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‘Sergentmagiù, ghe riverem a baita?’

Ricordi e confessioni dentro ‘Il sergente dell’Altopiano’, documentario su Mario Rigoni Stern presentato a Castel San Pietro

Mario Rigoni Stern
(AViLab-Mendicino)
24 settembre 2022
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È il primo novembre 1921: Mario Rigoni Stern nasce ad Asiago quando il ‘suo’ Altopiano tenta a propria volta di ri/nascere dopo i due milioni di bombe (!) che l’hanno distrutto durante la Prima Guerra Mondiale. Sono tempi grami, che – tuttavia – da un lato gli imprimono quella tempra indispensabile per sopravvivere a quanto di ben più gramo lo aspetta; dall’altro, la caparbietà della sua gente nel volersi risollevare e il nazionalismo che ha nel duce il suo profeta lo spingono ad arruolarsi e a diventare, a 17 anni, il più giovane Alpino del regio esercito. L’annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia (maggio 1940) lo coglie quando si sta addestrando in Valle d’Aosta. Le Alpi che separano il suo Paese e la Francia diventano così il suo primo fronte, ma il suo giovanil entusiasmo s’incrina subito, quando dopo pochi mesi si ritrova a combattere in Albania: "È lì che ho cominciato a riflettere…"

È una delle tante confessioni che Mario Rigoni Stern ci concede nel documentario ‘Il sergente dell’Altopiano’, firmato da Federico Massa e Tommaso Brugin (che ha pure curato il montaggio) e prodotto da Villi Hermann e, tra gli altri, da Silvana Bezzola Rigolini per la Rsi. Accompagnato dalle musiche di Zeno Gabaglio e sorretto dal buon lavoro del direttore della fotografia Andrea Azzetti, il doc ha avuto la sua ‘prima nazionale’ in una cornice che sarebbe piaciuta allo scrittore vicentino: la ‘Corte Cuntitt’ di Castel San Pietro. Proiezione all’aperto, dunque, con un discreto vento settembrino certo non paragonabile a quello feroce che infieriva sulle truppe italiane abbandonate a sé stesse sulle rive del Don nell’inverno 42/43, dov’è spazio/temporalmente ambientato ‘Il sergente nella neve’, da molti definito il capolavoro dello scrittore. "Niente affatto, ribatte il sergente Rigoni: il mio capolavoro è stato condurre in salvo i 70 soldati che mi erano affidati". Tra questi, il Giuanin che gli ripeteva come un mantra "Sergentmagiù, ghe riverem a baita?". Rigoni tornò a Asiago (da dove non si mosse più sino alla morte nel 2008) il 5 maggio 1945, pesava 40 chili dopo aver percorso a piedi quasi tremila chilometri. La reiterata domanda è tuttavia rimasta ben impressa nella mente di Alberto Nessi, divenuto poi amico del sergentmagiù, che con Antonio Mariotti ha introdotto il filmato accanto ai produttori, a Mark Bertogliati del Museo Etnografico di Cabbio e a Bruno Donati, il quale ha avuto il piacere di accompagnare ‘il sergente’ durante un’escursione in Val Bavona. "Ho scoperto un luogo incantevole", scrisse poi Rigoni Stern su La Stampa di Torino, "ma non vi dico dov’è perché vorrei che rimasse tale, incolume da quel turismo di massa che distrugge tutto!". Un pensiero che testimonia l’amore dello scrittore per la natura, gli alberi, gli animali e ribadito nel documentario con un aforisma che passiamo agli ecologisti per ricavarne un sagace slogan: "La terra? Dobbiamo limitarci a sfruttarne solo gli interessi, senza intaccare il capitale".

Particolarmente toccante infine il pensiero che rivolge a Primo Levi. Quando in un’intervista televisiva chiesero all’autore di ‘Se questo è un uomo’ come avrebbe voluto trascorrere il Natale, lui rispose: "In una baita di montagna chiacchierando con Mario Rigoni Stern davanti al fuoco del caminetto". L’incontro poi ci fu davvero. Non a Natale, però, e probabilmente nessuna chiacchiera dinnanzi le fiamme: bastava il silenzio per ripercorrere l’orrore attraversato, nella vita e nella loro opera, da questi due grandi scrittori dell’infausto Novecento, uniti nella convinzione che "chi non ha memoria non ha avvenire".

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