Società

Le ragioni di un disagio

Un gruppo di docenti della Commercio firma una lettera in cui si esprimono “vicinanza umana” al ragazzo arrestato un mese fa e la necessità di una riflessione responsabile

11 giugno 2018
|

Quando nel nostro piccolo contesto sociale accade qualcosa che supera la nostra capacità di comprensione – l’imprevisto che ci turba scompaginando certezze solo apparenti – è forse un riflesso umano, entro certi limiti comprensibile, quello di cercare un colpevole. Nella vicenda – ancora tutta da approfondire – che ha portato all’arresto di uno studente della Scuola di commercio di Bellinzona, dai commenti più autorevoli alle più meschine chiacchiere social si è puntato il dito contro la famiglia, la scuola, le armi, il web, i libri pericolosi... Ora, un gruppo di docenti ci richiama a un’altra responsabilità, quel dovere morale e intellettuale che compete a persone adulte che, seppure incredule e angosciate, non rigettano con sdegno l’imprevisto come altro da sé, ma lo accolgono in quanto evento che inevitabilmente entra a far parte della loro storia quotidiana.

Nella lettera che pubblichiamo qui a lato, con uno slancio di grande umanità, 44 insegnanti della Commercio hanno ritenuto opportuno esprimere anzitutto una “vicinanza” al ragazzo che da un mese si trova in stato di arresto. In questa vicenda, purtroppo, hanno avuto un ruolo non marginale anche quei media che hanno promosso delle voci di corridoio a notizie (infondate), contribuendo così a uno sgomento e a un pre-giudizio collettivo pericoloso, se si considera che la persona coinvolta è un giovane da poco maggiorenne. Al momento, nel rispetto del lavoro della magistratura, nessuno può prevedere se le gravi accuse che gli sono state rivolte verranno o meno confermate, per intero o in parte. Nel dubbio logorante che questa vicenda avrebbe potuto avere conseguenze ancor più tragiche, l’unica certezza è che la prima vittima di quanto accaduto è lo stesso ragazzo arrestato, al di là di tutto espressione estrema di un malessere che non può non toccarci, interrogandoci in quanto abitanti dello stesso contesto sociale in cui tale disagio è maturato.

Con sensibilità e coraggio, questi docenti si richiamano alla loro responsabilità, nel perimetro dei loro compiti educativi (peraltro sempre più ampi e difficili). E a un’idea di cultura in quanto fattore conoscitivo e, crediamo, umano, con cui innescare un processo virtuoso in grado di sottrarci a quella “violenza” e a quel “disperato senso di abbandono” che minacciano noi tutti, indistintamente. Quando l’imprevisto prende corpo, come sempre il difficile è non cedere all’istinto di cercare il capro espiatorio – la presunta causa del tutto che rimette subito ordine nel caos – ma fare proprio quel caos, sentirsene parte, attraversarlo con i propri pochi fragili strumenti. Con un minuscolo frammento di responsabilità verso quel corpo sociale che lo ha generato.

La lettera

“Sono passate alcune settimane da quando un allievo della Scuola cantonale di commercio – la scuola in cui noi lavoriamo – è stato fermato dalla polizia in quanto accusato di voler compiere delle azioni gravissime. La notizia ci ha profondamente scossi e impressionati, tanto che sono state necessarie molte discussioni sia tra di noi sia con i nostri allievi per riuscire a capacitarci di una situazione che ci lascia ancora increduli. Molte cose sono già state dette nelle scorse settimane, e da più parti si sono potute sentire e leggere varie analisi di diverso tenore.
Noi vorremmo – al di là del discorso sulle responsabilità che sarà la magistratura ad appurare – esprimere vicinanza umana allo studente che in questi ultimi tre anni ha condiviso con noi i tempi e gli spazi della scuola e che adesso si trova ad affrontare le conseguenze di ciò che sarebbe potuto accadere. I fatti che gli sono imputati, innegabilmente, sono il frutto di una sua ingestibile sofferenza, una sofferenza che ci colpisce e ci interroga.
Quello che è avvenuto non deve infatti farci dimenticare che, quando la violenza cerca di prendere il sopravvento sulla riflessione, è difficile pensare che non ci siano vittime. In questo caso il disagio di un ragazzo avrebbe potuto trasformare per sempre la nostra realtà. È perciò con rinnovato vigore e ancora maggiore senso di responsabilità che ci richiamiamo ai nostri compiti educativi. Perché crediamo fermamente che la cultura e la conoscenza rappresentino il migliore anticorpo contro la violenza e il disperato senso di abbandono. Ci auguriamo infine che la società civile, in questa dolorosa circostanza, assuma un atteggiamento attento, equo, animato dal necessario senso della giustizia”.

(Roberto Ferrari, Mattia Noseda, Matteo Rossi, Tommaso Soldini, Marco Bassi, Ronny Bianchi, Natalia Lepori, Yari Moro e Paolo Pontinelli: primi firmatari fra 44 docenti della Scuola cantonale di commercio di Bellinzona).

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