Sogno o son Festival

Sanremo: 'Commedia dell’arte, all’italiana e opera buffa'

Pillole di colta ironia musicale da Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Festival interrogato su altra kermesse

Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival (Ti-Press)
4 marzo 2021
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«Sanremo non è solo Sanremo. È commedia dell’arte, commedia all’italiana e opera buffa tutto mixato insieme a misura di pubblico televisivo. Per tastare il polso al paese, Sanremo è attendibile come Porta a Porta. Ci sono cose bellissime e altre tremende. Il decadente charme transgender di Achille Lauro dal fascino “gloriaswansoniano” alitato sul paese dal suo cuore nazionalpopolare è un frisson impagabile. Lo psicodramma Morgan-Bugo – con una canzone perfetta come ‘Sincero’ – diventa subito sigillo di un’epoca. E Diodato lo canticchio, male, ogni volta che passa alla radio».

Ci avremmo scommesso una Paillard Bolex degli anni '50 (che non possediamo) che Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival – in gioventù fan di Led Zeppelin, Kiss, Deep Purple, Nazareth, amante del jazz, del soul, della new wave “nelle declinazioni più no wave” – ci avrebbe dato una degna definizione del Festival di Sanremo. Quindi, ne approfittiamo:

Giona Nazzaro: perché, a suo parere, Sanremo dura da settant’anni? Dove sta il segreto?

Come tutti i segreti, è un segreto aperto, visibile, alla portata di tutti, è pertanto impenetrabile. Di Sanremo, fateci caso, si parla sempre male, ma poi tutti davanti alla tv. Il segreto di Sanremo è il segreto dell’evidenza. Che per definizione è misteriosa. Quindi accessibile a tutti.

I suoi primi ricordi televisivi, anche non sanremesi, e le cose di valore che ricorda di avere visto?

In tv la prima cosa che ricordo, è un vecchio film con effetti speciali di Ray Harryhausen. In bianco e nero. Emozione indelebile. Quando Vivevo a Dübendorf, aspettavo il sabato sera per vedere Scacciapensieri sulla Rsi, cui seguiva il film. ‘Il ritorno di Ringo’ di Duccio Tessari, con il magnifico tema di Morricone cantato da Maurizio Graf, che porto inciso nella memoria.

Se invece di Marco Solari qualche mese fa l’avesse chiamata il direttore di Rai 1, Giona Nazzaro libero da vincoli storici e di mercato che tipo di manifestazione avrebbe creato?

Prima di tutto avrei chiamato a coadiuvarmi nella missione Rossano Lo Mele, direttore di Rumore e batterista dei Perturbazione, Alessandro Marenga, compositore tecno, Tommaso Colliva responsabile del successo di Diodato, James Senese, Nino D’Angelo, Speranza, i Fratelli Malibu, Il quadro di Troisi e Steve Sylvester. Avrei provato a fare di Sanremo un Be-In intrecciato con una Canzone per l’estate e il Festival di Fuorigrotta. E un po’ di Festivalbar. 

Si è mai immaginato su quel palco? Quale canzone avrebbe voluto cantare?

Non canto nemmeno sotto la doccia, figuriamoci sul palco di Sanremo. Se dovessi cantare una canzone, mi piacerebbe essere autentico come Nino D’Angelo con ‘Senza giacca e cravatta’, Battiato con ‘La cura’, Alberto Camerini con ‘Alberto’, Alan Sorrenti con ‘Vorrei incontrati’, Ivan Graziani con ‘Lugano addio’. E se proprio mi devo vedere sul palco dell’Ariston, allora vorrei essere Antonella Ruggiero che canta ‘Elettrochoc’.

 

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