Sogno o son Festival

Sanremo, dirige il maestro Danilo Minotti

Ventisette anni di sodalizio con Baglioni, dal vivo e in studio con Malika, Paoli, Morandi, Mina e altri grandi. E con Iva nelle due standing ovation

Danilo Minotti
(foto: laRegione)
4 febbraio 2022
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Abbiamo chiesto al sosia di Bono degli U2 come gli sia venuto in mente di screditare tutta una vita di successi. Dice di chiedere a quello vero. La hall dell’hotel è un pullulare di fasce di miss di ogni età. Mentre a livello del mare il mondo della musica persegue il rispetto maniacale delle distanze (meno i fan di Mahmood e Blanco sotto a fermare il traffico poco più in là) in questa struttura in cui “ambienti luminosi, lampadari di cristallo, stucchi antichi e il personale sempre sorridente vi accolgono e vi trasportano in un clima di piacevole charme e relax” si tiene un concorso di bellezza. È uno dei momenti di “voyeurismo spinto” di Sanremo (cit. Alessio Pizzicannella), che se ci fosse il tasto del bianco e nero, complice la struttura Belle Époque, al bancone del bar apparirebbero Nilla Pizzi e Carla Boni e sopra il divano damascato, prima rosso fuoco, siederebbe il maestro Cinico Angelini, a cambiare armonie sul pentagramma.

Raggiungiamo qualche piano più su il maestro Danilo Minotti, di casa sul palco di Sanremo, ma leggermente spostato a destra. Nulla di politico, a destra (altri anni a sinistra) sta il podio dal quale il direttore d’orchestra muove quella oliata ‘macchina da guerra’ che è l’orchestra del Festival. Siamo qui per il nostro annuale viaggio nei mestieri alternativi al cantante di Sanremo e così come fu nel 2020 per Rita Pavone (76 anni), rock quanto Victoria dei Måneskin, così come fu per Orietta Berti (78), che nelle interviste parlò di spie di palco ed ear monitor e non di ciclamini, dopo la standing ovation del Teatro Ariston a Iva Zanicchi ci ritroviamo a scrivere di ‘maturità’. Roba, la Iva, da Whitney Houston che nel 1987 fece il bis di ‘All At Once’.

«Sono 70/80enni che a mio parere godono della parte più pura della musica, che non s’aspettano nient’altro che l’unicità di ogni evento che può riguardarli, un evento che sia unico, irripetibile, senza aspettative di classifica o di vendite, perché il loro target si è già concluso». Danilo Minotti – a dirigere, arrangiare, suonare, dal vivo e in studio per Claudio Baglioni, Malika Ayane, Gino Paoli, Mina, Mia Martini, Gianni Morandi e altri grandi della canzone italiana – muove l’orchestra di Sanremo anche sulle note di ‘Voglio amarti’ di Iva Zanicchi: «Ottantenni come lei, dopo tutti questi anni, dopo tutto quanto fatto, c’insegnano a vivere la cosa più bella che c’è senza doversi aspettare nulla».

Partiamo dalla standing ovation di mercoledì?

È stata una sorpresa in tutti i sensi. Siamo stati fortunati anche dal punto di vista della scaletta, giungendo da qualcosa di estremamente diverso e sperando che quanto portato da Iva sarebbe stato una botta. E così è stato, perché l’arrangiamento del brano non nasce per colpire il pubblico, ma in funzione della musica. È Iva che ha una forza enorme: è arrivata sul palco emozionata e come sempre le succede, una volta partito il pezzo, l’emozione si è dissolta ed è partita la marcia in più, quella per la quale tutti si sono alzati in piedi tanto da stupire pure lei, soffocata da una bellezza che ha incluso l’orchestra, in piedi anch’essa, cosa che non è successa con nessuno. Quando Iva ha detto “per me il Festival finisce qui”, era vero, nel senso che non ci si aspetta di arrivare alla vittoria, però è un grandissimo risultato, poco colto dai giornalisti che hanno giudicato la canzone. I fischi in teatro verso la classifica vengono dalla discrepanza da quanto avvenuto lì.

