Società

Twitter non è (ancora) un social per donne

Un rapporto di Amnesty denuncia i pochi sforzi fatti dal social network per gestire la violenza di genere

(Ravi Sharma/Unsplash)
22 settembre 2020
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Prendiamone atto: le nostre vite avvengono sempre più online. Tanto che un filosofo che all’informazione e alla digitalizzazione ha dedicato molta attenzione, Luciano Floridi, ha coniato il termine “Onlife” per superare quella contrapposizione tra virtuale e reale sempre meno sensata. Ma se una discussione su un social media può essere altrettanto importante di una di persona, le dinamiche sono diverse e, come purtroppo sa chiunque frequenti anche solo un poco Twitter e Facebook, il rischio che il dibattito degeneri è alto.

Non si tratta semplicemente di qualche parola di troppo, ma di insulti e minacce che colpiscono soprattutto le donne, spesso attaccate semplicemente in quanto donne; ancora peggio se disabili, appartenenti a minoranze etniche o religiose o se lesbiche, bisessuali, transessuali o individui non binari. Una violenza verbale che di fatto ostacola l’accesso a un luogo (virtuale, ma come detto fa poca differenza) dove discutere, conoscere nuove persone, scambiare informazioni. Una violazione dei diritti umani, la definisce senza tanti giri di parole Amnesty International in un dettagliato rapporto che si concentra su Twitter, piattaforma usata quotidianamente da milioni di persone in tutto il mondo.

“Essere una donna tamil, di casta mista, che si esprime contro il sistema di caste discriminatorie dell'India, si è dimostrata una miscela esplosiva su Twitter.  Ricevo un fiume di insulti razzisti e misogini, incluse minacce di stupro” ha spiegato l’autrice dello studio e attivista Meena Kandasamy.

Non è la prima volta che Amnesty passa in rassegna la violenza di genere su Twitter: nel 2017 una prima indagine sugli abusi che quotidianamente subiscono le donne in 8 Paesi, seguita l’anno dopo da un rapporto intitolato ‘Toxic Twitter’ incentrato in particolare su Stati Uniti e Regno Unito, ma nei mesi successivi non sono mancate le analisi in altri Paesi, tra cui l’Argentina, nel periodo in cui si votata sulla legalizzazione dell’aborto, e l’India durante le elezioni generali del 2019.

Il nuovo rapporto ‘Twitter Scorecard’, reso pubblico oggi, più che aggiornare la situazione degli abusi sulla piattaforma ha come scopo monitorare le misure adottate da Twitter. Si potrebbe poi aprire un capitolo sulle leggi dei discorsi d’odio introdotte da diversi Paesi, ma è chiaro che un primo livello di intervento è dato dalle “leggi” che Twitter, come altre piattaforme, si dota: quei famosi regolamenti su cosa è ammesso pubblicare e cosa no e, soprattutto, i sistemi che vengono messi in piedi per applicare questi regolamenti e più in generale per tutelare gli utenti.

Qual è dunque il verdetto di Amnesty? “Twitter non sta ancora facendo abbastanza per affrontare il diluvio di insulti che le donne si trovano ad affrontare sulla piattaforma” ha dichiarato Rasha Abdul Rahim, co-direttrice di Amnesty Tech. Va detto che l’analisi si basa essenzialmente sull’accogliemento o meno di alcune proposte concrete avanzate dall’organizzazione, e che in molti casi l’azienda ha giustificato il proprio operato: Rimane il fatto che le conclusioni di Amnesty sono chiare: Twitter non proteggere a sufficienza “le utenti donne, portando molte di loro a tacere o a censurarsi sulla piattaforma”.

Gli interventi auspicati da Amnesty riguardano quattro aspetti che, secondo l’organizzazione, migliorerebbero la situazione delle donne, e in generale di tutti gli utenti, sul social media: la trasparenza nella gestione degli abusi; il sistema di segnalazione; il controllo delle segnalazioni e la privacy.

Delle dieci misure concrete, solo una risulta effettimante applicata. Altre sei sono “work in progress” mentre tre risultano semplicemente non applicate. Senza entrare nei dettagli del rapporto, le statistiche sugli interventi di moderazione che Twitter pubblica sono troppo generiche – per evitare fraintendimenti, la replica dell’azienda – e mancano completamente i dati su quante persone sono impegnate nel controllo dei contenuti, quale è la loro formazione e quanto tempo dedicano in media a esaminare ogni caso. Aspetto interessante: Amnesty esprime preoccupazione per l’utilizzo di sistemi automatici di moderazione, giudicati inefficaci per valutare il linguaggio d’odio che spesso si gioca su sfumature che un algoritmo non può (ancora) cogliere.

Un po’ meglio per quanto riguarda le iniziative di sensibilizzazione degli utenti e gli strumenti con cui gli utenti possono proteggersi dal ricevere insulti. Da alcuni mesi è ad esempio possibile limitare le risposte ai propri tweet ad alcuni utenti – ma mancano alcune misure abbastanza semplici, come un filtro semplificato per alcuni insulti sessisti.

Tra sei mesi un nuovo rapporto dovrebbe registrare i progressi fatti da Twitter per essere un luogo in cui tutti possono trovare spazio.

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