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René Jacobs, Händelmania fra teatralità e magnificenza

Il direttore belga, già Grammy Award, dirige la Freiburger Barockorchester giovedì 22 settembre alla chiesa del Collegio Papio

Best opera recording (‘Le nozze di Figaro) ai 47esimi Grammy Awards
(Philippe Matsas)
20 settembre 2022
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L’immersione nel barocco anglosassone del Settecento tra puntuali riferimenti mitologici, morbide fragranze bucoliche e richiami aulici al concerto grosso. Giovedì 22 settembre alla Chiesa del Collegio Papio, le Settimane di Ascona dedicano uno spazio monografico del divino sassone con il suo contorno cerimoniale, i turgidi fugati e la stupefacente bellezza delle armonie.

La qualità esecutiva spetta alla Freiburger Barockorchester e al direttore belga René Jacobs, di lunga militanza artistica in questo ambito da quando cantava nel ruolo di controtenore, accumulando Grammy Awards, premi e riconoscimenti discografici circoscrivendo un repertorio che spazia da Monteverdi a Cavalli e Scarlatti fino a Bach, Händel, Mozart, Haydn e Beethoven. Nello specifico, un focus-Haendel che include due Cantate (Il delirio amoroso, Apollo e Dafne), un concerto per organo e l’ouverture dall’Agrippina.

Maestro Jacobs, cosa può esserci di tanto piacevole e attuale oggi nella musica del divino Händel?

Molte cose. La teatralità, la magnificenza, lo splendore timbrico. Händel sapeva bene come dosare le emozioni e venire incontro ai desideri del pubblico, dipingendo il carattere dei personaggi con una sorprendente capacità drammatica. Per questo era giustamente popolare ai tempi, specie a Londra, dove i suoi oratori incontravano un enorme favore di pubblico, come pure le opere: in sala venivano distribuiti i libretti in traduzione, per far capire l’italiano dei recitativi. Ma i titoli conosciuti erano la punta dell’iceberg (Messiah, ad esempio) e c’è voluto il ventesimo secolo per conoscerlo meglio, grazie alla Händel Renaissance.

Ha un senso paragonarlo a Bach?

Meno di quel che si pensi nonostante le coincidenze temporali, perché era più legato al milieu italiano del primo Settecento, in special modo Scarlatti e Caldara. Personalmente mi piace la sua fase giovanile, quando passò due anni tra Rona e Venezia legandosi all’ambiente dell’aristocrazia cardinalizia e delle famiglie patrizie che nutrivano molta sensibilità per la musica. Ad Ascona porto un programma mirato a questo mondo incredibile, che guardava al passato mitologico (Apollo e Dafne) con una spiccata modernità di scelte.

Tematiche comuni anche alle arti figurative.

Appunto, come il soggetto di Apollo e Dafne (dalle Metamorfosi di Ovidio) che ispira i dipinti del Bernini a Villa Borghese. Pure modernissimi, si pensi ad Agrippina che lascia trapelare quel mix di sesso, potere e crimine che accendeva la fantasia dell’ambiente romano con una musica originalissima. Nell’ultimo Händel sai più o meno dove voglia andare a parare, qui no, c’è una certa imprevedibilità nello sviluppo discorsivo.

Quanto influisce il suo passato di cantante nelle scelte interpretative?

Gran parte di questa musica fa perno sulla vocalità e questo mi è d’aiuto nella dizione della parola, nel respiro e nell’improvvisazione durante le arie con ‘da capo’. Tutte cose che ho appreso da ragazzo quando cantavo a Gent nel coro della cattedrale e oggi insegno alla Schola Cantorum di Basilea.

Ci saranno nuovi progetti, al di fuori del repertorio antico?

Sì, ogni tanto mi piace spingermi nell’Ottocento. Prossimamente dirigo Freischütz di Weber e tra due anni Carmen, in un tour che tocca alcune città del nord. L’idea è di realizzarla in un’edizione semi-scenica con i cantanti senza leggio, i sottotitoli per il pubblico e un’orchestra fedele all’originale per riprodurre meglio i colori che voleva Bizet.

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