Sanremo

Sogno o son Festival - le pagelle della 'Regione'

In ordine d'uscita, artista per artista, una panoramica (del tutto personale) sulle canzoni in gara

Lo Stato Sociale e la nonnina volante (Keystone)
8 febbraio 2018
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Annalisa, ‘Il mondo prima di te’ – Deliziosamente pop, canta la storia di “due radici che si dividono per ricominciare”, in completino post-atomico. E noi ascoltiamo, in atteggiamento neo-romantico. Giudizio: di parte

Ron, ‘Almeno pensami’ – È il Ron che vorresti sempre, a pranzo e a cena. Ammesso che l’anima abbia un posto, quest’anno ha un posto anche per Lucio. Giudizio: jamestaylorable

The Kolors, ‘Frida (mai, mai, mai)’. Frida è Kalo, ma al secondo ascolto si rimpiange la cantante norvegese. Giudizio: Abba(stanza)

Max Gazzè, ‘La Leggenda di Cristalda e Pizzomunno’ – Abbandonate le marcette e i cori russi, Gazzé si smarca da tutto il resto in gara, e pure da se stesso. Il buon gusto ringrazia, l’orchestra fa altrettanto, e così farà mezzomunno. Giudizio: Leggenda.

Ornella Vanoni, Bungaro e Pacifico, ‘Imparare ad amarsi’. Non è gerontofilia. Annalisa sarà pure ammaliante, ma l’83enne – della quale un giorno Joni Mitchell lodò l’unicità – non ha nulla di meno della 32enne. E ha anche una canzone in più. Giudizio: amami Ornella.

Ermal Meta e Fabrizio Moro, ‘Non mi avete fatto niente’ – La MetaMoro, premiata forneria di canzoni anche per altri, usa ingredienti pacifisti da ‘Gli altri siamo noi’. Destinati a salire sul gradino più alto del podio, la nonnina, almeno ieri, ha rubato loro la scena. Giudizio: Facce di serpente (è una battuta).

Mario Biondi, ‘Rivederti’ – Il jazz all’Ariston è circostanza episodica. Il contorno del brano è sublime; la struttura implode. The Voice l’ha scritto prima in inglese, come suo solito. E il testo, letterariamente parlando, pare uno dei contorsionismi amorosi di Giorgia. Ma è Mario Biondi, che può cantare tutto, anche le controindicazioni del Perskindol (e poi è grande e grosso, vacci tu a dirgli che t'aspettavi di più). Giudizio: Arrivedorti. 

Roby Facchinetti e Riccardo Fogli, ‘Il segreto del tempo’ – Quel ritornello. È per caso ‘Goodbye yellow brick road’? È per caso ‘Hello’ di Lionel Ritchie? Alla fine si scopre che è ‘Symbolum ‘77’. L’arrangiamento è per metà ‘Uomini persi’ e per l’altra ‘Storie di tutti i giorni’. Del brano restano le aperture del Facchinetti: “muaaari“ (estremizzazione di “muori“) e “cuaaare“ (di “cuore“). Giudizio: “muaaahhh“ (estremizzazione di “mah“).

Lo Stato Sociale, ‘Una vita in vacanza’ – Li avevamo lasciati stonati al limite dell’inquinamento acustico al Concertone di Roma, per ritorvarli con le t-shirt promozionali “Voglio un gattino”, “Voglio andare in pensione” e “Voglio fare la cacca”. La nonnina volante li riabilita (temporaneamente) a timpani e martelletti. Giudizio: libera nonna in libero Stato.

Noemi, ‘Non smettere mai di cercarmi’ – Le affinità sono molte, a partire da quelle cromatiche. Veronica è sempre più fiorellizzata (da leggersi come Mannoia), tanto nei tempi quanto nei gesti. Stanlio e Ollio sull’auto che non parte, teorizzati dagli Elii, è paragone che meglio si addice a questo brano. Giudizio: Tana libera tutti, comunque.

Decibel, ‘Lettera dal Duca’ – Qualcuno, durante le prove, li chiama ‘Quelli di Matrix’, inteso come film e non come rotocalco televisivo. Rouge graffia meno che in altre occasioni. Giudizio: Noblesse, comunque, oblige.

Elio e le Storie Tese, ‘Arrivedorci’ – Dire addio facendo gli idioti gliel’avrebbero perdonato in pochi. Così, il quartetto delle meraviglie con batterista svizzero al seguito ha prodotto un composto commiato. Sulla coda, in piedi, schierati, l’Arrivedorci è un ‘Forza Panino’ in dimensioni ridotte. Le ‘Fave’ apprezzeranno. Giudizio: Arrivedorci e grazie di tutto.

Giovanni Caccamo, ‘Eterno’. Ha inciso la sua orchestra agli Abbey Road Studios di Londra, e noi lo invidiamo per questo. Meno per la canzone. Il suo quattro-accordi-quattro scritto in coppia con Cheope (che non è una piramide, ma uno degli autori più vicini a Raf) è un mistero fitto come la sua barba. Giudizio: Che barba, appunto.

Red Canzian, ‘Ognuno ha la sua storia’ – La cassa batte come in ‘Via’ (omaggio al direttore artistico?). Il testo può essere di tutti e di nessuno, e il tutto sembra incompiuto. Giudizio: storie di tutti i giorni (vedi poco sopra).

Luca Barbarossa, ‘Passame er sale’ – Per far del bene al suo bel testo, più che in mezzo a cotanto dispiego scenografico, il Barbarossa meriterebbe altra platea: ridotta, più intima, e una bandella. E il tour gliela restituirà. Giudizio: Ecchilo (er sale).

Diodato e Roy Paci, ‘Adesso’ – Più che una canzone, un crescendo. La costruzione elementare ha una sua dignità per l’intensità dell’interpretazione del primo, ma in gran parte per il suono dello strumento del secondo. Giudizio: Paci e amen.

Nina Zilli, ‘Senza appartenere’ – Così come di Giovanni Caccamo si attende soprattutto Arisa, della bella Nina si attende soprattutto Sergio Cammariere, entrambi in duetto coi rispettivi di venerdì. Giudizio: senza pretendere.

Renzo Rubino, ‘Custodire’. È un pezzo alla Modagno, da intendersi come un insieme del miglior Modugno e dei peggiori Modà (cioè i Modà). Giudizio: nulla da aggiungere.

Enzo Avitabile e Peppe Servillo, ‘Il coraggio di ogni giorno’ – Specie protetta dal Premio Tenco, Avitabile porta una delle formule ritmiche dello splendido ‘Lotto infinito’. La grandezza dei due non merita una gara, e men che meno un giudizio. Anzi sì: a prescindere.

Le Vibrazioni, ‘Così sbagliato’ – Annunciano una “mini opera rock”. Se Keith Moon resuscitasse nei panni di Uncle Ernie, sarebbe più tenero che col povero Tommy. Le donne apprezzeranno le Vibrazioni (nessuna allusione all’oggettistica per il piacere della coppia). Arrangia Chiaravalli, e dunque, si vibra a prescindere. Giudizio: (un po' scontato) good vibrations.

Fuori concorso

21.  Michelle Hunziker, ‘E se domani’ – Giudizio: E sottolineo se

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