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‘Ave Caesar’, anzi Grüezi!

Basilea, Antikenmuseum, l’incontro lungo il Reno tra Romani, Galli e Germani. Visita guidata con Andrea Bignasca, direttore del museo.

Fino al 30 aprile 2023
(Ruedi Habegger)
14 gennaio 2023
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Il Reno come frontiera o come punto d’incontro? Domanda alla quale risponde Andrea Bignasca, direttore dell’Antikenmuseum, istituzione dove ha luogo l’esposizione: "Quando Cesare nel 55 a.C. arriva qui, il Reno è un confine tra il mondo romano e quello germanico; nei decenni successivi i Romani cercheranno invano di portare quel limite fino all’Elba. Nel I secolo d.C. l’imperatore Domiziano riesce infine a occupare alcune zone sulla sponda destra del fiume (che diventeranno più tardi province romane) e inizia così un periodo di aspri conflitti che il secolo successivo diventeranno ancora più acuti a causa dei massicci spostamenti di popolazioni dall’Est europeo. Lungo il Reno si costruiscono fortificazioni e dalla Siria i Romani fanno giungere a Basilea truppe di rinforzo, che porteranno malattie sconosciute quanto micidiali per le popolazioni locali".

Una frontiera permeabile che si frantumerà definitivamente e che porterà alla caduta dell’Impero romano d’Occidente. Come tutti i luoghi di confine, il Reno significa anche incontri e scambi di uomini, merci e idee, nel bene e nel male; un osservatorio privilegiato su un mondo che sta cambiando. È un percorso iniziato secoli prima che la mostra dell’Antikenmuseum, intitolata ‘Ave Caesar’, racconta. "Già nel VI-V secolo a.C. – spiega Bignasca – i prìncipi celtici che vivevano nella regione intrattenevano scambi commerciali con il mondo greco ed etrusco; ben prima che Cesare si affacciasse dalle nostre parti. Abbiamo ad esempio bronzi etruschi rinvenuti in zona, tra i quali una Schnabelkanne, anfore vinarie e olearie nonché uno splendido cratere attico. Ma anche un umile dente appartenuto a un uomo sicuramente venuto già allora dal sud". La grande e la piccola archeologia, entrambe importanti per ricostruire la storia di un periodo in modo interdisciplinare, che si ritrova poi lungo tutto il resto dell’esposizione fino al consolidamento della presenza romana: vediamo infatti una piastrina d’identificazione per un sacco militare, i chiodi di calzature romane, pepe importato dall’India e trovato a Treviri con tanto di documento di accompagnamento, pesci del Mediterraneo, semi di piante esotiche, un ossicino di aragosta e resti di animali poco conosciuti all’inizio della nostra era nella regione (quali capre e polli) portati dai romani. Intervallati da manufatti di grande pregio artistico.


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Testa di barbaro ritrovata ad Avenches (Vd)

Un gioco

Il percorso è disegnato come un grande Monòpoli, una scacchiera con caselle colorate sul pavimento a seconda dell’argomento trattato nelle cinque sezioni nelle quali si articola la mostra, curata da Esaù Dozio: con originali postazioni audio, grandi riproduzioni di paesaggi e ambienti a pavimento – virtualmente il visitatore può valicare anche lui il Reno, passeggiare all’interno di un villaggio gallico o dentro un accampamento romano ascoltando fittizie testimonianze di abitanti e soldati di allora – e ovviamente reperti importanti da musei svizzeri, tedeschi, francesi e olandesi tra i quali un ritratto di Cesare scoperto in un campo di legionari a Nimega e una testa di Adriano prestata da un collezionista luganese. Per i bambini c’è anche un gioco di carte didattico.

L’idea del gioco è in fondo coerente con il tema trattato. "La presenza di Cesare a nord delle Alpi – dice il Direttore – è stata infatti un gioco politico e militare di altissimo livello. Cesare ha sfruttato la situazione di conflitto tra i vari popoli della Gallia, alleandosi con gli uni o con gli altri, fino a quando ha avuto il pretesto per far intervenire le sue legioni. L’occasione gliel’hanno data proprio gli Elvezi che volevano trasferirsi verso la Francia scacciando altre tribù galliche; una di queste ha chiesto l’aiuto dei Romani e il gioco per lui era fatto".


Römerstadt - Raurica RAURICA, SCHENKER
Lapide, A.D. 210/220

Titus Torius

Una scoperta curiosa che si può fare in mostra è il nome del primo ‘basilese’ doc: si chiama Titus Torius; il nome è inciso sull’etichetta in osso del suo sacco da legionario! Come pure si conosce il nome del fondatore virtuale di Basilea: Lucio Munazio Planco, generale di Cesare ricordato su una moneta esposta, che fu incaricato di fondare una colonia sulla riva sinistra del Reno; non riuscì nell’impresa, portata poi a compimento cinquant’anni più tardi con la nascita di Augusta Raurica. Tutta la storia della regione basilese ci ricorda come sempre vi siano stati scambi culturali, umani, commerciali, artistici tra il Nord e il Sud delle Alpi, perché la politica romana nei confronti dei popoli sottomessi era quella dell’assimilazione e dell’inclusione.

"In mostra – conclude Andrea Bignasca – vi sono innumerevoli testimonianze di questi incontri-incroci di civiltà, nella vita civile e militare come in quella religiosa: un magnifico elmo romano con inciso un nome di origine germanica, il ritratto di un alto ufficiale di cavalleria che si deduce era di origine africana (Niger viene definito), figlio di un cittadino romano di stirpe germanica in servizio da 25 anni e qui sepolto, dice l’iscrizione". Eppure aveva potuto fare una grande carriera militare nell’esercito della Roma imperiale. Si incontrano lungo il percorso espositivo divinità romane con nomi locali e viceversa dèi sconosciuti a Roma ma onorati nella Basilea di allora; tombe di coppie romano-galliche, acquedotti e fontane decorate che sono una novità importata, strutture urbanistiche con il cardo, il decumano, gli isolati, le terme, il foro, il teatro; usi e costumi quotidiani che le élite locali sposano con le tradizioni locali.

Insomma, una civiltà che sta nascendo lentamente sulle ceneri di un ordinamento obsoleto. Come sempre (o quasi) succede nella storia.

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