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Jason Blum, come spaventarsi tanto spendendo poco

La sua Blumhouse è la casa produttrice di horror per eccellenza, cose come ‘Paranormal Activity’, 15mila dollari investiti, 200 milioni guadagnati

‘More money, more people, less freedom’ (Premio Raimondo Rezzonico per il Miglior produttore indipendente)
(Keystone)
8 agosto 2022
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Un anno fa di questi tempi, all’Hotel Belvedere, John Landis dava lezioni di spaventi. "La paura è contagiosa", diceva; "nei cinema si diffonde fisicamente, perché si nutre dello spasmo, della convulsione". Col cuore a pezzi per la gente che guarda i film sul telefonino, faceva i conti in tasca a Hollywood: "Oggi gli studios spendono un paio di centinaia di milioni di dollari per i supereroi e un paio di milioni per film low budget, che sono tutti film di genere horror". Genere a lui caro. Sul perché la gente abbia così tanta voglia di spaventarsi, soprattutto di recente, il maestro si poneva una domanda: "Non lo so: forse ha a che fare con quanto sta vivendo la società odierna?".

Un anno fa non c’era nemmeno la guerra. C’entrasse la guerra, oggi il sequel di ‘Pretty Woman’ (che non si farà, lo ha detto due giorni fa Richard Gere da Catanzaro) sarebbe un horror: Vivian annega Edward nella vasca da bagno dopo avere cantato ‘Kiss’, poi ne smembra il cadavere con la complicità di Barney, il direttore dell’albergo, affabile narcisista paranoide che di Edward, ai clienti del Beverly Wilshire, fa servire per cena le parti più tenere. Prima della fine, Vivian torna in Rodeo Drive, dove le commesse l’avevano trattata come una che arrivava dall’Hollywood Boulevard, e le accoltella tutte indistintamente; poi torna sull’Hollywood Boulevard e aspetta il prossimo faccendiere milionario (il sequel che non si farà sarà ispirato alla vita della pluriomicida Aileen Wuornos; nei succinti panni di Vivian ormai anziana ci sarà Glenn Close, già nella parte della squilibrata di ‘Attrazione fatale’, che finalmente vincerà l’Oscar. Fine).

Ecco, noi l’idea per il sequel horror di ‘Pretty Woman’ l’abbiamo buttata lì, magari la Blumhouse decide di finanziarla e l’anno prossimo torniamo a Locarno a ritirare un pardo.

L’importanza di essere ‘indie’

La Blumhouse Productions è la casa di produzione di Jason Blum, maestro dell’horror come John Landis, ma nel campo dei produttori. A Locarno75 con moglie e figlia, Blum ha ritirato il Premio Raimondo Rezzonico per il Miglior produttore indipendente, lui che ha investito in molti dei titoli più rappresentativi del genere, spendendo poco e guadagnando tanto. Come per ‘Paranormal Activity’ (2007, primo di una lunga serie ora divenuta un po’ stantìa): 15mila dollari stanziati, 200 milioni incassati. Lo incontriamo nella uptown Locarno, dall vista losangelina che pare Santa Monica (basta cambiare l’acqua salata con quella dolce, e al cinema è un attimo...).

Dieci anni nel mondo del cinema indipendente, una manciata di film realizzati («Molti dei quali, sono sicuro, non vi diranno nulla»), frustrato che nessuno li vedesse, Jason Blum pensa bene di mettere in piedi un proprio studio: «Produssi ‘Tooth Fairy’ per la Fox, odiando il processo di realizzazione, perché quando un film è così ricco tutto diventa incredibilmente politico e l’opera passa in secondo piano. Ma la distribuzione, oh quella fu meravigliosa! Vedere il film in ogni angolo del mondo mi aprì gli occhi, capii che si sarebbe potuto produrre film in maniera completamente indipendente, cosa che amavo ed è successa per ‘Paranormal Activity’, ma essere distribuiti da uno studio tradizionale di Hollywood, che al tempo era Paramount». Il tutto a una condizione: avere una buona storia: «Se si guarda ai film della Blumhouse, molti di essi narrano storie intime, quotidiane, ma inserite in un involucro di paura. In ‘Insidious’ c’è un bimbo in pericolo, in ‘Sinister’ c’è un padre sospeso tra la carriera e la famiglia, e così in ‘The Invisible Man’». Questa ‘caramella indie’ ricoperta di horror, Blum la chiama ‘sistema di consegna’: «Oggi amo gli horror per molti motivi, ma all’inizio mi rallegravo solo di come la paura servisse a far vedere i miei film al pubblico. Ho cominciato così».

