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A Bologna come a Pompei, anzi meglio

Una grande mostra al Museo di archeologia dedicata alla pittura romana, dalla ‘più grande pinacoteca dell’antichità al mondo’

(Roberto Serra)
4 febbraio 2023
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È stata definita ‘la più grande pinacoteca dell’antichità al mondo’, un unicum nel panorama archeologico: sono le pitture conservatesi lungo i secoli sulle pareti delle case illustri di Pompei, Ercolano, Stabia e delle altre località dell’area vesuviana sepolte dalla lava probabilmente nel 79 d.C.. Un patrimonio che la monumentalità architettonica e la statuaria dell’impero romano ha forse messo un pochino in ombra, ma che da qualche tempo è stata rivalutata anche di fronte al grande pubblico che forse conosceva solo l’iconico ’Tuffatore di Paestum’.

Le pitture messe in sicurezza e restaurate dai tempi dell‘inizio degli scavi nella regione a opera dei Borboni nel ’700, si possono ammirare nel Museo nazionale di Napoli. Ma fino al 19 marzo del prossimo anno nelle sale del Museo archeologico di Bologna che per la prima volta le ha riunite in una spettacolare mostra intitolata ’I pittori di Pompei’: pitture parietali e decorazioni di ambienti che hanno fatto la gioia dei proprietari e degli ospiti per esempio delle celebri Domus del poeta tragico e dell’Amore punito, delle Ville di Fannio Sinistore a Boscoreale e di quella dei Papiri ad Ercolano. La mostra fornisce un panorama degli stili e delle mode che variavano a seconda dei tempi, dei luoghi e della destinazione dell’opera, come pure una panoplia di strumenti tecnici usati dagli artigiani di allora (squadre, compassi, fili a piombo), disegni preparatori nonché coppe di colori minerali e vegetali, pronti per essere usati, contenuti in vasetti ritrovati sotto la lava. Per ambientare il tutto sono stati ricostruiti alcuni ambienti come quelli della Casa di Giasone, con i relativi mobili e suppelletili originali: triclini, lucerne, brocche e vasi, che poi ritroviamo rappresentati sulle pareti e con i quali si instaura un suggestivo dialogo.

Mario Grimaldi, curatore della mostra, nella presentazione, ricorda la definizione di pittura che aveva dato Paolo Moreno, grande archeologo scomparso lo scorso anno: ‘uno splendido inganno’, una creazione della fantasia, l’irreale che nella mostra di Bologna incontra il reale, entrambi frutto dell’attività di abili artisti. O forse si dovrebbe parlare di artigiani, visto che nel mondo romano di I secolo gli addetti al campo dell’arte decorativa (pittura, ma anche mosaico) godevano di un relativo prestigio sociale a confronto degli scultori o degli architetti che lavoravano sulle tre dimensioni. A differenza di quanto capitava nella Grecia classica, se solo pensiamo all’inarrivabile arte vasaria attica.

Backstage incluso

La mostra si articola in quattro momenti: le tematiche scelte dal pittore, che si rifanno alla mitologia greca e alla storia romana a seconda della destinazione dell‘opera e forse dei gusti del committente. La seconda tratta di teatro e musica, con scene da commedie e tragedie (alle quali non potevano partecipare le donne; e anche a questo servivano le maschere portate dagli attori maschi) e con curiose incursioni nel ’backstage’. Una terza sezione si occupa di paesaggi e architetture, dal verismo realistico alla creazione di ambienti fantastici e idealizzazioni bucoliche. Il percorso si chiude con le nature morte e il mondo degli animali domestici e selvatici, che insieme a tutto il resto, dovevano ricreare all’interno delle dimore romane il mondo circostante, reale e fantastico al tempo stesso.

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