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Gabriele Nissim, il ‘Giorno della Memoria’ non sia una trappola

Nella Giornata che ricorda la Shoah, l’ideatore dei ‘Giardini dei Giusti’: ‘Ricordare non basta se non ci si impegna contro tutti i genocidi’

Al Giardino dei Giusti di tutto il mondo
( Ruggibrante/Wikipedia)
27 gennaio 2023
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Gabriele Nissim, giornalista, scrittore, storico della violazione dei diritti umani nell’Europa dell’Est. È noto anche per essere l’ideatore dei ‘Giardini dei Giusti’, dalla prima esperienza fatta a Milano vent’anni fa, a quelli nati in altre città europee, e anche in altri continenti.

Nissim, nel tuo ultimo libro, dal titolo evocativo ‘Auschwitz non finisce mai’ (Rizzoli), hai approfondito il tema che ti impegna da anni, quello della ‘Memoria’. Il tuo è comunque un approccio contro-corrente che ha suscitato polemiche e forti reazioni negative nella tua stessa comunità, quella ebraica. Ritieni infatti che circoscrivere il tema della ‘Memoria’ alla tragedia della Shoah, lo sterminio degli ebrei da parte del nazismo, sia un errore; sostieni, invece, che dalla Shoah occorra partire per fare della ‘Memoria’ un impegno universale, attuale, anche su tragedie e genocidi del nostro tempo.

Lasciami iniziare ricordando un aspetto determinante, e spesso dimenticato quando si tratta di ‘Memoria’: le vittime non erano preoccupate tanto del fatto che la loro sorte venisse poi ricordata, le vittime erano preoccupate della loro sorte e quindi di essere salvate. Dal ghetto di Varsavia, a Srebrenica, al Ruanda, o al genocidio degli armeni, le persone minacciate di morte hanno sempre sperato che il mondo non si girasse dall’altra parte, che si desse da fare per salvarle.

Certo, in occasione delle ‘Giornate della Memoria’ si è insistito sulle responsabilità, sulle colpe dell’ideologia, della nazione responsabile del massacro degli ebrei, del valore del contrasto all’antisemitismo, e va detto che proprio la Germania è stato il Paese che nel dopoguerra ha più operato in questo senso, ma non basta.

Perché ritieni che una simile premessa sia fondamentale, e perché ritieni che in generale ciò che si fa non basti?

Perché solo partendo da ciò che ho evocato si può capire meglio il senso vero, profondo e innovativo di quel "mai più", sempre ripetuto nelle ‘Giornate della Memoria’. E il senso vero è questo: quando evochiamo il ricordo della Shoah dobbiamo estendere la nostra memoria e il nostro impegno anche all’impedimento che si producano non solo altre Shoah, ma anche altre tragedie, altri stermini che hanno colpito, colpiscono e minacciano di travolgere altri popoli. Si trascura con troppa facilità, da parte degli Stati, che uno degli impegni presi dalla comunità internazionale nel 1948, grazie soprattutto all’opera del giurista ed ebreo polacco, Raphael Lemkin, che le Nazioni Unite rappresentano anche un’alleanza per la lotta ai genocidi, e nello specifico esiste anche la ‘Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo’ che venne proposta da Eleonore Roosevelt. Il problema è che questi obiettivi col tempo sono stati messi in secondo piano, e vengono rispolverati in contesti occasionali e passeggeri. Accade cosi che nella ‘Giornata della Memoria’ ci si dimentichi di fare i conti con gli strumenti che la comunità internazionale ha in mano per prevenire altre pagine di disumanità.

Ho sempre ritenuto che il valore più alto della ‘Memoria’ sia una sorta di patto morale con le vittime, le vittime di qualsiasi tragedia, operando affinché non si ripeta l’orrore. Su questo patto morale si è riflettuto troppo poco. Ed è per questo che vent’anni fa ho cercato di estendere il concetto di ‘Giusti’ dell’umanità: per gli ebrei, i ‘Giusti’, come viene ricordato al museo Yad Vashem di Gerusalemme, dove degli alberi sono dedicati a ciascuno di loro, sono i non ebrei che durante la Shoah decisero di salvare ebrei minacciati. Ma i ‘Giusti’, come abbiamo dimostrato con le nostre ricerche, le nostre segnalazioni, le nostre iniziative, si possono trovare ovunque e per ogni tragedia, in ogni guerra c’è chi decide di salvare quello che gli viene indicato come nemico. Ecco, penso che i ‘Giusti’ possano rappresentare la barriera umana per impedire altri genocidi nella nostra epoca.

