Società

Momo, nascita di una leggenda. Metropolitana

Da dove arriva la storia di un essere spaventoso che i ragazzi verrebbero sfidati a contattare su WhatsApp

6 agosto 2018
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Una antica leggenda orientale e una moderna leggenda metropolitana – o, per dirla più schiettamente, una bufala che, anche per colpa dei media tradizionali, rischia di fare qualche danno. È l’interessante storia di Momo, spaventosa creatura che diffonderebbe su WhatsApp immagini di cadaveri e messaggi audio terrorizzanti, minacciando i ragazzi con maledizioni varie.

La storia ricorda il Blue Whale, il gioco mortale che l’anno scorso era diventato una sorta di emergenza mondiale. O meglio di psicosi mediatica, visto che la connessione tra Blue Whale e i purtroppo non rari casi di autolesionismo e suicidio giovanile riguardava più giornali e tv che la realtà.

Purtroppo la cosa sembra stia avvenendo nuovamente, visto che Momo e i suoi messaggi horror sono già protagonisti di alcuni servizi sensazionalistici, con “possibili” legami con suicidi. Eppure la storia di Momo è interessante da raccontare anche senza ricorrere al facile schema del cattivo che minaccia i giovani imprudenti.

Alla base di questa storia c’è, come accennato, una leggenda giapponese: quella degli Ubume, spiriti di donne morte durante la gravidanza o il parto e che in genere si limitano a chiedere aiuto anche se, in alcune varianti, possono rapire neonati. Come ricostruito da Sofia Lincos sulla rivista Query, l’artista giapponese Keisuke Aizawa ha realizzato una statua (abbastanza inquietante) di un Ubume e l’ha esposta in una galleria di Tokyo, con tanto di immancabile invito a scattarsi un selfie con l’opera. Invito parzialmente disatteso da una ragazza giapponese che, invece di un autoscatto, ha pubblicato su Instagram una foto della scultura.

Immagine che adesso è la “foto ufficiale” di Momo. Probabilmente qualcuno l’ha usata, su WhatsApp, per fare qualche scherzo un po’ macabro agli amici. Poi, il passaparola, la condivisione degli appelli a non rispondere ai messaggi provenienti da certi numeri (o, al contrario, della sfida a contattarli “se ne avete il coraggio”), lo spirito di emulazione hanno determinato la diffusione globale di questa storia, nonostante, al più, si rischia di ricevere qualche immagine splatter (ammesso di trovare un numero attivo: come tutti gli scherzi, uno dopo un po’ di stufa).

In definitiva, una leggenda metropolitana che, osservandola con un po’ di cinismo, appare troppo banale persino per un film horror di serie b.

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