Società

Luce d'autunno, incontri memorie nostalgia

Lungo questa stagione e in un pomeriggio lungo il corso, l'excursus letterario di Alberto Nessi

(Ti Press)
2 novembre 2019
|

Sopportare la vita è il primo dovere di ogni vivente, ha detto un grande pensatore. Dunque mi avvio pieno di buona volontà lungo corso San Gottardo. E incontro chi ha voglia di raccontare. Sergio, per esempio, rievoca storie del passato prossimo: i fascisti di Chiasso, immortalati nei piccoli ovali sul foglio che circolava un tempo per queste contrade, dove sarà finito quel foglio? Sergio ricorda il sasso che lo sfiorò quando aveva nove anni, appena finita la guerra, ed era sceso a vedere quel gran putiferio nel corso dove sfilava il corteo dal quale partivano proiettili contro le vetrine di certi negozianti; e racconta la storia avventurosa del Romolo, quel chiassese, fuggito con un’amante in Messico, che negli anni Venti aveva conosciuto il presidente Obregon, assassinato con un colpo di pistola da un cristero; e la storia di… A questo punto interviene un altro pensionato, che ogni tanto si aggira per le strade del centro, punto da nostalgia. Cava dal portafoglio la sua foto di quand’era vigile urbano e racconta: il Comune non lo promosse e allora lui se ne andò a Lucerna a fare la scuola per conducenti e diventò maestro di guida e ha fatto avere la patente a duemila cittadini svizzeri…

L’Ernesto e le piante

Il corso è luogo di incontri, palestra di memorie locali, spina di nostalgia. Ma se passi la dogana la musica cambia. Qui si ricorda l’ex poliziotto svizzero ubriaco abbattuto da un pugno dopo un violento alterco con un poco di buono, anche lui ubriaco, nel bar di fronte al cinema a luci rosse; si parla delle risse tra automobilisti per un posteggio sul piazzale davanti all’edicola: dentro la quale fa bella mostra di sé, su una scansia, il libro in offerta ‘Le mani sulle palle’, immagine emblematica della volgarità dominante.

Nel quartiere di Boffalora, lungo la ferrovia, improvvisamente mi viene in mente l’Ernesto, che conosceva le piante e i fiori meglio di un professore di botanica e aveva studiato la flora che cresce tra i binari. Trovo due bambini che M’incantavano le foglie piovute dal cielo raccolgono foglie sotto i tigli accanto al cimitero. Raccogliere foglie in autunno era una cosa che mi piaceva molto, nell’infanzia. M’incantavano, le foglie piovute dal cielo, con le loro nervature, la sagoma cordata, le sfumature giallastre o rosse, quando candido andavo all’oratorio e “facevo il fioretto”. Ora guardo questi due bambini felici, scappati via da familiari entrati a fare un giro tra le tombe.

Rondini e rondoni

C’è una luce diversa, oggi, negli alberi che prendono il colore del sangue e della ruggine, nei settembrini che sporgono curiosi dai cancelli, nei vagoni violacei fermi sui binari. In collina lo sguardo è attratto da buddleie dai grappoli amici delle farfalle. È la bellezza di questa stagione di passaggio, che però non vede più rondini radunarsi per partire, “Quest’anno la partenza delle rondini / mi stringerà, per un pensiero, il cuore…” (Umberto Saba). Ma io, a casa, ho un bel rondone di legno che pende dal soffitto e muove con grazia le ali, se tiri una cordina: porta fortuna e scaccia i malvagi. Me l’ha regalato un amico dagli occhi azzurri, quel rondone.

Ora qui, questo sabato pomeriggio, con questa luce, la vita si mescola alla morte, il passato con il presente, i racconti e i ricordi degli amici si depositano come bruma azzurra su questi due bambini che raccolgono foglie cadute sopra la scarpata. La caducità rende più preziosa la vita: proprio perché si deve morire si ama di più la vita che ci rimane. Ha scritto nel suo Diario 1941-1943 Etty Hillesum, gasata dai nazisti ad Auschwitz: “Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima”.

Il grande pensatore, che ho citato sopra, dice: - Si vis vitam, para mortem. Ma, con questa luce è difficile… O forse no: può essere dolce anche il pensiero della morte, con questa luce. Con queste storie di ombre raccontate da miei simili, che fra poco saranno ombre anche loro, come io sarò ombra. Con queste foglie caduche: il fiore che appassisce fa amare le stagioni destinate a cadere.

De mortuis nihil nisi bene

Noi abbiamo un atteggiamento ambivalente verso la morte. Da una parte diciamo che è cosa naturale, inevitabile; ma dentro di noi abbiamo tendenza a scartarla: ognuno di noi, nel suo inconscio, è convinto della sua immortalità. Sono sempre gli altri a morire. Preferiamo non parlarne. E diciamo sempre bene dei morti, li perdoniamo: De mortuis nihil nisi bene.

Però, quando ci muore una persona cara, tutto crolla. Ci rifiutiamo di accettare la realtà. E cerchiamo un sostituto a ciò cui dobbiamo rinunciare. Oppure ci rifugiamo nella “corrispondenza d’amorosi sensi”, nel sospiro “che dal tumulo a noi manda Natura”, come dice Ugo Foscolo. Ma, affinché questa vitale corrispondenza abbia luogo, bisogna lasciare “eredità d’affetti”. E io oggi sento il sospiro dei trapassati che me l’hanno lasciata, l’eredità: quel sospiro, in questa luce del sabato pomeriggio, mi aiuta a vivere più dell’urlo dei viventi.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE