Società

Bike-in, perché the show must go on (meglio se in bicicletta)

Tre realtà con ventennale esperienza nel settore dello spettacolo e un'idea green per rianimare la categoria in crisi: 'Per l'emergenza, ma anche per il dopo'.

Più che drive, bike (www.bike-in.it)
22 maggio 2020
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Se ancora non fosse chiaro, per taluni la musica è ancora (o da sempre) legata al concetto di gratuità. Negli scorsi giorni il pianista jazz Enrico Pieranunzi annunciava quattro concerti online a pagamento e molti di coloro che durante il lockdown si erano goduti la musica gratis, spiaggiati sul divano di casa, immobili come oche all'ingrasso, gridavano allo scandalo per i 3,5 euro a performance (con sconto nel caso di abbonamento all'offerta complessiva). «È evidente che a qualcuno non è ancora chiaro che la musica è un lavoro oltre che una forma d’arte» dice Fulvio De Rosa, managing director di Shining Production che in Italia, con Fresh Agency e Live Club, agenzie da vent’anni nel settore dello spettacolo, ha cercato un modo per uscire dal limbo non solo italiano in cui è sprofondata la categoria a causa dell'emergenza sanitaria. «Dopo lo shock iniziale, sta sopravvivendo chi già aveva le spalle forti. Credo che una grossa fetta della categoria difficilmente riuscirà a rialzarsi dopo una batosta del genere».

Le tre realtà in questione hanno pensato a una soluzione che è un’idea nell’idea: nei giorni in cui si è iniziato a parlare di drive in, ovvero tutti in auto come nei favolosi anni Sessanta per andare al cinema (ma anche alla messa, come accaduto in Francia la scorsa settimana, con l’eucaristia imboccata di finestrino in finestrino), De Rosa e soci hanno adattato il concetto automobilistico alla bicicletta: «Bike-in – spiega l’interlocutore – è la volontà di trovare soluzioni che diano prospettive non soltanto all’emergenza in sé, ma che stimolino anche una riflessione più generale sul perché ci troviamo in questa situazione, quindi provando a dare una risposta in tema ambientale». In soldoni: «Non è solo una soluzione per tornare a fare spettacoli, ma anche per dire che forse da quanto successo dobbiamo imparare tutti, cominciando da come li organizziamo».


Fulvio De Rosa, secondo da destra, e il team al completo (in era pre-Covid)

'The show must go on'

Un area verde urbana; le biciclette (di proprietà o in sharing) che consentono il distanziamento sociale all’entrata e all’uscita; uno spazio personalizzabile (per single, coppie o famiglie), periodicamente sanificato. Questo e molte altre verdi accortezze davanti a un palco sul quale ‘The show must go on’, come scritto sulle pagine di www.bike-in.it. Un incentivo allo spettacolo, al cicloturismo e alla sostenibilità. «In primis – prosegue De Rosa – una boccata d’ossigeno alla filiera dell’industria creativa e culturale non solo musicale, ai lavoratori dello spettacolo, figure precarie, su chiamata, per dare loro un numero di giornate lavorative più ampio grazie a un modello applicabile non solo ai pochi grandi eventi ma anche ad arene replicabili ovunque». Qualcosa di emergenziale, dunque, ma proiettato al dopo: «Un format che potrà coesistere con le altre forme d’intrattenimento che si spera torneranno a far parte della nostra normalità».

Grande l’interesse dei media e delle amministrazioni nei primi giorni. «Si è un po’ scremato – spiega De Rosa – perché l’entusiasmo scaturito dalla disperazione fa sì che ci si attenda una soluzione ai mali del mondo che sia gratis. Il progetto ha bisogno di fonti di finanziamento, se si pensa che qualsiasi modello cinema-teatro trasportato all’aperto a queste condizioni di sicurezza comporta la perdita di circa il 70% della capienza». Rispetto alle altre forme di spettacolo, però, «il Bike-in prevede posti a sedere ma anche in piedi, assicurando una dinamicità irriproducibile nelle arene teatrali». Dunque, stante la pesante riduzione di pubblico, «si tratta di progetti che devono essere accettati, sostenuti e condivisi da amministrazioni, da grandi sponsor o da una partnership pubblico-privato». Al setaccio della scrematura sono rimaste per ora Mantova e la Venaria Reale di Torino, con area già individuata e in via di allestimento, e Milano che l’area la sta individuando. Anche Firenze si è fatta avanti. «Non vogliamo stare qui a prenderci i meriti, ma siamo felici della contemporaneità di coincidenze, che forse del tutto coincidenze non sono, verificatesi da quando quest’idea è nata, intorno al 25 aprile. Solo oggi ho letto di Cuneo che vuol essere una delle prime città in Italia a realizzare quartieri aperti alle sole biciclette, di alcune città dell’Emilia Romagna dalle quali, se vai a lavorare in bici, ricevi un incentivo in busta paga. E anche Milano, che ha realizzato in tempi svizzeri piste ciclabili derogando a norme del Codice civile semplicemente disegnandole sulle carreggiate».

Streaming (quello giusto)

E chi ha problemi di deambulazione, o vive lontano dall’evento? E se l’evento è sold-out? C’è lo streaming, non parassitario: «Rappresenterà il servizio accessorio di Bike-in nei casi citati. Ovviamente, replicando il modello del live in versione digitale: si paga un biglietto per assistere all’evento online e l’evento stesso finisce con la diretta, dunque scompare dalla piattaforma per una unicità pari all’evento dal vivo». Insieme alla parola 'green', Bike-in porta con sé la parola 'sharing', oltre la bicicletta: «Un progetto nostro, un’idea depositata e tutelata, ma un modello open», chiude De Rosa. «Vogliamo mettere in condizione gli operatori territoriali di realizzare l’arena con tutti i crismi pensati da noi ma costruita dalle aziende locali, gestita dagli operatori culturali locali. Bike-in non è un modello di multinazionale, per intenderci. Lo chiamerei piuttosto un ‘franchising sociale’».

www.bike-in.it  
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