Scienze

Come un vulcano ha compromesso il regno d'Egitto

Una gigantesca eruzione vulcanica in Alaska ha modificato il clima, accompagnando una delle transizioni politiche più importanti della storia occidentale

Dalla morte di Giulio Cesare al vulcano Okmok (Foto Nasa)
23 giugno 2020
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La storia è fatta da uomini e donne: così siamo abituati a pensare al passato tra battaglie, rivoluzioni, invasioni, riforme. Ma c’è un altro modo di leggere la storia, partendo non dagli esseri umani e dalle loro decisioni, ma dal clima: un approccio divenuto popolare con l’interessante saggio di Wolfgang Behringer ‘Storia culturale del clima’ (pubblicato in italiano da Bollati Boringhieri), in cui gli ultimi millenni di *Homo sapiens* vengono ripercorsi riconducendo, pur con qualche forzatura, i grandi eventi ai mutamenti climatici occorsi nella storia. Senza determinismo: l’idea non è che temperatura e umidità da soli costruiscano la storia, ma guardare come le società umane si sono adattate, o hanno cercato di adattarsi, ai cambiamenti climatici. E magari renderci conto di cosa potrebbe portare il riscaldamento globale in corso, ma questo è un altro discorso.

Tornando alla storia climatica e sociale, una nuova ricerca sembra confermare come il legame tra eventi climatici e umani: secondo uno studio pubblicato negli scorsi giorni sui ‘Proceedings of the National Academy of Sciences’ al quale ha anche collaborato l’Oeschger-Zentrum für Klimaforschung dell’Università di Berna, l’eruzione di un vulcano in Alaska avrebbe contribuito alla caduta del Regno tolemaico d’Egitto e al passaggio di Roma da Repubblica a Impero, una tra le più importanti transizioni politiche della storia occidentale.

Il vulcano Okmok, sulle isole Aleutine al largo dell’Alaska, ebbe una grande eruzione nel 43 a.C., l’anno dopo l’assassinio di Giulio Cesare. L’esplosione lasciò un cratere di 10 chilometri di diametro, ma soprattutto proiettò gas sulfurei e ceneri oltre i 30 chilometri di quota: secondo quando ricostruito dal team di ricerca interdisciplinare, goccioline di acido solforico sarebbero rimaste nell’atmosfera per più di due anni, causando un periodo freddo all’interno di quello che gli storici del clima chiamano Optimum climatico, un periodo di tempo mite durato dal Terzo secolo a.C. fino al Quarto secolo dopo Cristo.

Gli studiosi hanno analizzato alcune carote di ghiaccio provenienti dalla Groenlandia e dalla Russia, trovando uno strato ben conservato di cenere vulcanica finissima che ulteriori analisi hanno confermato proveniva dal vulcano Okmok. Ma la ricerca non si è fermato alla geochimica: si è infatti andati alla ricerca di tracce storiche di questo brusco cambiamento climatico. E diverse fonti riferiscono di un freddo insolito – da 3 a 7 gradi di meno – che ha portato a pessimi raccolti, carestie, epidemie e disordini nella regione mediterranea.

In tutta l'Europa meridionale non solo faceva freddo, ma era anche umido; e di conseguenza, i raccolti molto scarsi. Secondo i calcoli dei ricercatori bernesi, le precipitazioni estive sono state tra il 50 e il 120% superiori al normale e in autunno ha addirittura piovuto quattro volte di più del solito.

Le conseguenze dell'eruzione vulcanica per l'Africa orientale sono state ben diverse. Il monsone estivo si è spostato a sud, compromettendo l’annuale inondazione del Nilo in Egitto. Un’iscrizione fa riferimento di importanti carestie, celebrando un governatore locale che è riuscito a trovare cibo per la popolazione affamata nonostante l’assenza della piena del Nilo.

Questa ricerca “ci permette di ripensare la storia antica, in particolare per quanto riguarda l’ambiente e il clima, e di arrivare a una visione dinamica e tridimensionale della società”, ha affermato uno degli autori,
Joe Manning dell’Università di Yale. Aggiungendo che attualmente l’isola di Okmok è abitata da circa 40 persone (e 7’500 bovini): ironico, ha concluso Manning, che proprio un evento avvenuto in una località remota e apparentemente insignificante abbia contribuito a plasmare la storia dell’Occidente.

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