Sanremo

Allarme rosso (also sprach Red Ronnie)

Cosa accomuna le radio libere, il Magnum vegano, i talent show e la poetessa del rock? È tutto spiegato qui sotto...

(Red Ronnie, Casa Sanremo)
9 febbraio 2019
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Uomini di spettacolo si nasce, probabilmente. La migliore intervista rilasciata da Red Ronnie a un giornalista ad oggi risale allo scorso Festival, quando alla festa di Radio Italia un simpatico inviato mise insieme nome e cognome, scambiandolo sinteticamente per Ron. Così, incalzato sulla genesi di ‘Piazza Grande’ e su quella di ‘Attenti al lupo’, Red, una volta scambiato per Rosalino, decise di portare avanti questa commedia degli equivoci conversando amabilmente con l’intervistatore fino a quando questi, a suggello di quella che ai propri  occhi – e pure ai nostri, non fosse che Ron canta e Red Ronnie presenta – fino a quel momento doveva essergli sembrata una buona intervista, chiede a Red di cantargli ‘Piazza Grande’.

Antesignano della tecnica “Microfono in mano e telecamera nell’altra”, Gabriele Ansaloni da Pieve di Cento ha scritto la sua storia della musica, dalle radio libere al televisivo ‘Be Bop a Lu La’, dal suo ‘Roxy Bar’ aperto anche e soprattutto ai non consacrati, durato 25 anni, fino alla mostra internazionale ‘L’isola del Che - L’arte nella rivoluzione cubana’. Lo incontriamo nel carnaio pomeridiano di Casa Sanremo.

Sono qui con uno smartphone puntato sulla tua faccia e mi sento tanto Red Ronnie. Come hai cominciato?
A me non è mai piaciuta la mia immagine. Non sono un narcisista e ho sempre amato stare dietro, dapprima come fotografo. I fotografi di Cuba mi hanno confermato che a Che Guevara non piaceva essere fotografato perché era un fotografo. Ho iniziato con i reportage, poi con le prime telecamere amatoriali e poi professionali ho iniziato a fare televisione. Ma non ho mai smesso di prendere la telecamera e stare dietro, ci sono reportage di 2 o 3 ore nei quali non appaio e si sente solo la mia voce. Ora non si sente nemmeno più quella perché ormai è andata.

Quali sono le regole?
Chi fa un mestiere come il mio, o come il tuo in questo momento, dev’essere un tramite. Non dobbiamo apparire, noi siamo l’interfaccia tra chi sta a casa e chi si sta intervistando. Tu devi fare apparire la persona che hai davanti.

Mi sembra che questo Sanremo, per apertura, ricordi il tuo Roxy Bar...
Non sono d’accordo con te. Nel Roxy Bar si documentavano le emozioni e si raccontavano. Io non ho mai presentato una canzone senza avere chiesto al suo autore perché l’avesse scritta. E delle canzoni straniere ho sempre letto le traduzioni. Oggi ho incontrato Irama e gli ho chiesto il perché della canzone, e lui me l’ha raccontato. È magica, e io l’ascolterò con le orecchie diverse. Questo per spiegarti come mai Sanremo non è un programma musicale, ma uno show televisivo che segue il canone dell’audience, e cioè avere successo e incassare.

Questo è per te Sanremo?
Sanremo è un’accozzaglia di canzoni buttate sul palco senza un racconto. Si prendono dei cantanti storici, degli alternativi cantautorali come Cristicchi e Motta, poi i trap. Facciamo 1+1+1 e invece di uscire 3 esce -2. Se io amo Motta, non amo Gigi D’Alessio o Nino D’Angelo, tutti bravissimi e miei amici. Se ascolto Achille Lauro, lo ascolto su Spotify, non me ne frega niente di vederlo all’Ariston. Sanremo non è coraggio, è una rincorsa dell’audience, in una maniera sbagliata.

E gli artisti in gara?
Devo salvare tutti, anche perché sono tutti miei amici. Speriamo solo che si salvino loro da San Remo

Enrico Nigiotti al Roof ha detto che la gavetta è ormai la televisione...
Nigiotti crede da tanto tempo in sé stesso e fa bene. La gavetta oggi è la televisione perché la radio ha demandato alla televisione il ruolo di protagonista. Quando nel 1975 cominciai a fare radio, nella prima radio libera di Bologna, il nostro scopo era quello di fare ascoltare musica che la gente non conosceva, non di correre dietro ai gusti del popolo. Nessuno conosceva Patty Smith, io chiesi di importare il disco e mi dissero “oh, ma dobbiamo vendere almeno 20 copie”.

E ne vendettero qualcuna di più...
Sì, perché io presi Patty Smith e cominciai a raccontarla, e l’anno dopo lei riempì lo stadio di Bologna con 70mila persone. Fu un successo anche creato grazie alla radio. Oggi lo slogan della radio è “solo grandi successi”. Come dire: questa radio è solo una marmellata di carote, solo brani che tu conosci.

E tu di musica che nessuno conosce ne hai trasmessa alla grande...
Guarda, mi ricordo di un mio festival di emergenti di cui tutte le radio volevano essere partner a patto di non dover trasmettere gli inediti. Alle radio interessava il marchio, e io li mandai a quel paese. Ha ragione Nigiotti, ma attenzione: per andare in tv devi vendere l’anima. Succede dal 1928, dai tempi di Robert Johnson che a un incrocio vendette l’anima per imparare a suonare la chitarra. Bisogna vendere l’anima al diavolo, perché la televisione è il diavolo. Quindi, quando vedete un talent, spegnete la tv e non fategli fare audience.

Quanto hanno pesato i grandi nomi seduti sulle poltrone di giudici, dopo aver detto peste e corna dei talent?
I cantanti oggi hanno deposto le armi. La loro creatività è tesa solo ad ottenere consenso, dedicano tempo a fotografarsi col pubblico alle spalle per far vedere che ai concerti viene tanta gente, vivono in stanze piene di specchi in cui l’unica immagine che vedono è la propria e hanno lasciato perdere il resto.

Maledetto consenso...
Il mio amico Nando Pagnoncelli (sondaggista italiano, ndr) mi ha detto: “Vedi, questa storia del consenso è sbagliata. I politici chiedono a me cosa vogliono gli italiani. Ma sei tu politico che devi fare quello che è giusto, non chiederti cosa vogliono gli italiani. E non è che il primo sondaggio di opinioni sia stato illuminante. “Chi volete, Gesù o Barabba?”. Correre dietro al popolo è correre dietro alla distruzione di questa società. Penso al Magnum vegano nato in Australia, dove i produttori di latte sono imbestialiti. Non si chiedono se il latte fa bene o male, l’importante è fare i soldi. Penso a Trump che se ne frega del clima, poi l’Artico si scioglierà sprigionando CO2, ma chi se ne frega. I pellerossa dicono: “Quando l’ultimo pesce sarà pescato, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo albero tagliato, vi accorgerete che non potete mangiare il denaro”. Questa sì che è filosofia...

Ti senti un uomo libero?
Io sì, ma in tanti preferiscono non esserlo. Meglio incatenati, meglio in catene dorate come quelle che si mettono i rappers al collo. Dà molta soddisfazione salire sul palco del Primo Maggio e dire “ho cantato con due Rolex al polso”. Tutto questo falso mito sta distruggendo questo ambiente.

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