Società

I gigli del Villino, ritratto di Stelio Mondini

Per 40 anni una bottega a Locarno, la passione per cucina e calcio, politica e cultura, impegno sociale. Un frammento di Storia nella storia di uno di noi...

20 marzo 2019
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A pochi passi dalla stazione di Locarno, tra il lago e i treni in arrivo ecco il Villino Chalet, bar meta di clienti abituali che qui trovano un luogo intimo, familiare. Chi entra per la prima volta sarà colpito dal colore viola che alcune pareti mostrano con sciarpe, vessilli, maglie: è il colore della Fiorentina. Sul petto, il Giglio, lilium candidum o tigrinum, dal bianco a sfumature rosa e gialle, maglia storica che sarebbe nata dal legame con la città immersa allora nei Giaggioli, fiori viola. Davanti a un buon caffè, parlo con Stelio Mondini, uomo appassionato di calcio, storia, politica.

Macellaio, gastronomo apprezzato, da più di un anno ha chiuso il negozio di via Sant’Antonio, Città Vecchia. Di questo angolo storico, avevamo scritto parlando della pescheria Zaro e del negozio altrettanto noto e frequentato di Piero Suini, che prosegue la sua attività. Passato, presente, tracce di vita che restano indelebili. Stelio, lo ricordiamo, da sempre vicino alla squadra del Locarno e presidente dell’Impronta Viola Locarnese, che ha la sede in questo bar. Ne parleremo ancora.

Il negozio, un lungo percorso.

«Terminato a fine 2017. A novembre, i miei sessantacinque anni. L’inizio della professione parte da lontano: apprendista macellaio, salumiere, una formazione classica. Poi, operaio in una bottega di alimentari e dopo in un grande magazzino. Nel ’77, vengo chiamato dal proprietario della macelleria equina, Giulio Rapazzini, che mi propone di lavorare con lui. L’intenzione era cedermi la bottega passati due anni. È stato di parola. Così, dal primo gennaio dell’80, inizia l’avventura».

Una scelta impegnativa.

«Ho trovato una persona stupenda. A quei tempi non avrei potuto ritirare la bottega e Giulio mi ha permesso di farlo, pagando a poco a poco, avendo fiducia in me. Quarant’anni eccezionali, con alti e bassi, con mille difficoltà e soddisfazioni, come tutte le cose. Molte conoscenze, storie. Una bottega è un porto di mare, come il barbiere, un ritrovo sportivo, politico. Un po’ di tutto».

La politica, una delle tue passioni.

«Non ho mai nascosto le mie idee di comunista, cosa non facile pensando anche all’attività commerciale: però, salvo alcuni casi, la gente mi voleva bene. Ricordo delle belle battaglie, discussioni a viso aperto».

Quando per la prima volta sono  entrato in bottega, ho sentito  questo clima...

«C’erano dei rapporti bellissimi, clienti da venti, trent’anni. Ne ricordo uno diametralmente opposto alle mie idee, di estrema destra: facevamo discussioni lunghe, ma era documentato e a me questo piace. Parlare, conoscendo storie e fatti».

Altra cosa che colpiva, le tue preparazioni.

«Si cercava di mantenere una caratteristica tradizionale, nel rinnovamento. C’è stato un momento che la bottega era un po’ in difficoltà, allora ho introdotto la gastronomia, che mi ha aiutato molto».

Ricordo la trippa. Squisita.

«Un cavallo di battaglia. Insieme a piatti di lunga durata che a casa si fanno un po’ meno: i brasati, la bolognese preparata con cura. Sono entrato in cucina che avevo dieci, undici anni. Mio padre e mia madre lavoravano e ho detto, oggi cucino io! La cucina, uno la sente o non la sente. Ancora, mi chiamano per delle preparazioni fuori e al Villino, perché siamo una squadra che non vince mai, ma in compenso col gruppo viola mangiamo tanto…».

Stavi in via Sant’Antonio. Cosa pensi della città? Del suo sviluppo?

