laR+ Settimane Musicali

Lo Schubert ‘ecologico’ di Jordi Savall

Con la sua orchestra naturale, martedì 4 ottobre in San Francesco a Locarno (l’intervista)

Jordi Savall
(Hervé Pouyfourcat)
2 ottobre 2022
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Ha dato spesso per moribonda la musica classica, dicendo che oggi gli esecutori non sono abbastanza creativi. E infatti utilizza sempre un’orchestra naturale (lui la chiama "ecologica") con archi di budello, fiati di legno e corni senza pistoni: specie quando dirige Schubert come avverrà martedì 4 ottobre alle ‘Settimane’ di Ascona (l’appuntamento è in San Francesco a Locarno alle 19.30), dove si potranno ascoltare sotto la sua guida due capolavori del compositore viennese, l’‘Incompiuta’ e ‘la Grande’. Parliamo di Jordi Savall, violista e direttore catalano, che non smette mai di sperimentare passando con nonchalance dalla musica antica spagnola del Siglo de Oro all’Ottocento spirituale di Bruckner, dalle cantigas ai canti popolari siriani alla tradizione sefardita e alle musiche scritte per la corte di Versailles. Ennesima dimostrazione per questo folto angolo di repertorio, alimentato di recente anche dal sinfonismo di Beethoven e dal teatro di Mozart.

Savall, come sarà lo Schubert delle ultime grandi sinfonie?

Dolente, poetico, capace di esprimere al tempo stesso gioia e dolore. Ma per far questo mi ispiro ai criteri della musica storicamente informata con un’orchestra in cui tutti suonano strumenti che vibrano in modo naturale, attraverso il legno o gli archi di budello. In questo modo risulta più facile sentire la trasparenza delle parti, come se l’orchestra non fosse altro che un quartetto d’archi allargato, in cui gli strumenti dialogano fra loro.

Cosa non la convince delle letture storiche del passato come quelle di Karajan, Toscanini o Furtwaengler?

La grande massa strumentale mi lascia interdetto. Preferisco di gran lunga lavorare su organici più piccoli (a Locarno saremo una sessantina) per far sentire meglio anche il gioco sottile di dinamiche, l’articolazione e le sfumature più tenui.

Perché il pubblico spesso ha bisogno di continue certezze di ascolto, preferendo le grandi icone di repertorio?

Probabilmente perché è difficile dimenticare il peso dei grandi capolavori, che vanno eseguiti e riformulati giorno per giorno, con una fruizione che ricorda nelle arti figurative certi giganti come Michelangelo e il Caravaggio. Poi magari restiamo affascinati pure dalla giovane età in cui certe musiche sono state composte: pensi a Schubert, che ha scritto queste due gemme sinfoniche quando non aveva neppure trent’anni, anche se tutto questo non ci impedisce di trovare altri stimoli.

Infatti le sue ricerche sulla musica antica continuano.

Mi sono affezionato al repertorio antico dei popoli del Mediterraneo, terra di rotte avventurose e scambi commerciali, ma mi muovo anche in altre direzioni. Adesso sto lavorando a un progetto sulla musica caraibica del primo barocco: musiche del Seicento come i villancicos, cantate da marinai europei (italiani, polacchi, francesi, persino arabi) che viaggiavano verso il Nuovo Mondo. I testi principali erano in spagnolo e le coplas in tutte le lingue, con un mix impressionante di idiomi. Poi fra i progetti futuri c’è Charpentier a Natale, poi Beethoven con la Missa solemnis e la prossima estate Mendelssohn, con le musiche di scena dal Sogno di una notte di mezza estate.

È importante il vostro contributo alla musica antica?

Senza dubbio, anche se da musicisti ‘antichi’ è sempre difficile ricevere contributi pubblici, rispetto ai teatri e alle solide istituzioni sinfoniche. Diciamo che se tutti gli esecutori come noi entrassero in sciopero, non si potrebbe sentire nessuna musica anteriore al 1800. Su questo sto lottando con la commissione europea, perché il nostro ruolo di ‘musei viventi’ del passato venga riconosciuto in modo più equo.

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