Società

'Il guardiacaccia' e le realtà della finzione

Fin dove può spingersi la fiction? Ci sono regole da rispettare nel raccontare una realtà? Due punti di vista contrapposti...

5 luglio 2018
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Quando il suo cameraman cacciatore gli ha mostrato le immagini di quel cervo da lui scovato sul Monte Bar, Andrea Canetta ha capito che quello sarebbe stato il suo osservatore silenzioso, discreta immagine ricorrente che cadenza il ritmo del ‘Guardiacaccia’. Mentre lavorava al montaggio, è però venuto a sapere che pochi giorni dopo le riprese quello stesso cervo era stato ritrovato decapitato: «Un atto di bracconaggio fuori stagione». E un segnale, dice il regista, «che era giusto parlare di questo». In altre parole, «mi sono chiesto quale sia il senso profondo di mozzare la testa a un animale così bello per appenderla al muro: è un tentativo di capire e mi dispiace che qualcuno lo intenda come denigratorio».

Il regista si riferisce al reclamo inoltrato al Mediatore Rtv dalla Federazione cacciatori ticinesi riguardo ‘Il guardiacaccia’, fiction in 5 episodi trasmessa dalla Rsi nel dicembre 2017. Una serie liberamente ispirata dalla figura di Venanzio Terribilini e ambientata in un’epoca imprecisata precedente gli anni 2000. In sintesi, l’accusa mossa dai cacciatori è quella di aver denigrato la loro categoria. Come si legge nel reclamo, a dispetto dell’intento di raccontare il mondo della caccia in modo “realistico”, la serie infonderebbe “nel pubblico l’idea che i cacciatori sono bracconieri, delinquenti incalliti privi di scrupoli e di etica, assetati di sangue e noncuranti di ogni regola”.

L’aspetto più interessante in questa vicenda, ci pare, sta nel valore che da prospettive opposte viene assegnato alla finzione. Paradossalmente, nel reclamo dei cacciatori c’è un riconoscimento del potenziale insito nel racconto. Si tratta però di capire in che termini e in che misura questo debba essere tenuto in considerazione nel momento in cui si lavora a un film, per rappresentare in modo coerente una realtà (seppure romanzata), ma senza autocensure e senza venire meno ad inevitabili esigenze narrative e spettacolari. Nel penultimo punto del reclamo, infatti, si chiede “che la trasmissione non venga più resa accessibile in alcun modo”. È ammissibile?

Per i cacciatori si tratta di una visione delle cose riduttiva e non lecita. Come si difende l’autore? «In una narrazione di finzione, dentro un genere che ha lo schema del poliziesco, ci sono anzitutto esigenze drammaturgiche. Per un autore questo ambiente e le sue rivalità sono intriganti. Fra tutte le vicende che mi sono state raccontate da guardiacaccia e da cacciatori, ho scelto quelle che mi davano una progressione narrativa. Fin dal primo episodio c’è un setting romanzato in cui il protagonista e il bracconiere sono amici d’infanzia: è la comune radice da cui discendono strade diverse, le regole e un antico diritto personale. Questo percorso ha avuto pure ricadute positive, certo, ma fare l’elenco delle attività di collaborazione fra guardiacaccia e cacciatori, in una serie di 5 episodi di 23 minuti, non trova piano narrativo».

Ogni racconto di finzione però dà forma a una realtà. E vi siete documentati per questo, giusto? «Io ho lavorato nel solco della tradizione della fiction, non volevo che gli eventi mostrati nella serie corrispondessero a una realtà riconoscibile. Devo poi dire che molti racconti che ci sono stati riferiti, nella realtà erano più duri. Anche i personaggi negativi hanno sempre un riscatto morale. Io non posso certo ascrivermi agli animalisti duri e puri, però convivo con il quadro di riferimento della società oggi, in cui emergono nuove sensibilità e nuovi valori».

Come ha accolto questo reclamo? «In qualsiasi luogo, escluse le oligarchie e le teocrazie, credo che verrebbe definito non ricevibile. Io ritengo che il nostro lavoro abbia una sua validità: se da un lato una parte del pubblico lo ha criticato, dall’altro ha avuto un impatto considerevole, con il 35% di spettatori in prima serata. Ma l’aspetto che come autore è difficile accettare è che il tuo lavoro venga definito pubblicamente una “cag... pazzesca”. Non è lecito approfittare del proprio ruolo per demolire il lavoro di altri in un ambito, la narrazione di finzione, dove non si ha autorevolezza. Mi auguro che in questo Cantone chi pensa diverso, il libero pensatore non affiliato a logge, chiese o lobby, gruppi di interesse economico o partiti, venga pure trattato come un avversario, ma non insultato come un nemico».

‘Una realtà distorta’

Fabio Regazzi, consigliere nazionale e presidente della Federazione cacciatori ticinesi, conviene che nel suo ruolo si potrebbe far capo a espressioni meno colorite per esprimere il proprio disappunto, ma ribadisce che la sostanza del pensiero sul ‘Guardiacaccia’ non cambia. «Occorre considerare che come presidente ho subito le rimostranze di moltissimi cacciatori e che ho dovuto gestire una pressione non indifferente, ciò che ha poi indotto la Federazione a inoltrare un reclamo ufficiale al Mediatore Rtv, in seguito al quale è stata avviata una procedura di conciliazione con la Rsi».

Visto che si tratta di finzione, quali argomenti giustificano un reclamo? «Ci rendiamo conto del fatto che una fiction non è un documentario. Quello che ci ha dato fastidio è che ci si è spinti a un punto tale per cui non era facile capire dove fosse il confine fra la finzione e la realtà».

‘Cacciatori come animali’

Gli autori ribadiscono che gli episodi, pur romanzati, sono tutti ispirati a fatti reali... «Questi episodi, per quel che so risalenti a epoche lontane, sono stati rappresentati con delle forzature ingiustificate. La sensazione è che si volesse far passare un’immagine distorta del cacciatore, a partire da fatti deplorevoli che riguardano una minima parte del mondo venatorio». Un esempio? «Il caso più emblematico è quello del quarto episodio, quando si mostra un cacciatore che si ubriaca e urina, con il guardiacaccia che commenta “marcano il territorio come gli animali”, poi vede qualcosa che si muove (una ragazzina che è evidente che non è un selvatico), le spara e subito dopo beve ancora grappa. Infine lo si mostra al cimitero, aggiungendo che è stato prosciolto. Questo va oltre la finzione e per noi non è tollerabile». Per altro, proprio qui sta uno dei temi a cui Canetta tiene di più: l’assenza di una normativa sul consumo di alcol per chi va a caccia, «un non problema» per Regazzi.

Nel reclamo si chiede di non rendere più disponibile la serie, né in tv né su internet. Considerato il suo ruolo istituzionale, non rappresenterebbe un precedente pericoloso? «Non ritengo che le due cose vadano messe in relazione diretta; in ogni caso dal nostro punto di vista è una richiesta coerente. Di certo è un segnale che abbiamo voluto dare, siccome ci siamo sentiti offesi da una serie che aveva la pretesa, nelle intenzioni dichiarate dalla stessa Rsi, di raccontare il nostro mondo, ma che per farlo non ha nemmeno ritenuto di interpellare la federazione di riferimento». La Rsi, attraverso Milena Folletti, responsabile del Dipartimento Programmi e Immagine, preferisce non rilasciare dichiarazioni: «C’è una mediazione in corso».

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