«I nonni erano locarnesi. I cambiamenti ci sono stati nel bene e nel male. Città Vecchia ultimamente si sta abbellendo, dopo un po’ di trascuratezza. Il ristorante Fiorentina è stato chiuso per quattro anni, un vuoto fastidioso. Bisogna dare atto ad alcuni privati di essersi mossi bene. Sono invece preoccupato per Locarno in generale: troppa cementificazione. Non dico certo di tornare alla città rurale, ma più cura e regole ci volevano; se vai a Orselina e guardi in basso te ne accorgi».

Pianificando meglio?

«In città come Zurigo vedi che ogni quartiere ha il verde, degli spazi per i cittadini».

Parlavamo della politica.

«L’ultima legislatura in Consiglio comunale nel 2010, Partito del Lavoro, ventidue anni di presenza. Politicamente sono nato nel Psa. Nel ’69 ero apprendista e andavo alle prime riunioni con mio padre, ma il tutto mi stava stretto, trovavo ci fosse poco spazio per quelli come me, senza nascondere che la parte intellettuale è importante».

La lettura?

«Sono autodidatta. Attingo dalla trasmissione di Corrado Augias, poi quando i miei figli, Edoardo e Nadia, chiedono cosa desidero per il compleanno, la lista è pronta…».

Mentre parliamo entrano nuovi clienti e la signora Carmela, moglie di Stelio, originaria di Sambuca di Sicilia, ci aspetta con pazienza sorseggiando un caffè.

Osservare i mutamenti sociali, a cosa ti porta?

«Se vedi quanto interesse hanno i media per il Venezuela rispetto a quanto avviene ad Haiti, si comprendono gli interessi in gioco. Ogni tanto rileggo il Manifesto del Partito Comunista, che mi sembra attuale. Quando cerchi uno spunto, lo trovi. Oggi, soffro per la situazione politica mondiale e locale, anche dovuta a una mancanza di cultura. Meno male che ci sono testimonianze forti. A Milano, sono scese in piazza duecentocinquantamila persone».

Quando ci siamo conosciuti, tra le altre cose siamo arrivati al calcio. Tu, viola come mio padre.  Come mai?

«Già da bambino avevo uno spirito controcorrente, per cui Juve, Milan, Inter, mai! E pensare che vengo da una famiglia juventina… A dodici anni, mia sorella e mio cognato mi portano a vedere Varese-Fiorentina, il Varese di Anastasi. Brutta partita. Ho preso la prima bandiera. Col passare del tempo ci si ritrovava a vedere le partite alla tele e allora perché non fare un club?».

E adesso?

«Centotrentacinque iscritti, club nato nel ’98. Con il vice, presidente, Elio Roberti, siamo una fucina di idee. Man mano abbiamo iniziato a lavorare sul sociale, sostenendo per cinque anni ‘Casamance’, piccola associazione che lavora in una zona povera del Senegal e adesso con un’altra a nord del Perù, Pan y Luz».


Sul tavolo, ecco il bollettino d’informazione, ‘Impronta Viola Locarnese’, di bel formato e contenuto. Leggo del Premio IVL, che si tiene grazie alla Città al castello Visconteo, destinato a figure di rilievo del tessuto locarnese e ticinese, andato l’anno scorso a Tiziana Arnaboldi. Si tratta di un’opera significativa creata dal maestro Galeazzo Auzzi, che vede giglio e pardo insieme. Diversi i temi che il bollettino raccoglie: gite, feste, articoli vari.

Con Stelio abbiamo parlato di altre cose: dell’affetto per la nipotina Amy, del nuovo progetto per il Locarno, dell’antica trattoria ‘Palle D’Oro’, aperta a Firenze nel 1860. Di mio padre che portava nella casa di Milano, maglie viola, firmate. Delle domeniche a San Siro. E delle luci a sera, le stesse cantate da Vecchioni.
“Luci a San Siro di quella sera/che c’è di strano siamo stati tutti là…”.

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