La distribuzione conta. Anche i registi. «Blumhouse ripone enfasi sui cineasti. Se ci arriva uno script da Scott Derrickson (regista di ‘Liberaci dal male’, e del più recente ‘The Black Phone’), e non siamo unanimi sull’averlo o meno apprezzato, se Scott ci garantisce che sarà il film più spaventoso di sempre noi lo produciamo. Crediamo nei registi molto più di quanto faccia il tipico sistema hollywoodiano». Che funziona così: «Prendiamo Shyamalan (M. Night Shyamalan, regista de ‘Il sesto senso’, ‘Unbreakable’, ‘Signs’, ndr): girò ‘The Visit’ e nessuno lo comperò, perché chi poteva comperarlo aveva ancora negli occhi un paio di film precedenti che non erano funzionati. Blumhouse pensò invece che ‘The Visit’ (due bimbi con due nonni un tantino originali, un misto di orrore e ironia, ndr) facesse davvero paura. E con Shyamalan abbiamo fatto anche ‘Split’ e ‘Glass’. Ora è di nuovo in corsa».

Blum dice lo stesso di James Wan («Gli ultimi due film andarono male, e si dimenticarono che era quello di ‘Saw - L’enigmista’), e questo perché «Blumhouse guarda all’intera carriera, Hollywood no. E so il perché, ma non voglio annoiare…». L’informazione gli viene estorta: «Se sei un executive (dirigente, ndr) e scegli un film, se quel film non funziona il tuo lavoro è in pericolo. Ma se scegli un film e il precedente era un grande successo, puoi sempre dire che se quello nuovo è stato un flop non è colpa tua. Se invece quello nuovo è stato un flop come il precedente, allora sei spacciato. L’intero sistema è avvitato su se stesso, e a noi sta bene».

Brad Pitt in pericolo

Gli diciamo di John Landis, di un anno fa, di quando diceva che "il cinema horror sta vivendo il suo Rinascimento". «Non so cosa intendesse Landis per ‘Rinascimento’», commenta il produttore. «Io credo che Jordan Peele (regista di ‘Scappa – Get Out’, Oscar alla Migliore sceneggiatura originale, horror dalle forti tinte antirazziali) possa essere definito tale. Credo che con ‘Rinascimento’ Landis intendesse che gli horror erano un tempo più ‘elitari’ e oggi sono più mainstream. Ma io sostengo che se ‘Get Out’ fosse nominato oggi per l’Oscar al Miglior film lo vincerebbe, e che non lo vinse al tempo perché non abbastanza ‘attraente’, in quanto horror. Ora non solo il pubblico ma anche l’Academy è fan dell’horror, e così i registi, che grazie al film di Jordan, se hanno qualcosa da dire, hanno trovato un modo straordinario per dirlo».

Bumhouse ha prodotto anche altro. ‘Wiplash’, per esempio, altri due Oscar, 3 milioni di dollari spesi per incassarne 49: «Il low budget può funzionare anche in altri generi, ma nella commedia, nell’action movie si ha bisogno di stelle del cinema, e i costi esplodono. L’horror è l’unico genere che trae beneficio dal non avere una star riconoscibile. È difficile spaventarsi per, tanto per dire, Brad Pitt in pericolo, perché è chiaro che alla fine ce la farà…».

Si diceva di ‘Get Out’, e del messaggio annesso: «Blumhouse non produce solo film contenenti messaggi politici, ma in molti sì, sono presenti. Penso a ‘The Hunt’ (su cui Donald Trump si sentì di dire la sua, ndr). Io credo che un horror, più che cambiare le menti, possa unire le comunità». Gli diciamo che ‘The Purge’ (‘La notte del giudizio’, franchise al quinto capitolo), per noi ottimisti è la miglior rappresentazione del futuro. Nel futuro distopico in cui è ambientato il film di James DeMonaco, il governo degli Stati Uniti ha trovato il modo per far calare i tassi di criminalità e disoccupazione: una volta l’anno, tutti possono ammazzarsi come gli pare. È il ‘Periodo dello Sfogo’ (una specie di Carnevale ticinese, ma molto, molto peggio). «‘The Purge’ – dice Blum prima di raggiungere Matt Dillon e signora nella hall dell’hotel – è il futuro dell’America, non quello svizzero. Noi abbiamo più armi che persone. In America puoi anche non ricevere un’educazione, ma due pistole sono assicurate».

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