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Caro Claudio ti scrivo (‘Taddei ci sei’, lettera ad un amico)

È il recupero di una data che non si fece, e il ricordo (in festa) di un artista che non c’è più. Al Teatro Sociale giovedì 22 dicembre.

Claudio Taddei, 1966-2019
(Ti-Press)
19 dicembre 2022
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"È stato per il nostro teatro un artista generoso. Ne ricordiamo la vitalità e la creatività che esprimeva sul palco in occasione dei suoi concerti, ma anche in quella straordinaria performance multidisciplinare che fu il suo ‘Diario’ pittorico realizzato in occasione del festival Territori 2015". Questo si legge di ‘Taddei ci sei’, sottotitolo ‘Lettera ad un amico’, quella scritta dal regista-documentarista Stefano Ferrari, da leggersi sul palco del Teatro Sociale il prossimo 22 dicembre, giorno nel quale Claudio Taddei – il cui ultimo giorno di vita su questa terra risale al 9 agosto del 2019 – avrebbe compiuto 56 anni.

‘Taddei ci sei’ è, simbolicamente, il recupero dello spettacolo in cartellone al Sociale nel marzo del 2019, data che l’artista nato in Uruguay non riuscì a portare a compimento, perché malato. In scena andrà una manciata di amici musicisti e, come lui, artisti: a cominciare dalla sorella Rossana, per proseguire con i figli di Claudio, Dana e Romeo; e poi altre cantautrici come Giua, Raissa Avilés, Iris Moné, i cori Goccia di voci e Fiori di Kirghisia. E i musicisti: Gian-Andrea Costa (basso), Gustavo Etchenique e David Cuomo (batteria), Flaviano Braga (fisarmonica e bandoneon), Fabio ‘Mago’ Martino (fisarmonica, direttamente dai Vad Vuc), Mattia ‘Mad’ Mantello (chitarra), Mattia Ballabio (tastiere), Martha Duarte Mustelier (violino) e Sandro Schneebeli (chitarra).

Lo spettacolo è sold out da almeno un mese e mezzo. A piccola consolazione, per chi non potrà esserci e per il popolo uruguagio che ne è già abbondantemente informato, la Rsi lo registrerà e lo diffonderà; altrettanto farà la tv uruguaiana. C’è di più. È in corso di valutazione la proiezione simultanea su grande schermo all’esterno del Sociale. A parlarci di ‘Taddei dove sei’ è lo stesso ideatore: in braccio a papà Stefano, c’è Marino, un anno; Ariella, nove anni, si è occupata di decorare la lettera che il babbo ha scritto a Claudio.

Stefano Ferrari. Non pretendiamo di sapere cosa contiene la lettera: un’anticipazione?

È una lettera che ho scritto per Claudio e che poi diventa corale. I musicisti che hanno scelto di partecipare gli restituiscono i suoi brani, interpretati alla loro maniera. Io non sarò un presentatore, mi limiterò a portare in scena le parole che ho scritto, aggiungendovi dell’improvvisazione, come amo fare; quel che dirò sarà intercalato da immagini e musica dal vivo.

Come nasce ‘Taddei ci sei’?

Nasce per dare un senso a quella data del 2019 sfumata, ma anche perché da quando Claudio è volato via, la sua presenza – almeno per me, ma mi pare la sensazione di tanti – è rimasta molto forte, vuoi perché ci ha lasciato le sue opere musicali e pittoriche, vuoi perché grazie alla sua energia io lo sento ancora vicino e presente. Ogni tanto mi piace immaginarmi a chiedergli consigli, a ridere con lui. Mi sono detto che uno spettacolo avrebbe potuto portare quell’energia che io sento a tutti quanti. ‘Taddei ci sei’, tengo a dirlo, non avrà nulla di malinconico; sarà una festa fatta con la sua musica, affidata a musicisti e cantanti che l’hanno abbracciata. Qualcuno, al mio invito, ha risposto: "Per Claudio vengo anche di notte"…

Ci racconti il primo incontro con Claudio?

Risale al 1996, quando il mio lavoro mi diede la fortuna di documentare cosa avessero fatto i ticinesi in Uruguay. Mi ritrovai in quella terra a intervistare il padre di Claudio, Julio Taddei Dominguez, affermato pittore; alla fine di quell’incontro entrarono nella stanza fratello e sorella, Claudio e Rossana; attaccammo bottone, ci conoscemmo e poi nel 2002, quando a Claudio venne diagnosticato un tumore a una gamba, io gli chiesi di poter raccontare la sua lotta contro la malattia in un documentario. È tutto in ‘Quando le canzoni si avverano’, un lavoro che ci ha resi amici e fratelli, perché è così che considero Claudio, un fratello.

Dove si fonda una fratellanza, su che cosa si regge, perché può durare così a lungo?

È una domanda che mi pongo anche io nello spettacolo, quando rifletto su cosa accomunasse me e Claudio, per concludere che ci accomunava ben poco. Siamo stati due poli opposti che si sono attratti: io affascinato dalla sua creatività, dalla sua pazzia buona; lui… non so davvero cosa lo attraesse verso di me, non so come la sua dirompenza si potesse incontrare col mio desiderio di avere tutto sotto controllo. Della nostra collaborazione, in questo momento, mi tornano in mente i dieci giorni al Rivellino di Locarno, a filmare la sua musica e i suoi quadri. Quella volta Claudio riuscì a portarmi fuori controllo come mai prima.

L’ultimo momento trascorso insieme?

Quando già era debilitato dalla malattia. Quel giorno gli dissi che avevo scoperto come su di un tablet si potesse dipingere, usando una pennina elettronica. Gli chiesi di poter registrare quel suo gesto pittorico. È l’ultima cosa che mi è rimasta di lui. Fece un disegno assolutamente non casuale, che mi è rimasto nel cuore. Al Sociale, quell’ultimo suo momento artistico, che ora non voglio svelare, sarà protagonista anch’esso della serata.


Ti-Press
Stefano Ferrari, regista e documentarista

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