Società

Educare i giovani nel brodo digitale

L’avvento dei mezzi elettronici sembra aver strappato alle vecchie generazioni verità ed autorità. La sfida oggi: ‘Formare non basta, è necessario educare’

21 gennaio 2019
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Partiamo da un indovinello. Chi ha detto «la nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità e non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori, in una parola sono cattivi»? E chi ancora «non c’è più alcuna speranza per l’avvenire del nostro paese se la gioventù di oggi prenderà il potere domani, poiché questa gioventù è insopportabile, senza ritegno, terribile»? Se state pensando a un genitore scornato o a un docente demotivato siete fuori strada. Il primo è stato Socrate, filosofo greco, vissuto nel Quattrocento avanti Cristo, il secondo è di Esiodo, poeta ancora più antico.

Circa 2500 anni fa, le nuove generazioni erano, dunque, già indicate dalle precedenti come pigre ed egoiste. E oggi, un paio di millenni dopo, la sfida educativa resta di estrema attualità, soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie che “imprigionano” bambini e ragazzi in una gabbia cosmica di difficile penetrazione tanto che il diritto/dovere di genitori e insegnanti di imporre regole si fa più che mai ostico e… titanico. Ad emergere, infatti, negli ultimi anni, è un conflitto radicale fra generazioni: c’è chi vuole vivere nel nostro tempo (l’adulto) e chi è sempre alla ricerca di un mondo parallelo (il giovane).

Il quadro, dunque, pare non essere buono, ma c’è speranza? Fortunatamente sembrerebbe di sì. Ce lo ha detto anche il professor Marco Meschini, docente di Storia medievale all’Usi e direttore del Liceo Everest Academy di Lugano: «Ciò che è rasserenante – ha spiegato – è che l’aspetto educativo è un problema da sempre. Ciò non significa che dobbiamo delegare ad altri l’educazione dei nostri figli, dei nostri studenti. Anzi il compito dell’educatore oggi è proprio quello di mettere le mani sul e nel mondo digitale, conoscerlo nei suoi diversi aspetti. Non bisogna avere paura, ma è fondamentale interagire con esso, “giocarci”, dialogare. Dobbiamo anche impegnarci nella fatica, spesso, di “sporcarci le mani”».

Del resto nel consistente “brodo digitale” nel quale sono immerse le nuove generazioni sono molti i “mondi” ai quali si rivolgono: «Il ragazzo senza riferimenti è perduto – ci ha messi in guardia il professor Meschini –. Come autorità siamo chiamati a “far crescere” il ragazzo, a definire zone franche (come per esempio la cucina, dove vietare l’utilizzo del cellulare), dobbiamo condurlo (come indica la stessa radice del verbo educare) fuori da quella dimensione artificiale, che spesso lo avvolge completamente, insegnandogli a riconoscere che esiste una vita reale e ben più sorprendente». Educare, al giorno d’oggi, nella “guerra” fra videogiochi e schermi che tutto propongono, significa «mostrare ai giovani che la vita che viviamo è più bella, più ricca, più densa di quella proposta da uno smartphone. Avete mai fatto caso ai termini che un computer utilizza per la realizzazione di documenti? – ci ha messo in allarme Meschini – Crea! Salva! Converti! Ditemi voi se non è un dio questo!».

Quando dal nulla prende vita il ‘multiverso’

Il nostro alfabeto è composto da 26 lettere, il cinese ha circa 50’000 caratteri ideografici. E il mondo digitale? Due semplici numeri: 01. Eppure contiene un ‘multiverso’, una serie di mondi capaci di fagocitare cervelli e tempo. Ne sono testimoni quotidianamente gli educatori, dai genitori ai docenti. «Certo l’uomo – ci ha ricordato il professor Marco Meschini nel corso della sua conferenza promossa dal Centro Culturale Alzavola di Lugano e intitolata ‘Fine della verità, fine dell’autorità? La sfida educativa tra Fake News e Wikipedia’ – ha già inventato in passato tanti mondi paralleli: pensiamo alla letteratura, alla psicanalisi, al cinema. Poi sono arrivati i ‘ragazzotti’ della Silicon Valley con il digitale. Un nuovo livello che ha comportato un drastico cambiamento nel ruolo di educatore».

Una riflessione preziosa si fa a questo punto largo: «L’uomo di oggi crede sempre meno – ci ha portato le cifre Meschini –, gli atei nel mondo hanno raggiunto il 25% di cui almeno il 20 nel mondo occidentale. Ciò cosa significa? Nel momento in cui si crede che non vi sia nulla il digitale colma questa mancanza, pensando e agendo lui al nostro posto...». Vittime principali ne sono le nuove generazioni: «Ma non dobbiamo demonizzarlo. Quali guide ai più giovani siamo sempre più chiamati a educare, la formazione non basta più. Però, anche se è giusto preoccuparsi dell’educazione, non è bene affannarsi. Non educo se la mia comunicazione è animata solo dalla paura».

A contribuire alla sfiducia generale di molti educatori (madri e padri, ma anche insegnanti, sacerdoti, formatori sportivi) vi è la perdita di importanza della scrittura: «Nel momento in cui scrivo delineo lo spazio e il tempo – ha rimarcato lo storico –. Il linguaggio digitale cancella queste limitazioni cambiando in modo devastante la potenza del linguaggio e il modo di relazionarsi». Un nuovo indovinello: avete mai notato dove si posiziona la scrittura sugli schermi dei cosiddetti cellulari intelligenti? Sotto le icone, in caratteri di piccola grandezza e di colore bianco a ricordare... un fantasma: «La scrittura è stata inserita in un contesto che non è più alfabetico, ma idiografico. Un ritorno al passato quindi, all’uomo delle caverne... Per questo possiamo dire che la nascita del digitale è un nuovo Big Bang. Non è più semplicemente un linguaggio, un codice, ma un mondo!».

Un nuovo universo, o come detto non solo uno, ma molti, capaci di rapirci sul lavoro, nel tempo libero fino ad arrivare nelle aule, dove – ce lo dice la società – non solo c’è sempre più un problema di attenzione («gestire l’attenzione è uno dei problemi fondamentali oggi per il docente») ma anche di «completo oblio dei ruoli». Come allora contrastare o almeno resistere a questi atteggiamenti? Marco Meschini li ha affrontati a seconda dell’età: «Se all’Università l’unica mia risposta è un surplus di interesse, al liceo impedisco l’uso sbagliato della tecnologia permettendo l’utilizzo dei soli tablet per motivi scolastici e di studio. Del resto, fuori, gli schermi sono ovunque, in tasca, sul cuore. Il digitale oggi è un mondo che “entra” nell’umano e ci porta ad essere “digital reborn”, e se questo è lo scenario non devo esserne tiepido o indifferente spettatore ma anzi è mio compito conoscerlo fino in fondo, aiutando e accompagnando così nel contempo anche i ragazzi».

Facile, infatti, è naufragare per i giovani negli schermi dei loro apparecchi: «Non vi è mai capitato – ha sollecitato gli educatori Meschini – di riprendere vostro figlio per un utilizzo del computer più del consentito e sentirvi rispondere ‘ma ho appena iniziato’? Credete vi dica una bugia? Non è così, lo dice diversamente con convinzione. In quegli istanti, infatti, un bambino, un ragazzo, perde la cognizione del tempo, e due ore gli possono sembrare dieci minuti».

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