Pensiero

Il filosofo, la pandemia e il tempo che muta

Intervista a Fabio Merlini, questa sera al San Materno di Ascona per discutere del tempo liberato che può avere “il volto dell’ozio, ma anche quello dell’ansia”

Il che mostra come la liberazione del tempo, il poterne disporre, di per sé non dice nulla, essa può avere il volto dell’ozio, ma anche quello dell’ansia. (Archivio Ti-Press)
20 agosto 2020
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Si conclude con il filosofo Fabio Merlini – e una sorpresa della compagnia di danza di Tiziana Arnaboldi – la speciale rassegna estiva del Teatro San Materno di Ascona. Un appuntamento, questa sera alle 20.45, incentrato sul tempo della pandemia: l’emergenza sanitaria, il confinamento, la chiusura di scuole e attività, ha mutato i ritmi di vita, spesso rallentandoli. «Ma non per tutti» ci spiega Merlini.

Pensiamo al Lockdown perlopiù nei termini di spazio – chiusi in casa, scuole chiuse… –, ma è stata anche, forse soprattutto, una questione di tempo.

Certamente, secondo però una logica differenziata. Se è vero che le nostre abitudini hanno subito una battuta di arresto, per alcune categorie professionali l’emergenza sanitaria anziché agire sul tempo nei termini di una repentina decelerazione, a causa del calo della pressione lavorativa, ha al contrario generato un surplus di compiti tale da imprimere un’ulteriore accelerazione al tempo. In questo caso, ciò che si è osservato è una vera e propria corsa contro il tempo - disperata nei casi peggiori, “solo” affannosa nei casi migliori: personale sanitario, addetti alla sanificazione degli spazi pubblici, ‘rider’. Qui riscontriamo infatti una drammatica radicalizzazione di quella cronicizzazione dell’urgenza che già prima della crisi generava il nostro sentimento di essere sempre in ritardo su tutto. Nello specifico, la pandemia anziché spezzare l’ordine del tempo pre-Covid non ha fatto che incrementarlo, senza generare dunque alcuna discontinuità: le cose sono solo peggiorate.

Ma anche senza pensare a questo estremo (che suscita tutta la nostra ammirazione), vero è che in molti casi la conversione on line di una buona parte dei nostri compiti non ci ha di certo alleggeriti. Anche in questo caso, siamo stati confrontati con un incremento delle logiche schizotopiche indotte dalle tele-tecnologie, nel bene e nel male: senza però che ciò si traducesse in un guadagno di tempo.

Poi ci sono quelle categorie professionali che effettivamente si sono viste congelare del tutto le proprie attività. Ma anche qui con effetti molto diversi sulla percezione del tempo. Qualcuno ne ha beneficiato, qualcuno invece non è stato nelle condizioni di poterlo fare, per le conseguenze di questa sospensione sul piano della produttività. Il che mostra come la liberazione del tempo, il poterne disporre, di per sé non dice nulla, essa può avere il volto dell’ozio, ma anche quello dell’ansia.

Un rallentamento imposto da un virus ma reso possibile dalla tecnologia. Che in genere si dice ‘spingere sull’acceleratore’ delle nostre esistenze.

Dobbiamo tenere presente che la mobilitazione richiesta dai nostri regimi produttivi ha trovato nelle tecnologie dell’informazione il suo più potente alleato. Per il fatto, molto preciso, che la loro rapidità retroagisce sui nostri gesti, ne detta il ritmo, velocizzandoli sempre di più. Come lei dice, il rallentamento è stato reso possibile dalla tecnologia, o meglio: la tecnologia ha consentito che esso, quando non la sospensione stessa di interi comparti produttivi, potesse avvenire in tempi rapidissimi.

