Società

Sessantotto ma non li dimostra

Al via la 68esima edizione del Festival del Cinema di Berlino

15 febbraio 2018
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Apre oggi la Berlinale numero 68, una manifestazione che il direttore Dieter Kosslick, cinephile e uomo di mondo, ha composto per un Concorso con meno di venti film, un fuori concorso di peso, una sezione “culinary” che lo vede rossinianamente protagonista, una retrospettiva di grande interesse. Il tutto rivolto a un pubblico di oltre trecentomila persone, pronte a riempire le sale sparse in tutta Berlino. Perché la Berlinale è l’unica grande manifestazione internazionale cittadina, di una città che vive il Festival non come mercanzia, come succede a Cannes e Venezia, ma come immancabile quotidianità di un febbraio che confonde il Carnevale con il grande sogno cinematografico. Il Festival di Berlino si è aggiudicato un ottimo riconoscimento nel mercato internazionale – certo, non al livello planetario di Cannes –, schierandosi in prima fila per quel che riguarda la diffusione dell’immagine in movimento dall’Europa e per l’Europa.

I film in e fuori concorso

La competizione di quest’anno è emblematica nell’unire l’atteso “Isle of Dogs” dell’intrattenibile Wes Anderson, con “Ang Panahon ng Halimaw” (Season of the Devil) del rigorosissimo Lav Diaz. E, se il primo confeziona un film d’animazione in stop motion con le voci di Bryan Cranston, Bill Murray, Jeff Goldblum, Scarlett Johansson e Edward Norton, il maestro filippino, vero autore da Festival, gli oppone 234 minuti di racconto sul terrore vissuto da un villaggio controllato dai militari negli ultimi anni 70.

Diversi sono i film che, se non biopic, prendono spunto dalla vita di personaggi noti. Tra questi, “3 Tage in Quiberon” di Emily Atef, che ricostruisce una delle ultime interviste della divina Romy Schneider; “Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot” di Gus Van Sant, film basato sull’omonima biografia del vignettista satirico John Callahan, qui interpretato da Joaquin Phoenix; “Dovlatov” di Alexey German Jr., dedicato allo scrittore russo-ebraico di origine armena Sergei Dovlatov. Ispirato a un terribile fatto di cronaca è “Utøya 22. Juli” di Erik Poppe, che ricorda il massacro di 69 giovani attaccati da un giovane estremista fascista nell’isola di Utøya in Norvegia.

C’è spazio anche per un western romantico, “Damsel” di David & Nathan Zellner; per un film sui nazisti – presenza quasi dovuta qui a Berlino, per non dimenticare una colpa così orrida. Così ecco “Transit” di Christian Petzold, ambientato nella Parigi occupata e tratto dall’omonimo racconto di Anna Seghers. Molto atteso è “Eva” di Benoît Jacquot, con la grande Isabelle Huppert.

Coprodotto tra Svizzera, Italia e Germania è “Figlia mia”, opera seconda della regista romana Laura Bispuri. Un film ambientato in Sardegna, con Valeria Golino e Alba Rohrwacher nelle parti di due madri che si contendono l’amore di una figlia. Dagli accenti svizzeri anche la storia di due gemelli raccontata in “Mein Bruder heißt Robert und ist ein Idiot” di Philip Gröning, una coproduzione tra Germania, Francia e Ventura film. Il paraguayano Marcelo Martinessi, con il suo “Las herederas” (Le ereditiere), vuole offrire uno sguardo nuovo sul suo paese, così poco frequentato dal cinema. Con “Pig” (Khook) l’iraniano Mani Haghighi affronta il tema – non gradito nel suo paese – di un regista costretto a non girare film. Sembra chiara l’allusione a Jafar Panahi, regista caro a Berlino che qui nel 2015 è stato Orso d’oro per “Taxi”.

In concorso anche la pellicola di un regista e di un’attrice, “Touch Me Not” di Adina Pintilie; “In den Gängen” (In the Aisles) di Thomas Stuber sulla storia di giovani che incontrano il lavoro; “Museo” di Alonso Ruizpalacios, con un Gael García Bernal che vuole rubare una preziosa maschera funeraria Maya. A occuparsi di una comunità di drogati è “La prière” di Cédric Kahn, mentre “Toppen av ingenting” (The Real Estate) di Axel Petersén e Måns Månsson racconta di un’eredità che cambia la vita. Infine “Twarz” (Faccia) di Małgorzata Szumowska, storia di un uomo che a causa di un incidente deve cambiare volto.
Sulla carta un bel concorso e, fuori competizione, grande attesa per “Unsane” di Steven Soderbergh; “7 Days in Entebbe” di José Padilha, incentrato sul volo tra Tel Aviv e Parigi del 27 giugno 1976 dirottato dai palestinesi; “Ága” di Milko Lazarov, ambientato nel grande Nord e “Black 47” di Lance Daly, che va a indagare i fatti che precedono le grandi lotte dell’Ira. Poi ci si perde in un calendario fittissimo dove ogni film, come sempre, è uno scrigno da aprire per scoprire riflesso il senso del proprio vivere.

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