Società

Contro la violenza sulle donne mettiamoci la faccia

Parte oggi la ‘16 Days Campaign’, che porta al 10 dicembre, Giornata dei diritti umani. L'iniziativa congiunta DAISI e Fondazione Diritti Umani Lugano

L'iniziativa congiunta DAISI (gruppo Donne Amnesty International della Svizzera italiana) e Fondazione Diritti Umani di Lugano
25 novembre 2020
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Un nuovo avatar, da sostituire a quello scelto per i nostri profili social. Ma bastano anche un selfie e un tag, comme d'habitude. L'invito viene da DAISI (gruppo Donne Amnesty International della Svizzera italiana) e Fondazione Diritti Umani di Lugano, fianco a fianco in nome di un’iniziativa internazionale che assume nel mondo forme diverse, ma va sotto un unico concetto: non un giorno, ma sedici. Per la precisione, ‘16 Days Campaign’, i giorni che vanno da oggi, 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, fino al prossimo 10 dicembre, Giornata mondiale dei diritti umani.

«È un’iniziativa che nasce alle Nazioni Unite, avvicina le due giornate e consente anche di dilatare su sedici giorni la sensibilizzazione sul problema della violenza nei confronti delle donne, che di norma è limitata a una parentesi abbastanza istantanea», spiega Gabriela Giuria Tasville della Fondazione Diritti Umani Lugano. «Siamo sempre un po’ in difficoltà a far sentire la nostra voce in giorni fissi, una volta l’anno, come accade per l'8 marzo. Perché in realtà i problemi collegati alla discriminazione e alla violenza strutturale nei confronti delle donne coprono l’anno intero».

Un problema 'strutturale’ perché «violenza contro le donne non è da intendersi nella sola accezione fisica, ma anche in tutta quella serie di limitazioni che la società, quotidianamente, ancora impone a livello strutturale, che si tratti di educazione, pubblicità sessista, stereotipi sulla formazione, linguaggio sempre più violento. I fatti di cronaca, d’altra parte, ci dimostrano che mentre si fanno passi avanti in ottica di rivendicazione di diritti, se ne fanno almeno altrettanti a ritroso, alimentando la solidità di un muro che definirei culturale».

Le attività di sensibilizzazione, pertanto, pur limitate nel tempo, restano importanti proprio perché «il muro più difficile da abbattere è proprio quello culturale. E un post su Facebook, per quanto banale possa sembrare, è comunque un gesto compiuto contro la considerazione ‘accessoria’ della donna, idea che da troppe direzioni ancora giunge». E ‘accessoria’ è un complimento guardando ai dati sulla violenza domestica, riassunti soltanto pochi giorni fa parlando dell’esperienza di Casa Armònia (cfr. laRegione del 24 novembre).

‘Noi ci siamo tutt*. Mancano le vittime’

Quello di utilizzare il nuovo avatar, che mostriamo nella foto e che si scarica da www.fondazionedirittiumani.ch, non è un obbligo. Le modalità sono le medesime di sempre: basta anche una foto, da inviare alla pagina di DAISI, taggando @DonneAmnestySvizzera, usando l’hashtag #25NoV, ma pure condividendo foto, video e messaggi direttamente con le Nazioni Unite, agli indirizzi www.facebook.com/SayNO.UNiTE e www.twitter.com/SayNO_UniTE, e usando gli hashtag #orangetheworld e #16days.

Un cenno allo slogan. Spiega ancora Gabriela Giuria Tasville: “Scriviamo ‘Noi ci siamo tutt*’, con l'asterisco in nome dell'inclusività, unitamente a ‘Mancano le vittime’, concetto molto utilizzato in sudamerica o in Spagna, dove il numero di vittime è molto elevato. In quel caso, al ‘Noi ci siamo tutt*’ si fa seguire ‘Manca solo Marcela’, per usare un nome di fantasia. Qui in Svizzera, invece, i nomi delle vittime di femminicidio non si possono fare per motivi di privacy. Facendo così, dimostriamo di non voler dare loro un nome. Se potessimo conoscere quello della vittima di Giubiasco, per esempio, smetteremmo di chiamarla genericamente “una cameriera”».

Il generalizzare, a suo modo, consente almeno di estendere il concetto: «‘Vittime’ è in ricordo di tutte quelle donne che non ci sono più, certamente, ma sono vittime sono anche le donne che sono ancora vive, non meno vittime della violenza di non poter fare parte dello spazio pubblico, del non riuscire a denunciare, o perché non hanno ancora trovato il coraggio, o perché non libere di farlo». In un nazione, la Svizzera, «in cui ancora si usa il termine ‘crimine passionale’ senza che sia tipicizzato 'femminicidio'».


In piazza nel 2019 (Keystone)

25 novembre 1960

Le sorelle Mirabal

La ’16 Days Campaign’, che in Svizzera coinvolge almeno un centinaio di organizzazioni, si tiene nel mondo intero sin dal 1991, dieci anni dopo avere individuato nel 25 novembre la Giornata internazionale della violenza contro le donne. 25 novembre perché in quel giorno del lontano 1960, nella Repubblica Dominicana, le tre sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, attiviste politiche recatesi in visita ai rispettivi mariti in prigione, venivano fermate da agenti inviati dal dittatore Rafael Leónidas Trujillo per essere stuprate, torturate, bastonate, strangolate e, infine, chiuse dentro un’auto fatta precipitare in un burrone, così da simulare un incidente. Più tardi, nel 1981, durante un raduno femminista tenutosi a Bogotà, in Colombia, verrà istituita quella che, in modo completo e in loro memoria, si chiamerà Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

L'iniziativa

'Si cambi la legge sullo stupro'

Oggi, il mondo si colora d'arancione, tonalità ufficiale della protesta. Anche la Svizzera istituzionale, con Palazzo Federale che cambia tinta dalle 17, e così altri edifici pubblici a Basilea, Coira, Ginevra, Losanna e Zurigo. All’iniziativa aderiscono le ambasciate di Belgio, Canada, Israele, Slovacchia, Spagna e Svezia, e la Delegazione dell’Unione europea a Berna. A livello ticinese, il Municipio di Massagno ha annunciato ufficialmente il suo cambio di look.

In linea con tema della giornata, i collettivi femministi svizzeri chiedono ad alta voce che la legge in vigore sugli abusi sessuali sia rivista nella prossima revisione del Codice penale, affinché sia integrata la nozione di consenso. "Quando non è sì, è no! Senza consenso, è uno stupro!" è il grido, perché al momento – deplorano in una nota i movimenti per lo sciopero femminista – affinché uno stupro sia riconosciuto dalla giustizia come tale deve essere provata l'esistenza di una costrizione. I dati svizzeri, in tal senso, non sono rassicuranti: il 22% delle donne ha subito atti sessuali indesiderati nel corso della propria vita, mentre il 12% ha avuto un rapporto sessuale contro la propria volontà, viene ricordato nel comunicato. E di tutte le vittime, solo l'8% sporge denuncia, percentuale molto bassa dovuta principalmente alla vergogna per quanto accaduto.

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