Pensiero

Massimo Recalcati e la parola che illumina

Ieri a Lugano 'Lectio magistralis' dello psicoanalista italiano sulla conoscenza, che può essere trasmessa solo da maestri appassionati

6 luglio 2019
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È l’opposto a definire. Niente descrive, dà nome, forma e sostanza a qualcosa come il suo opposto, come la sua negazione. Posso essere io perché non sono altro, può esserci luce perché esiste il buio. Insomma, esiste la parola perché esiste il silenzio. Quella parola che è stata al centro, ieri sera al Wor(l)ds Festival al LongLake di Lugano, di una ‘lectio magistralis’ dello psicoanalista italiano Massimo Recalcati. Che, retoricamente, si è chiesto appunto cosa potesse c’entrare mai la parola con la sua professione, fatta di silenzio e ascolto. Retoricamente, perché «solo nella custodia del silenzio la parola acquista valore». Solo attraverso la sua negazione, quindi, la parola acquisisce quel significato che la allontana «dall’essere strumento di una semplice e pragmatica comunicazione, perché non ne è al servizio». Eleva. Aiuta e auto-aiuta.

Emblematico di ciò è uno degli ultimi casi affrontati da Sigmund Freud, e raccontato da Recalcati per meglio definire il concetto. Un caso dove nel suo studio a Londra, l’ormai anziano psicoanalista viennese si è trovato dinanzi una madre e una figlia. Con quest’ultima ad avere problemi da risolvere. Alla domanda che è alla base di ogni colloquio clinico, chiaramente rivolta alla paziente, vale a dire “cosa c’è che non va?”, ha iniziato a rispondere la madre. Dopo il ripetersi dell’episodio, continua a spiegare Recalcati, Freud ha fatto uscire dallo studio la signora ed è rimasto solo con la giovane. La quale, alla fine della prima analisi, racconterà di essersi sentita guarita. Guarita dopo una sola analisi? – le chiesero negli anni. “Sì, perché per la prima volta nella mia vita mi sono sentita ascoltata”, ha sempre risposto. Ascoltata dal silenzio, dove la parola echeggia e riecheggia, dove si forma, dove spiega noi e il nostro opposto. Dove, quale posto migliore del lettino o del divano di uno psicoanalista, si è confrontati con il silenzio.

Perché come la più lucente delle stelle ha bisogno della notte per brillare, la parola ha bisogno del silenzio per illuminare.

Quel dialogo tra Agatone e Socrate

La parola rende chiaro. E quando il maestro mette chiarezza con la parola su concetti oscuri, è qui che per Recalcati si compie «il passaggio dal buio alla conoscenza». Alla luce: «In ogni esperienza didattica nel fitto del bosco buio, facciamo esperienza della luce quando incontriamo una radura». Non a caso, continua lo psicoanalista italiano, «Heidegger il concetto di verità lo definì con il termine tedesco ‘Lichtung’». Un passaggio che non si può fare da soli. Un passaggio per il quale è necessario un maestro che però non è da interpretare come depositario della verità, fonte inestinguibile di sapere alla quale abbeverarsi ad ampi sorsi. Quello della conoscenza non è un travaso.

Scena esemplificativa è quanto viene descritto nel ‘Simposio’ di Platone. Dove, come illustrato da Recalcati, Agatone, padrone di casa, accoglie un Socrate arrivato trafelato e di corsa. Lo accoglie «pensandolo pieno di verità, l’immagine che ogni allievo ha del maestro». Agatone lo invita a sedersi di fianco a lui perché se è pieno di verità, «io sarò una coppa vuota e tu verserai in me, nella coppa vuota che io sono, tutto il tuo sapere sulla verità». Un’offerta che per lo psicoanalista è «un’illusione», poiché non si tratta appunto di un travaso «dove il concetto di apprendimento sarebbe il versamento del sapere pieno nel contenitore vuoto». Non è così. Difatti cosa risponde Socrate? «Socrate dice ad Agatone che sbaglia, perché ‘Io non ho il sapere, io desidero sapere’. Il maestro si offre non come colui che può riempire il vuoto dell’allievo, ma come colui che è mosso dal desiderio di sapere. E quando insegna, insegna non solo il sapere verso cui è trasportato, ma l’essere trasportati dal desiderio di sapere». È questa per Recalcati la trasmissione della parola, l’illuminazione. Non un rapporto da superiore a inferiore, non un mero scambio freddo, asettico. Ma «insegnare all’allievo ad essere trasportato dal desiderio di sapere. Infatti Agatone inizia una metamorfosi: da coppa vuota si trasforma esso stesso in amante del sapere». Questo perché il maestro trasforma il sapere in «un corpo erotico». Gli dà una forma con la parola. In ogni libro, la parola prende le sembianze «di un corpo erotico da conoscere, da annusare, su cui appassionarsi». Un libro da leggere ancora, ancora e... ancora.

‘Ancora’

«Se un allievo diventa un amante, se un allievo sente che non vorrebbe essere da nessun’altra parte la parola del maestro illumina». Ma questo desiderio nasce dal maestro, che deve appassionare. E può appassionare solo se egli stesso è appassionato, solo se egli stesso ha l’obiettivo primario di trasmettere quella conoscenza. Di accompagnare nella formazione. Di far dire all’allievo ‘ancora’. Di far dire all’allievo ‘voglio leggere ancora, voglio conoscere ancora’. In quel caso «il libro diventa un corpo erotico che non stanca mai, che non annoia. Che vuoi ancora». ‘Ancora’ per lo psicoanalista francese Jacques Lacan, maestro di Recalcati, è la parola dell’amore, che è vivo appunto finché ne domanda ancora.

La delinea nel suo seminario XX, mostrando l’oscillazione tra ‘un corps, un coeur, encore’: un corpo, un cuore, ancora. Perché è l’amore a non bastare, così come la conoscenza «quando sorge la parola ‘ancora’», la permanenza del desiderio. Il leggere quando si è stanchi, il comprendere un testo che inizialmente pareva un muro invalicabile. «Far sorgere l’‘ancora’ nella ripetizione della didattica, come in una vera relazione di coppia, quando leggiamo e rileggiamo lo stesso libro più volte». Quando la parola illumina. Quando la parola va a riempire il vuoto iniziale con il desiderio di colmarlo, quel vuoto. Quando, detta altrimenti, il vuoto non si basta più. E ha bisogno del suo opposto: il sapere. E il sapere, una volta conosciuto, non basta mai. Lo si chiede ancora. E ancora.

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