Frequenti Sanremo come direttore d’orchestra dal 1998 con Paola Folli, alla tua prima direzione, ma anche come chitarrista dell’orchestra, per la prima volta nel 1990: quali caratteristiche servono per coprire 25 canzoni, come quest’anno, sempre così diverse tra loro?

È una delle esperienze più difficili. Due anni fa ci fu un grosso personaggio nell’orchestra di Sanremo, un non italiano trovatosi in difficoltà, un grandissimo nome, il più grande di quel genere, ma specifico solo di esso. Quando fai Sanremo, come dici, hai 25 canzoni, dalla ragazzina di 16 anni a Iva Zanicchi che ne ha un po’ di più. La preparazione del chitarrista e del musicista in generale deve essere quindi molto ampia, specialmente per la ritmica, perché se l’orchestra e i fiati potrebbero suonare bene brani di diverse epoche, per chitarre, batterie, tastiere e pianoforti si ha bisogno di chi sappia adattarsi perfettamente a tutto. Al turnista italiano si richiede pertanto un’apertura a forbice ampissima nel saper coprire tutti i generi.

Danilo Minotti anche arrangiatore, figura che spesso cambia il corso delle canzoni…

Mi è successo di dover rivedere arrangiamenti quasi totalmente, per esservi di partenza un’intuizione sbagliata, o perché l’artista ti porta a rileggere in modo diverso una canzone. Certo è che si tratta di un lavoro da farsi con tanta fiducia, insieme all’artista stesso. Non amo lavorare da solo e poi fare ascoltare il mio prodotto alla fine, preferisco costruire strada facendo, rischiando solo raramente di arrivare male alla fine, e sempre cercando un marchio, un’idea che possa distinguere l’arrangiamento e rappresentare l’artista stesso.

Parlando della lavorazione del suo disco, il giovane Yuman ci ha detto: “Mi piacciono gli strumenti”. Un tempo non c’era altro modo per fare un disco se non suonando gli strumenti…

Insegnando in Conservatorio ho il polso di ragazzi che entrano in un modo e ne escono in un altro. Io cerco sempre di far conoscere cos’è un’orchestra, che è qualcosa di sempre più raro, ecco perché Sanremo deve rappresentarla. Grazie al Festival nascono esperienze parallele che l’alimentano. Il conoscere lo strumento è qualcosa di determinante: ai miei allievi, per quanto siano solo cantanti o batteristi, cerco sempre di offrire il massimo della conoscenza del resto, oltre il proprio strumento. Il cantante dovrebbe anche suonare e così il batterista, il corista dovrebbe anche comporre, per non rimanere nel proprio orticello, perdere di creatività e rimanere isolati.

Tra chi canta e suona, a volte anche più di uno strumento, c’è Claudio Baglioni, il vostro è un sodalizio molto lungo…

È dal 1995 che collaboro con lui. È uno degli artisti, se non l’artista, più completi. In questo momento è di nuovo in tournée da solo con il pianoforte per tre ore di concerto e non credo che siano in tanti a poterselo permettere. E volendo, potrebbe fare la stessa cosa con la chitarra. Inoltre, compone le sue canzoni, ne scrive i testi e ha una conoscenza che si estende a tutto tondo al resto. In ‘Uà’, il programma televisivo per il quale ho scritto gli arrangiamenti, ho potuto constatare la sua conoscenza al di là delle sue canzoni. Può succedere che l’artista, dopo tanti anni che suona le sue cose, cominci a fare soltanto le sue cose. Lui invece è rimasto curioso.

Un momento che ti porti nel cuore?

Parlando di Claudio, nel 2014, quando 15 giorni prima della sua apparizione come super ospite di Sanremo mi chiamò per chiedermi di scrivere e dirigere un medley di 15 minuti. In 15 giorni ci siamo visti, abbiamo messo a punto le stesure e ci siamo presentati a Sanremo per un passaggio che fu, a parer mio, bellissimo. Un altro dei ricordi legati alla direzione d’orchestra, sempre con lui, è un concerto in Vaticano con un’orchestra sinfonica preparato in due mesi, in occasione del compleanno del Santo Padre, un concerto in Mondovisione di tre ore per il quale scrissi tutti gli arrangiamenti e la direzione d’orchestra.

