Culture

‘The Case’ e quegli oppositori che Putin non può silenziare

Al Film festival diritti umani Lugano un docu-film sul dissidente russo Kostantin Kotov. Intervista al prof. Marcello Flores, esperto di genocidi.

19 ottobre 2022
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Il caso (Delo in originale, ‘The Case’ nella distribuzione internazionale) è quello del dissidente russo Kostantin Kotov, ingegnere informatico. Fermato a Mosca nel corso della campagna elettorale del 2019 – che confermerà poi Putin al Cremlino per un tot di anni – durante una dimostrazione pacifica tra le fila di un’opposizione che, nel doc di Nina Guseva, si dimostra tutt’altro che zittita. Era autorizzata o no quella manifestazione? Les avis sont partagés: sì, stando agli organizzatori; assolutamente no secondo i gendarmi, che sulla Piazza Rossa vennero in fretta, coi pennacchi e con le armi, i quali tradussero immediatamente Kotov nella prigione più vicina.

Una prassi alquanto discutibile che trova però applicazione grazie al cosiddetto decreto Dadin (art. 212.1 del Codice penale russo): incolpevole a sua volta, Ildar Dadin fu il primo a finire in gattabuia per aver osato dire *bah* contro l’establishment di stanza al Cremlino. Un copione che lo Zar moscovita ripete come un disco rotto e che Oleg Sentsov – filmaker ucraino ospite lo scorso anno al Film Festival diritti umani Lugano (Ffdul) – conosce bene: a suo tempo fu condannato addirittura a 20 anni di galera. Poi Ken Loach, Pedro Almodovar, Mike Leigh e Agnieszka Holland esercitarono una tale pressione sul Cremlino – almeno questo ci piace credere… – che Sentsov fu rilasciato, sia pure dopo quattro anni di gattabuia. Putin in persona sembra abbia espresso dubbi sull’iter giudiziario del malcapitato Oleg. Dal canto suo, Kotov ha avuto la fortuna di avere quale difensore in tribunale un’agguerrita giornalista/avvocata come Maria Eismont. Fiduciosa dell’imparzialità del tribunale, quasi euforica dopo aver mostrato alla Corte un video dal quale risulta(va) chiara l’estraneità di Kotov dai fatti che gli erano imputati (sommossa e terrorismo) evidenziata da chiare inquadrature in diversi ralenti stile Var. Invece non può che trasalire di fronte al verdetto dei giudici, che condannano il suo assistito a quattro anni di carcere.

Nel docu-film appare chiaro come Putin non possa ‘silenziare’ tutti i suoi oppositori, che forse sono più numerosi di quanto si creda in occidente: si documentano le veementi proteste seguite alla lettura del verdetto. Proteste che si ripetono, sebbene qualcuno ci abbia rimesso la pelle pur di ostentare le proprie denunce verso il truce ex capo del Kgb. Sequenze con quella caméra stylo che tanto piaceva ai profeti della Nouvelle Vague, stacchi improvvisi su dettagli apparente insignificanti e l’ottima interpretazione dell’attrice per caso Maria Esimont, rendono ‘The Case’ un’opera necessaria, tuttavia talvolta un po’ prolissa nel suo sviluppo narrativo.

L’intervista

Marcello Flores: ‘Perché è difficile fare i conti con la storia’

Sarà Marcello Flores, gradito ospite del Ffdul, uno dei protagonisti dell’incontro col pubblico che seguirà la proiezione di ‘The Case’. Già professore all’Università di Siena e autore di parecchi quanto apprezzati saggi storiografici, si chiede da tempo "perché è difficile fare i conti con la storia" (sottotitolo del suo libro ‘Cattiva memoria’). In un altro suo libro, ‘Il genocidio’, spiega come questo termine sia stato creato dal giurista polacco Raphael Lemkin nel 1944, quando costui mise insieme la parola greca ‘genos’ (razza, tribù) col vocabolo latino ‘cidere’ (uccidere). Il neologismo venne a colmare una lacuna denunciata da Sir Winston Churchill, il quale, scoperte le nefandezze dei nazifascisti, si lamentava di doversi accontentare di termini quali barbarie e oscenità inenarrabili; termini che non esprimevano appieno l’orrore dei lager.

Contenuta in una risoluzione Onu del 1948, la parola genocidio ha tuttavia avuto un’applicazione difficoltosa. «Non c’è stato un vero e proprio ostracismo verso questo vocabolo, ma imperversava la Guerra Fredda e non c’era nessuno senza peccato che potesse scagliare la prima pietra. Dapprima le lotte della decolonizzazione, poi il Vietnam fecero sì che si ritornò a parlare apertamente di genocidio solo negli Anni 90 del secolo scorso, quando vennero alla luce i massacri compiuti dai khmer rossi in Cambogia, e più vicino a noi, la mattanza di Srebreniça. Debbo però ricordare che il primo genocidio del XX secolo, assolutamente dimenticato, fu compiuto nell’Africa sudoccidentale in quella che oggi chiamiamo Namibia ai danni dei popoli herero e nama (sterminati dalle forze coloniali tedesche, ndr)».

È passato alla storia come ‘Holomodor’ il famigerato piano quinquennale voluto da Stalin, che portò alla carestia dell’Ucraina e alla morte per fame di milioni di persone agli inizi degli Anni 30 del secolo scorso. Putin ha parlato dell’urgenza di una denazificazione della stessa Ucraina: possiamo considerarlo un genocida in pectoris? «Non direi. Dapprima perché le situazioni appaiono molto diverse: Stalin considerava ricco, e dunque da guardare con sospetto, il contadino ucraino che possedeva una mucca. Putin non è così cinico e i missili che lancia da mesi contro obiettivi civili (infrastrutture come scuole, ospedali e via elencando) in sede giudiziaria internazionale al massimo passerebbero come crimini di guerra e/o crimini verso l’umanità. Non è manifesta la sua volontà di cancellare il popolo e la cultura ucraina, sebbene queste ipotizzabili accuse nei suoi confronti lo porterebbero dritto dritto all’ergastolo».

Una personalissima curiosità la sottoponiamo infine al professor Flores: l’imperatore Hirohito non avrebbe dovuto sedere sul banco degli imputati a Norimberga? Le truppe nipponiche ai suoi ordini si macchiarono di stupri di massa e di massacri di civili inermi in Cina, per non parlare dei kamikaze mandati a morire quando le sorti della Seconda Guerra Mondiale erano ormai decise e ci vollero due atomiche per indurlo finalmente alla resa. «Di sicuro avrebbe dovuto comparire al processo di Tokyo, ma sfuggì ai tribunali terreni invocando l’ascendenza di sovrano celeste. Ci si dovette accontentare della condanna dei generali suoi subalterni, condannati però per crimini di guerra e/o contro l’umanità, non per genocidio».

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