Ed è questo lo scopo principale dei ‘Giardini’ che hai ideato e diffuso: un luogo per una ‘Memoria diffusa’?

Sì, attraverso la ‘Memoria’ come la concepiamo attraverso i ‘giardini’, intendiamo insegnare all’opinione pubblica, e soprattutto ai giovani, il valore della responsabilità individuale. I crimini contro l’umanità accadono per scelte fatte dagli esseri umani, non sono imprevedibili tsunami prodotti da un Onnipotente, o da forze indefinibili e inevitabili: si tratta di esseri umani che vogliono uccidere altri esseri umani. Se ripartiamo da questo concetto, è più facile capire che solo gli umani possono impedire altri genocidi. In questo senso, la ‘Memoria’ serve a insegnare il valore della vita. Certo, ci sono le politiche degli Stati e dei governi, ma poi soltanto l’essere umano ha in definitiva la possibilità di evitare o interrompere il ‘Male’. È questo il messaggio, il segnale più profondo dei ‘Giardini dei giusti’.

Riassumendo: non una ‘Memoria passiva’ ma una ‘Memoria attiva’, che non sia solo dedicata al ricordo della Shoah ma un impegno per evitarne altre in ogni parte del mondo. Tuttavia le critiche più forti a questa tua impostazione vengono proprio dall’interno delle comunità ebraiche, in cui prevale l’idea dell’ ‘unicità’ della Shoah...

Io sono figlio di ebrei superstiti di Salonicco, la città greca in cui vennero massacrati 30mila ebrei, e se ne salvarono soltanto 1’700. Ma cerco anche di capire il perché di queste posizioni critiche. La battaglia per la ‘Memoria’ non è stata facile. Dopo la seconda guerra mondiale, proprio per le complicità che in certi Paesi ci furono con Hitler, in diverse nazioni la persecuzione degli ebrei venne messa in secondo piano. Ricordo per esempio le difficoltà di Primo Levi per poter pubblicare il suo ‘Se questo è un uomo’. E non dimentico quel che Simone Weil, ex presidente del parlamento europeo, raccontava: lei era finita ad Auschwitz e quando riuscì a tornare in Francia sentiva su di sé sguardi pesanti, mentre sua sorella, ex partigiana, arrestata dai tedeschi che però non avevano capito che era ebrea, rientrò accolta con grandi onori da ex partigiani e comunisti.

La parte più dolorosa della Memoria veniva messa in disparte. Del resto la battaglia della ‘Memoria’ continua in una parte dell’est Europa e in Russia: fino alla caduta del Muro non si parlava di olocausto ebraico, e lo stesso Vladimir Putin ha alimentato una distorsione della Storia, visto che per la guerra di Hitler significa soprattutto attacco del nazismo alla Russia.

La tua spiegazione è certo fondata, ma vi è anche il fatto che, soprattutto fra gli ebrei più ortodossi, la Shoah ha una sua ‘unicità’, deve mantenerla; e soprattutto nella ‘Giornata della Memoria’, è su di essa che deve concentrarsi il ricordo e il ragionamento, mentre tu lo universalizzi.

Certo. Due anni fa per il ‘Giorno della Memoria’ venni invitato a intervenire al parlamento italiano. In quell’occasione chiesi ai deputati – proprio partendo dal ricordo della Shoah – la creazione di una Commissione incaricata di elaborare una mappa dei genocidi avvenuti e in corso in tutto il mondo, per poi poter elaborare una politica adeguata allo scopo di prevenirne altri. Naturalmente ogni genocidio ha specificità proprie, e nessuno dimentica che Hitler volesse cancellare gli ebrei dalla faccia della terra. Tuttavia questo discorso sulla ‘unicità’ della Shoah diventa anche una cortina fumogena che impedisce o che serve a non guardare gli altri ‘Mali’ del mondo e milioni di altre vittime, non ebree.

