Società

Se la Cina ci fa annegare nella (nostra) plastica

Finora li si spediva verso Oriente, ma il bando cinese all’importazione di rifiuti plastici mette in crisi il sistema globale: adesso che si fa?

27 aprile 2019
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“Senza interventi urgenti che riducano la produzione rischiamo di essere sommersi dalla plastica”. Questa, sintesi, la conclusione cui giunge il rapporto di Greenpeace sulle ‘Rotte dei rifiuti in plastica’. In un contesto globale in cui la produzione di plastica non accenna a diminuire, con la quantità del 2015 che, secondo Greenpeace, raddoppierà entro il 2025, vien da chiedersi dove finisca tutta questa plastica. Risposta: in Asia.

E qui si viene al punto: dopo la chiusura della Cina all’importazione di rifiuti plastici (in gran parte dai Paesi occidentali), stanno cambiando le rotte dello “smaltimento”, con nuovi Paesi pronti ad accogliere i nostri scarti e altri a porre limiti sempre più rigidi.

Nel 2018 i principali esportatori di rifiuti di plastica sono stati gli Usa (16,5%), la Germania (15,6%), il Giappone (15,3%) e il Regno Unito (9,4%). I principali importatori invece Malesia (15,7%), Thailandia (8,1%) e Vietnam (7,6%). Al quarto posto c’è Hong Kong (6,8%), dopo il bando del governo cinese che dal 2017 ha abbattuto l’importazione di rifiuti. Una decisione che sta già producendo le sue conseguenze in un sistema malato.

Come spiega il rapporto, “considerando che più del 90 per cento di tutta la plastica prodotta a partire dagli anni 50 non è stata mai riciclata e data la crescita esponenziale della produzione globale di materie plastiche, l’introduzione del bando cinese renderà più difficile la gestione dei rifiuti in plastica”. Infatti, dal 2016 l’esportazione globale di rifiuti plastici si è dimezzata (dai 12,5 milioni di tonnellate dei 21 maggiori esportatori, a meno di 6), concentrandosi però in Paesi “con regolamentazioni ambientali meno rigorose”. Fra queste Indonesia e Turchia (e pure Yemen!), mentre Malesia, Vietnam e Thailandia sono corse ai ripari con misure restrittive (da notare fra i Paesi importatori la Svizzera).

«Il riciclo non basta – spiega Enzo Favoino, ricercatore alla Scuola Agraria del Parco di Monza –. L’unica via resta il riuso, la riprogettazione per la riduzione e la durevolezza». Il gioco di fare i ricchi inviando i rifiuti in Oriente ha i giorni contati. La conclusione di Greenpeace? “Sono necessari interventi urgenti che riducano subito la produzione, soprattutto per quella frazione di plastica spesso superflua rappresentata dall’usa e getta che oggi costituisce il 40 per cento della produzione globale di plastica”.

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