Quando hai carta bianca, quando davanti a te hai qualcuno che ti dice “fai tu”, la responsabilità è grande ma altrettanta è la libertà. Un altro bel momento riguarda Malika, a Praga, per registrare gli archi di alcuni brani con un’orchestra non di lingua italiana, ma guidata con un linguaggio nostro, una bellissima scoperta.

Questo Sanremo voi protagonisti lo guardate in tv, rimpiangete tutti un dietro le quinte non più frequentabile…

Sì. Io ne ho fatti tanti in cui ci si divertiva prima e dopo le prove, durante le registrazioni, nella green room. Quest’anno è tutto cambiato, purtroppo, e spero non si debba vivere oltre questo tipo di restrizioni. Ce lo guardiamo su RaiPlay, magari insieme a Iva.

Che Sanremo è questo?

Ci sono sempre due Sanremo all’interno di ogni Festival. Uno è lo spettacolo e l’altro è la gara. Nella gara, ogni cantante porta sé stesso, il proprio arrangiamento, il proprio arrangiatore, il proprio direttore d’orchestra. E poi c’è lo spettacolo, che ieri era Laura Pausini, Checco Zalone. Per quel che riguarda lo spettacolo, non ho visto il guizzo del nuovo, pur restando Sanremo un grande momento di attenzione frequentato dai grandi artisti. Vivo la fortuna di poter comunque stare sopra una nave che si muove soltanto in questo momento dell’anno, all’interno di uno spettacolo bellissimo, per il quale si potrebbe far meglio come ogni cosa, ma che alla fine mette d’accordo tutti.

Ti ricordo in uno spettacolo che aveva il guizzo, e che cambiò, credo, la storia dell’intrattenimento. Si chiamava ‘Anima mia’…

‘Anima mia’ fu uno spettacolo spartiacque, nato da una grandissima idea di Fabio Fazio e dai suoi autori, che coinvolsero Claudio intuendo che fosse la persona più giusta in quanto la più sbagliata. Fu un po’ come intuire il suo poter fare quanto avevano in mente pur vedendogli fare tutt’altro. Un rischio enorme. Una volta convocati, lavorando con Claudio, noi musicisti pensammo di dover suonare ‘Strada facendo’ e ‘Avrai’, e invece ci ritrovammo gli spartiti di ‘Orzowei’, ‘Ufo Robot’ e ‘Sandokan’, convinti che si fossero tutti bevuti il cervello. In ‘Anima mia’ ci siamo divertiti come bambini, anche con gli ospiti. C’è un momento della puntata con ospite il Capitano Kirk in cui io e Danilo Rea ci mettiamo a favore di camera per essere inquadrati insieme a lui. In quella trasmissione, Claudio si mise in gioco in maniera totale, fino a punti altissimi raggiunti nel duetto con gli Inti-Ilimani. Tanto fu sbalorditivo quel programma che da quattro che dovevano essere, le puntate diventarono cinque. L’unico che non si divertì fu Gavin Harrison, un britannico, per il quale suonare ‘Ufo Robot’ era come suonare una qualsiasi altra canzone. Aveva scritto in faccia: “Ma che avranno questi da divertirsi tanto?...”.

Sette ore dopo, le standing ovation di Iva Zanicchi sono diventate due. La stampa le ha già preferito Emma, e va bene così. «Ma credo che su Iva a questo Festival di Sanremo ci sia ancora molto da scrivere». Sul divano che fa pendant con la parete c’è la partitura di ‘Canzone’, la cover scelta per la quarta. «Ci abbiamo lavorato tanto. A un certo punto si è presa anche più tempo di ‘Voglio amarti’». “Nella versione di Milva”, hanno scritto. «Nella versione di Iva, posso garantire».

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