Dico spesso agli ebrei che non c’è soltanto l’antisemitismo a far male agli ebrei, ma che se il mondo va male, va male anche per gli ebrei. Se si continua a ripetere che il ‘grande Male’ è solo la Shoah, allora avremo brutte sorprese. Per esempio, eravamo del tutto impreparati alla guerra in Ucraina anche perché nessuno aveva letto con la dovuta attenzione le varie tappe di Putin in Cecenia, in Georgia, la persecuzione degli oppositori democratici e dei giornalisti indipendenti. Quindi se poco o nulla viene raccontato o condannato – come attualmente per le donne in Afghanistan e in Iran –, a cosa serve la Memoria della Shoah? Diventa fine a sé stessa, diventa una memoria identitaria.

C’è una tua affermazione che colpisce molto: quella relativa a una ‘Memoria’ che rischia addirittura di trasformarsi in ‘trappola’...

L’ho ripetuta nel recente contributo per un giornale italiano, dal titolo ‘Trappole per ebrei e non ebrei’. Qual è infatti il tentativo degli antisemiti? È quello di separare gli ebrei dai non ebrei: dicono "voi ebrei siete diversi da tutti gli altri", e il ritornello dura da secoli. La sostanza dell’antisemitismo è stata la pretesa che gli ebrei siano "altro" rispetto al resto dell’umanità. Ma se il discorso della Shoah viene separato dal resto della condizione umana, a un certo punto gli ebrei vengono in qualche modo ghettizzati, e la ‘Giornata della Memoria’ diventa una sorta di ‘dovere di ricordare’ quella tragedia: alla fine, non c’è una autentica comprensione da parte della società, che non capisce perché le dovrebbe accadere ciò che è accaduto agli ebrei. Il nostro problema è invece quello di creare empatia, mentre il discorso sulla ‘unicità’ della tragedia ebraica è esattamente l’opposto di ciò che era l’intenzione iniziale. Per questo indico il pericolo di una "trappola per ebrei", che tuttavia può esserlo per tutta la società se si continuasse a parlare senza far comprendere quali siano i ‘Mali’ della nostra epoca, da quelli del recente passato a quelli attuali.

Un altro esempio: chi si è scandalizzato fra noi per il fatto che Putin abbia ordinato la chiusura di ‘Memorial’, meritevole organizzazione molto attiva nel far capire in Russia e fuori Russia quali siano stati gli orrori soprattutto dello stalinismo? Se si dimentica la Storia, la Storia non si dimenticherà di noi. Quindi penso che ci troviamo davanti a un bivio: o la ‘Memoria’ diventa universale e riguarda tutte le altre tragedie del mondo, oppure c’è il rischio che anche per la tragedia ebraica si diluisca e finisca nell’oblio. Ne parlavo pochi giorni fa con Liliana Segre, che alla vigilia di questa ‘Giornata della Memoria’ ha detto di temere che fra non molto della Shoah non si dirà e non si saprà più nulla. Forse è un’esagerazione, tuttavia ha colto una preoccupazione diffusa. Per questo dico che siamo in una fase in cui le forme della Memoria dovranno cambiare per attrezzarsi e per affrontare i problemi del nostro tempo.

Hai fornito il tuo contributo di esperienza anche per la creazione dell’unico ‘Giardino dei Giusti’ in Svizzera, quello del Parco Ciani a Lugano, inaugurato alcuni anni fa, esperienza utile anche per alcune iniziative didattiche. Ma cosa si potrebbe o dovrebbe fare di più in base alla filosofia che ispira l’iniziativa dei ‘giardini’ della Memoria e della tua organizzazione ‘Gariwo’?

Per cominciare, sarebbe molto importante se la Svizzera aderisse formalmente alla ‘Giornata europea dei Giusti’, che in Italia e in altre nazioni è diventata solennità civile. Penso inoltre che il ‘giardino’ di Lugano potrebbe accelerare e diversificare il suo cammino: finora si tratta di un luogo della memoria dedicato a generosi personaggi legati in qualche modo al Ticino, ed è comprensibile che si sia iniziato riconoscendo i ‘Giusti’ del proprio Paese. Ma ora credo che possa onorare altre figure svizzere e di tutto il mondo, come indica la filosofia della nostra organizzazione, e diventare così modello anche per altre città svizzere importanti, da Zurigo a Ginevra a Basilea. Io dico sempre che i ‘Giusti’ ci sono in tutto il mondo, sono persone che anche rischiando hanno realizzato la loro pienezza umana e perciò sono persone felici. Questo produce un grande impulso culturale ed educativo per i giovani. Che possono capire come i ‘Giusti’ siano le persone migliori del nostro tempo

Per gentile concessione di www.naufraghi.ch

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