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Il Film Festival prima della Prima: Giona A. Nazzaro

Libertà, costruzione, attesa e nessuna autocelebrazione: il 75esimo nelle parole del direttore artistico

Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival
(Ti-Press)
2 agosto 2022
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Non parlate al Locarno Film Festival del 75esimo. È una ricorrenza, importante sì, ma non più del cambiamento in atto nel settore audiovisivo, che non consente autocelebrazioni. Nemmeno quella di essere usciti dalla pandemia con lungimiranza, forse per quella "attitudine al cambiamento" di cui si parla in ‘Locarno on/Locarno off’, libro sul Festival di Lorenzo Buccella di cui si è scritto, e che nella sua versione televisiva intitolata ‘Locarno Confidential’ segnerà – questa sera alle 20.40 su La1 e da domani anche su Play Suisse – l’inizio del 75esimo.

Prima del documentario, e prima del Festival che parte domani, la Piazza Grande accende il suo schermo stasera alle 21.30 per il Prefestival, il film per famiglie in proiezione gratuita. Trattasi di ‘Interdit aux chiens et aux Italiens’, pluripremiato film d’animazione di Alain Ughetto, una stop motion sulla vera storia di Cesira e Luigi, coppia di emigranti italiani che negli anni Venti fuggirono dalla miseria delle vallate alpine italiane per metter su famiglia in Francia, storia che rievoca in maniera tangibile il passato migratorio del Canton Ticino.

Giornalisticamente parlando, il nostro Prefestival è un sondare gli animi al PalaCinema, prima che tutto abbia inizio.

Giona A. Nazzaro: com’è prima della Prima?

Ci sono mille cose che passano per la testa. Tutto è ovviamente stato discusso, preparato, provato. Si aspetta solo di andare in scena, consapevoli del grande impegno e del valore storico di questo anniversario.

Quanta responsabilità porta un 75esimo, più di un 70esimo che già ne portò di suo?

Gli anniversari, con questi numeri così belli e rotondi, recano con sé una domanda, anche sdoppiabile, alla quale bisogna poi dare una risposta: cosa è stato fatto e cosa sarà fatto? L’anniversario oscilla sempre tra questi due poli. Con questo anniversario abbiamo volutamente tentato di puntare l’attenzione nella direzione di quello che faremo, perché la nostra è una storia imponente, importante, bella, una storia che è stata consegnata al cinema del XX secolo. Ciò che abbiamo fatto qui è diventato patrimonio del cinema mondiale. Adesso la sfida è continuare a farlo, intuire le trasformazioni dell’intera filiera dell’industria cinematografica, capire come volgere queste trasformazioni affinché la nostra storia continui a essere rilevante e significativa e, allo stesso tempo, come costruire il Festival di dopodomani, un Festival che sia accessibile e allo stesso tempo in grado d’intuire le aperture formali e innovative del linguaggio cinematografico e, di conseguenza, come esso si cala o meno nel tessuto delle nostre società.

A che punto siamo di questa costruzione?

Domanda interessante, ma me la dovrebbe porre domani.

Non c’è alcun intento autocelebrativo, in questo 75esimo. Lo avete specificato nella conferenza stampa di presentazione, è specificato anche nella prefazione al libro di Lorenzo Buccella, ‘Locarno on/Locarno off’, dove, anzi, si dice che "accanto a pagine felici, ne troverete altre intrise di difficoltà e, talvolta, smarrimento"…

Il libro di Lorenzo Buccella è molto bello, storicamente molto utile, e ha il merito di conservare una leggerezza fondamentale, perché la storia si trasmette anche come aneddoto e mitologia, se entrambi questi aspetti sono ancorati nel tessuto di una storia condivisa. Buccella ha avuto questa straordinaria intuizione di raccontare la storia in una maniera nuova. Questo è un merito di questo libro che, in qualche modo, offre anche il passo di quello che stiamo facendo.

