Figli delle stelle

Bruce Hornsby: lontani dallo zero, vicini all'assoluto

Bruce Hornsby, 'Absolute Zero' - ★★★★✩ - Ebbene sì, è quello di 'The way it is', ma solo per gli europei

21 aprile 2019
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Forse perché ignari della splendida sintesi tra pop, jazz, traditional, country-bluegrass e tutto il resto all’occorrenza – da ‘Harbor lights’ (1993, una specie di ‘The dream of the blue turtles’ per pianoman) in avanti – per gli europei Bruce Hornsby è sempre “quello di The way it is’, brano multiplatino che tanto volevano Huey Lewis & The News, ma che il pianista della Virginia tenne gelosamente per sé, assicurandosi la pensione.
Estival Jazz andò vicino a ospitare lui e il 14 volte Grammy Ricky Skaggs, stella del country, quando nel 2007 i due pubblicarono un album che come titolo portava i rispettivi nomi e cognomi.
Questo ‘Absolute Zero’ è aperto dalla title-track con batteria di Jack DeJohnette, già con Christian McBride nell’Hornsby di ‘Camp Meeting’ (sempre 2007), l’esperienza più jazz di uno che ha chiamato i figli Russell (da Leon) e soprattutto Keith (da Jarrett). Spiccano la logorroica ‘Voyager One’, le campestri schizofrenie di ‘Echolocation’ e – una spanna sopra il tutto – le sinfoniche dissonanze di ‘The blinding light of dreams’, che esaltano il sestetto da camera yMusic (altrove, invece, un po’ stridulo). Ora che il suo songwriting, da linearissimo, è divenuto negli anni un tantino cervellotico e ancor più funzionale al genio pianistico, il secondo ascolto premia il nuovo Hornsby. ‘White Noise’ ha armonie alla CSN&Y e ‘Never in this house’ è la ballad per i ballad-dipendenti. Al terzo ascolto, i neuroni, stimolati, addirittura ringraziano.

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