Sogno o son Festival

Un Sanremo da paura: è tardi ma ‘chapeau’ (la prima serata)

Coi Måneskin viene giù il teatro, non con Ranieri (purtroppo). La Sala stampa premia Mahmood e Blanco; poi Rappresentante di Lista e Dargen D’Amico

2 febbraio 2022
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Fu una maratona televisiva di 25 ore, altro che il Festival di Sanremo. “Ha toccato. Ha toccato il suolo lunare!”, dice Tito Stagno spostando lo sguardo tra monitor e telecamera, muovendo un braccio che, per cotanta felicità, pare volersi abbattere da un momento all’altro sul tavolo; “No, non ha toccato!”, risponde Ruggero Orlando da Houston. Ma Tito Stagno non lo sente, e orgogliosamente sentenzia: “Signori, sono le 22.17 in Italia, sono le 15.17 a Houston, sono le 14.17 a New York. Per la prima volta un veicolo pilotato dall’uomo ha toccato un altro corpo celeste. Questo è frutto dell’intelligenza, del lavoro e della preparazione scientifica, della fede degli uomini. A voi Houston”. E da Houston: “Qui ci pare che manchino ancora dieci metri”. Si apre allora un confronto tra gentiluomini in diretta televisiva sul fatto che “da due metri e mezzo non si passa a dieci” (Stagno a Orlando), durante il quale i due non alzano mai la voce come oggi succederebbe su Rete 4. Dirà Stagno all’Ansa a cinquant’anni da quel luglio ’69: “La cosa buffa è che mentre noi parlavamo, perdemmo l’annuncio di Armstrong “Houston, qui base Tranquillità, l’Aquila è atterrata’’. Qualche secondo dopo, il Lem spense i motori. Fu così che applaudimmo due volte lo sbarco sulla Luna”.

Televisivamente parlando, ad Amadeus sarebbe tanto piaciuto annunciare in diretta il nome del nuovo Presidente della Repubblica, parole sue. Gli toccherà, in altri toni, ricordare un pezzo importante della Tv di Stato andatosene ieri a 92 anni, legato per sempre a uno dei momenti storici della comunicazione di massa oltre che dell’umanità, con l’Italia in bianco e nero collegata al più diffuso social del 1969, un media dalla forma univoca al quale tu, spettatore, non potevi rispondere. Giornalista, documentarista, il controllo da anchor man televisivo unito agli occhiali spessi un dito, per chi la Luna fosse un ricordo troppo lontano, Tito Stagno è stato la Domenica Sportiva, da lui condotta dal 1976, quando ancora il calciomercato faceva parte delle patologie psichiatriche. Tanto dovevamo alla nostra infanzia: il Festival può cominciare.

‘Il booster dell’intrattenimento’

“O è l’età, che sto per compiere sessant’anni, o è il pubblico. Ci siete mancati tantissimo”. Negli occhi di Amadeus le lacrime resistono a stento alla forza di gravità. Il suo grazie va anche al pubblico dell’anno scorso, l’orchestra.

In meno di dieci minuti è già cronaca, è già ‘Domenica’, ma potrebbe pure essere ‘Rolls Royce’: l’Achille Lauro show, con tanto di Harlem Gospel Choir al fianco, pare il più castigato dei suoi ‘quadri’, così come ridottissime sono qui le potenzialità del coro, santini dell’Achille in mano. Fino al momento in cui il cantante si genuflette e si battezza da sé. Il giovane Yuman passa da questa pagina al palco dell’Ariston per cantare, non senza un po’ d’emozione, la bella ‘Ora e qui’; poi Noemi canta ‘Ti amo non lo so dire’ e Gianni Morandi, i primi tre, se li mette in tasca: il lungo applauso dell’Ariston prima che ‘Apri tutte le porte’ cominci è quello che ai grandi si riserva solitamente alla fine.

Alla maniera di James Bond, con la pistola-termometro nella mano destra, Fiorello entra all’Ariston provando la febbre al pubblico: “Sono la vostra terza dose, sono il booster dell’intrattenimento”; scherza con i santi (“Sono curioso di sapere quale voto ha dato l’Osservatore Romano ad Achille Lauro) e lascia ai posteri di questa edizione alcune sentenze: “I Jalisse hanno un bambolotto con le sue sembianze” (le sembianze di Amadeus, che a Sanremo non li vuole proprio), cita un ipotetico “discorso di fine anno a banche unificate” di Mario Draghi e si lancia in canzoni tristissime cantate in maniera allegra: in modalità trenino, in duetto col presentatore, sfilano ‘Disperato’ di Masini, ‘Vedrai vedrai’ di Tenco, ‘Com’è triste Venezia’ di Aznavour, fino a ‘Vecchio frack’.