È sorprendente come una società pensata per accogliere movimenti che siano il più veloci possibili sia riuscita in così poco tempo a tirare il freno d’emergenza. Ma in questo le tecnologie non hanno fatto che confermare la loro vocazione. Fatte salve le eccezioni cui ho fatto cenno rispondendo alla sua prima domanda, è senz’altro vero che ci siamo improvvisamente ritrovati con più tempo a disposizione, ma anche qui, come ho già detto, occorre distinguere. Poiché questo tempo generato dall’inattività può coincidere con diversi sentimenti del tempo: il tempo doloroso delle preoccupazioni (la tragedia di chi ha perso il lavoro o di chi teme di perderlo); il tempo della noia (non so cosa fare); il tempo dell’accudimento e, solo nei casi migliori: l’ozio creativo. Il quale però presuppone grandi risorse interiori.

Soprattutto in un’epoca in cui siamo stati tutti spinti a una estroversione continua che ci ha allontanati da noi stessi. E proprio qui emerge un'altra vocazione delle tecnologie della distanza, rispetto a quanto appena osservato. Quella di indirizzare la nostra attenzione, le nostre preoccupazioni e le nostre curiosità verso l’esterno, in un incessante processo di esteriorizzazione che se per un verso apre a forme di socializzazione indite, per altro verso conduce l’individuo fuori di sé, rendendo sempre più faticoso il sostare presso di sé.

Il lockdown è stato certamente un momento di privazione della libertà: la nostra vita aveva – per giustificati motivi – molti più limiti. Ma, dandoci del tempo per pensare, ha forse portato più libertà.

La capacità di pensare e di meditare, appunto di sostare presso di sé, non è immediata. Possiamo disporre di tempo e non sapere assolutamente che cosa farne. Non è sufficiente essere improvvisamente catapultati in una situazione di isolamento, per liberare le risorse della riflessione. Certamente, come lei dice, la libertà non è solo questione di movimento; anzi esistono forme di movimento illimitato che sono tutto il contrario della libertà, come quando si insegue qualcosa solo per il gusto di poterlo poi sostituire con qualcosa d’altro, come accade nel cattivo infinito della nostra idea di crescita. Società che hanno fatto dell’accelerazione e della mobilitazione la loro principale fonte del valore, sono costantemente confrontate a una forma molto particolare del tempo, quella dell’immediatezza. Ora, è molto difficile dentro questa tirannia del tempo, per la quale arrivano sempre prima le risposte delle domande (come si vede molto bene nel caso del 5G), disporre poi delle condizioni per fare proprie le preoccupazioni della vita riflessiva. Così, anche quando dovessimo improvvisamente disporre di più tempo, come è accaduto con il lockdown, nulla ci garantisce una capacità di introspezione capace di riorientare in chiave non funzionalistica il nostro sguardo sul mondo. Al contrario, accade sovente che una disponibilità di questo tipo sia solo fonte di ansia e di angoscia, con il risultato di incrementare ulteriormente il nostro bisogno di socializzazione mediatica. Voglio dire che allo stesso modo di come il sentimento dell’interiorità va educato, anche la vita riflessiva, la capacità di pensare, cioè di porre le domande giuste, deve essere oggetto di attenzione e cura: tutto ciò comporta un esercizio che contrasta con la nostra ansia quotidiana di non “perderci nulla”, di non mancare nessun appuntamento.

Ultima domanda: resterà qualcosa o questo Lockdown resterà una parentesi che una volta chiusa non lascia traccia?

Temo di no, ma dobbiamo essere ottimisti. La pandemia, con le decisioni prese per fronteggiala, ha messo in luce non poche contraddizioni della nostra società, ha permesso di scoprirne le fragilità e nonsensi. In una parola, vediamo più chiaramente i limiti dei suoi presupposti: si pensi solo alla vergognosa produzione di disuguaglianze, alla nostra predatorietà nei confronti delle risorse naturali, oltre che umane, alla logica irresponsabile di talune politiche economiche. Il costo di questi vizi ci tornato indietro con gli interessi. Non so se sia sufficiente ad apprendere la lezione, poiché le preoccupazioni ora sono altrove, nel tentativo di rimettere in piedi le cose affinché tutto possa ripartire come prima. Che sia necessario farlo è però sotto gli occhi di tutti, se solo ce ne rendessimo conto.

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