Il direttore belga, già Grammy Award, dirige la Freiburger Barockorchester giovedì 22 settembre alla chiesa del Collegio Papio
L’immersione nel barocco anglosassone del Settecento tra puntuali riferimenti mitologici, morbide fragranze bucoliche e richiami aulici al concerto grosso. Giovedì 22 settembre alla Chiesa del Collegio Papio, le Settimane di Ascona dedicano uno spazio monografico del divino sassone con il suo contorno cerimoniale, i turgidi fugati e la stupefacente bellezza delle armonie.
La qualità esecutiva spetta alla Freiburger Barockorchester e al direttore belga René Jacobs, di lunga militanza artistica in questo ambito da quando cantava nel ruolo di controtenore, accumulando Grammy Awards, premi e riconoscimenti discografici circoscrivendo un repertorio che spazia da Monteverdi a Cavalli e Scarlatti fino a Bach, Händel, Mozart, Haydn e Beethoven. Nello specifico, un focus-Haendel che include due Cantate (Il delirio amoroso, Apollo e Dafne), un concerto per organo e l’ouverture dall’Agrippina.
Maestro Jacobs, cosa può esserci di tanto piacevole e attuale oggi nella musica del divino Händel?
Molte cose. La teatralità, la magnificenza, lo splendore timbrico. Händel sapeva bene come dosare le emozioni e venire incontro ai desideri del pubblico, dipingendo il carattere dei personaggi con una sorprendente capacità drammatica. Per questo era giustamente popolare ai tempi, specie a Londra, dove i suoi oratori incontravano un enorme favore di pubblico, come pure le opere: in sala venivano distribuiti i libretti in traduzione, per far capire l’italiano dei recitativi. Ma i titoli conosciuti erano la punta dell’iceberg (Messiah, ad esempio) e c’è voluto il ventesimo secolo per conoscerlo meglio, grazie alla Händel Renaissance.
Ha un senso paragonarlo a Bach?
Meno di quel che si pensi nonostante le coincidenze temporali, perché era più legato al milieu italiano del primo Settecento, in special modo Scarlatti e Caldara. Personalmente mi piace la sua fase giovanile, quando passò due anni tra Rona e Venezia legandosi all’ambiente dell’aristocrazia cardinalizia e delle famiglie patrizie che nutrivano molta sensibilità per la musica. Ad Ascona porto un programma mirato a questo mondo incredibile, che guardava al passato mitologico (Apollo e Dafne) con una spiccata modernità di scelte.
Tematiche comuni anche alle arti figurative.
Appunto, come il soggetto di Apollo e Dafne (dalle Metamorfosi di Ovidio) che ispira i dipinti del Bernini a Villa Borghese. Pure modernissimi, si pensi ad Agrippina che lascia trapelare quel mix di sesso, potere e crimine che accendeva la fantasia dell’ambiente romano con una musica originalissima. Nell’ultimo Händel sai più o meno dove voglia andare a parare, qui no, c’è una certa imprevedibilità nello sviluppo discorsivo.
Quanto influisce il suo passato di cantante nelle scelte interpretative?
Gran parte di questa musica fa perno sulla vocalità e questo mi è d’aiuto nella dizione della parola, nel respiro e nell’improvvisazione durante le arie con ‘da capo’. Tutte cose che ho appreso da ragazzo quando cantavo a Gent nel coro della cattedrale e oggi insegno alla Schola Cantorum di Basilea.
Ci saranno nuovi progetti, al di fuori del repertorio antico?
Sì, ogni tanto mi piace spingermi nell’Ottocento. Prossimamente dirigo Freischütz di Weber e tra due anni Carmen, in un tour che tocca alcune città del nord. L’idea è di realizzarla in un’edizione semi-scenica con i cantanti senza leggio, i sottotitoli per il pubblico e un’orchestra fedele all’originale per riprodurre meglio i colori che voleva Bizet.