cartonati sono stati rimossi, e con la sensazione di non sentirci più osservati. Malgrado questo – vuoi per gli effetti della psicoacustica, vuoi perché a un certo punto si comincia a comunicare con le parole del Festival – le canzoni non ci abbandonano mai, men che meno nel day-after sanremese (e per questioni scientifiche, qui troppo lunghe da spiegare, non serve tapparsi le orecchie). È sparita Annalisa dal Bar dei Musici, è sparito Lo Stato Sociale dalla vetrina ecosolidale, Facchinetti e Fogli hanno abbandonato La Bodeguita. Dalla stessa via sono spariti pure The Kolors, anche se Stash era già stato decapitato la notte prima, vittima del feticismo. È sparito anche il cartonato degli Elio e le Storie Tese in giacca e cravatta dall’incrocio con via Feraldi, lì dove una fan più o meno coetanea di Pippo Baudo (ad egli avvinghiata all’entrata dell’Hotel Nazionale qualche giorno prima), ci aveva chiesto se fossero dei politici. Mentre ci avviciniamo all’Ariston per la conferenza stampa conclusiva, tagliamo una folla contenuta. Niente a che vedere con la ressa di sabato pomeriggio (‘Sabato pomeriggio’, eccole di nuovo, le parole delle canzoni...). E calpestando le targhe metalliche che lungo tutta via Matteotti celebrano i vincitori nessuno escluso, compresi i Jalisse, la mente passa in rassegna tutte le immagini di una settimana. Le forze dell'ordine ad ogni angolo della città, i capannelli davanti agli alberghi, il trambusto improvviso della sala stampa, dal quale si capisce che sta arrivando qualcuno che conta. Come Fiorello che raggiunge il lungo pulpito del Roof passando dal corridoio degli umani, e lo sciame di fotografi travolge un inviato della stampa estera («Ogni anno ne cade uno», ricorda qualcuno dietro di noi).

'Ha già cantato la Giannini?'

Quando c’è 'Sanremo', fiera dell'artigianato musicale, quasi ci si dimentica che un paio di incroci a sud c'è il mare, e che non tutti sono qui per lo spettacolo. Come la Rita, tutina felpata blu elettrico che ne avvolge le forme stagionate. La Rita, in albergo a colazione, ci chiede «Com'era la Giannini?». Nemmeno il tempo di correggerla: «L'altra sera c'ero anche io che ballavo 'Heidi'». È chiaro che si sta prendendo gioco di noi. Anzi, vista la colonia romana Rai che ogni anno s'impossessa di questo tratto di Riviera trasformandolo in una succursale di Fregene, meglio sarebbe dire "ce sta a cojonà". «Ma no, sto scherzando. Mi ci vede a ballare di fianco abbaglioni?». Abbaglioni è scritto così, la Rita è di Taranto.

E poi c'è l’albergatore che «i cantanti qui non li troverà mai. Ci fanno sempre richieste assurde, come cenare dopo la mezzanotte, se per caso gli viene fame. E poi il cantante non è mai solo, ha lo strascico. E noi abbiamo anche le persone che vengono al mare». Come la signora Rita. Conclusa la conferenza di congedo, ci infiliamo per l'ultima volta in uno dei due ascensori dell'Ariston, che per una settimana hanno trasportato varia umanità. Il cervello ha appena recuperato dal suo grigio archivio il riff della canzone vittoriosa, entrando in modalità 'repeat'. Quando si apre l'ascensore di destra, ci fiondiamo al suo interno senza guardare, presi da quel giro di note. Nel medesimo istante, due tizi ben messi si fiondano in direzione opposta. Lo scontro è inevitabile. E quando il primo ci dice «Scusi», noi siamo a tanto così dal rispondergli "Non mi avete fatto niente".

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