Apre tutte le porte (proprio tutte) - Keystone

Zitti e bravi

Piazzata se non vincente, sfila La Rappresentante di Lista (‘Ciao ciao’), meno piazzato Michele Bravi (‘Inverno dei fiori’, da secondo ascolto, anche terzo), mentre il Festival di Ornella Muti è stato martedì mattina, lei messa sulla graticola dalla stampa di destra per le posizioni pro-cannabis: “La cannabis legale – aveva risposto l’attrice in conferenza stampa – è già legale. Sostengo quella e non l’aspetto ludico. Perché sembra che io giri per il backstage distribuendo canne” (il tema ‘Ornella Muti e il conflitto Russia-Ucraina’ è trattato qui).

Alle 22.12, il presentatore vestito da autista li recupera all’Hotel Globo: il furgoncino gira l’angolo e dall’entrata di via Roma, puntellata di teenager per tutto il pomeriggio, rilanciati da un gustoso backstage di strumenti ed ear monitors, i Måneskin tornano dove tutto è cominciato. Ora il pubblico c’è: sono passati 11 mesi, 4 miliardi di streaming, 40 milioni di ascoltatori mensili su Spotify, i Rolling Stones e il mondo ai loro piedi, ed è tempo per ‘Zitti e buoni’ (visivamente affossata da una regia che nulla sembra sapere di musica e che, le canzoni, le affossa una alla volta). Torneranno, i Måneskin, con ‘Coraline’.


Dove tutto è cominciato (Keystone)

Leggerissimi

Su quel piccolo capolavoro che è ‘Lettera di là dal mare’, la voce tradisce Massimo Ranieri, ed è con tristezza che lo scriviamo. Mahmood e Blanco, in un brano che ha la dolcezza di Elisa e l’imponenza che fu di ‘Gioventù bruciata’, vinceranno e lo diciamo adesso. In mezzo al traffico (ordinato), transita il sex symbol Berrettini, orgoglio italiano del tennis, e la sex symbol Ana Mena con ‘Duecentomila ore’. C’è anche la canzone donne&motori di Rkomi (‘Insuperabile’). “Sei stato perfido a mettermi dopo i Måneskin”, dice Dargen D’Amico, prima dell’inno danzereccio ‘Dove si balla’, solo apparentemente stupidella.

Verso la fine, Colapesce Di Martino in ‘Musica leggerissima’ tracciano la strada per chi volesse (potesse) fare altrettanto, ma non c’è un’altra ‘Musica leggerissima’ quest’anno, almeno alle nostre orecchie. Nemmeno la graziosa ‘Miele’ di Giusy Ferreri col megafono.

Un appunto: il tributo a Franco Battiato alle 00.40 con poche note de ‘La cura’, fa inc******.

Vota Antonio vota Antonio

Per gli amanti dei regolamenti che, di solito, si muovono assai bene tra le offerte delle compagnie telefoniche: da ieri sera, anche se nessuno verrà eliminato, si vota. Di come si elegge un Presidente della Repubblica sappiamo tutto; di come si elegge colui o colei o coloro che andranno all’Eurovision Song Contest (da alcuni anni ci va chi vince Sanremo) diciamo qui: tre giurie autonome per i giornalisti accreditati in loco o da casa (carta stampata, Radio e Tv, le prime due serate), la Giuria della Sala Stampa + le suddette + Televoto + giuria ‘Demoscopica 1000’ (“Mille componenti selezionati secondo equilibrati criteri di età e di provenienza geografica”), nella quarta e quinta serata. Ad Amadeus “sta bene se uno ha 10 milioni di follower, tanto è il tempo che premia le canzoni”, anche se, citiamo Baglioni, il podio è adesso. Aggravante, gli orchestrali quest’anno non voteranno (loro che di musica ne sanno un botto).

Dopo il voto della Sala stampa, questa è la classifica:

  1. Mahmood e Blanco, ‘Brividi’
  2. La Rappresentante di Lista, ‘Ciao ciao’
  3. Dargen D’Amico, ‘Dove si balla’
  4. Gianni Morandi, ‘Apri tutte le porte’
  5. Massimo Ranieri, ‘Lettera di là dal mare’
  6. Noemi, ‘Ti amo non lo so dire’
  7. Michele Bravi, ‘Inverno dei fiori’
  8. Rkomi, ‘Insuperabile’
  9. Achille Lauro, ‘Domenica’
  10. Giusy Ferreri, ‘Miele’
  11. Yuman, ‘Ora e qui’
  12. Ana Mena, ‘Duecentomila ore’

Come ogni anno a quest’ora, è iniziato ‘Sottovoce’ con Gigi Marzullo. È un segno.

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