Un capitolo abbastanza corposo del libro è dedicato alla libertà del Locarno Festival, quel suo combattere contro definizioni colorite come "avamposto sovietico del Lago Maggiore" – erano gli anni della Guerra Fredda – per il suo originario guardare al cinema dell’Est del mondo. Lei, personalmente, sente questa tradizione di libertà e si sente libero, artisticamente parlando?

Sì, mi sento assolutamente libero e la storia del Festival dichiara che questa libertà non è mai venuta meno. La libertà è una conversazione, non si può imporre; la libertà è un processo, non è scontata; la libertà non è un paradigma, è un’invenzione che si fa di volta in volta. Tutto questo non può accadere se non esiste una comunità che si raccoglie davanti a uno schermo, e grazie alla quale si creano tante conversazioni diversificate. Motivo per il quale non credo alla polemica e alla provocazione, perché tutto questo presupporrebbe che chi lancia la provocazione o la polemica pensa di avere la risposta in tasca. Io credo che avere il privilegio di poter proporre una selezione di opere cinematografiche per essere fruite sia già in sé un privilegio enorme, e dunque tutto il lavoro lo si fa quando queste opere entrano nell’agone del dialogo.

Dico non a caso ‘agone’ e ‘dialogo’, perché a volte i dialoghi sanno anche essere forti, problematici, ma sempre dialoghi restano: non esiste una conversazione che si cala dall’alto al basso, e non esiste una conversazione che non sia orizzontale. In questo senso, credo che la libertà, più che una dichiarazione, sia una meta alla quale aspirare, tenendo sempre salda la testa su alcuni processi profondamente democratici, di condivisione. Poi, è ovvio che esista un principio editoriale, una curatela, uno sguardo. Ma questi sono gli elementi primordiali della conversazione. D’altronde, gli unici festival che hanno un motivo d’interesse sono quelli che hanno una grafia riconoscibile, e quella di Locarno, non da adesso, è sempre stata estremamente riconoscibile. È per questo che esiste una storia del Festival di Locarno.

Limitatamente all’edizione alle porte, Costa-Gavras ha un senso, in questo senso…

Costa-Gavras è un cineasta che è sempre stato al servizio del mondo, della libertà, ma anche un cineasta che si è posto delle domande importanti sulla forma del cinema; si è chiesto a cosa servisse il cinema e che cosa si potesse fare ancora con il cinema. In un anniversario come il 75esimo, una figura come la sua ci ricorda che ci sono tanti modi di stare nel mondo, ma che soltanto un paio fanno la differenza. Quello di Costa-Gavras è uno di questi.

La sua direzione artistica ha esordito in tempi pandemici: quello di quest’anno è il Festival che voleva?

Voglio che sia chiaro: il Festival dello scorso anno è stato esattamente il Festival che volevo, nato e strappato a una situazione pandemica ancora in atto, a una situazione oggettiva di coincidenze con altri grandi festival. Il Festival dell’anno scorso, per quel che riguarda i titoli, è esattamente il Festival che volevo, un Festival che il pubblico di Locarno ha fatto suo e che ha permesso a tutta una serie di film di avere una lunghissima vita post-Locarno. Quello di quest’anno è un Festival al quale abbiamo potuto lavorare con un margine forse maggiore di tempo, ma con un’intensità addirittura raddoppiata, ed è senz’altro il Festival che volevo. Ciò che quest’anno non c’è più, per fortuna, sono le misure di sicurezza sanitaria, per cui le sale sono di nuovo al massimo della capienza. Speriamo che per questo motivo il pubblico risponda ‘presente’. Ma probabilmente lei voleva chiedermi se ci è scappato qualche film…

In verità no, ma a questo punto le pongo la domanda…

Siamo riusciti ad avere tutto quel che volevamo. Per le poche, pochissime cose che non abbiamo avuto, ma che sapevamo dirette altrove, abbiamo comunque giocato la nostra partita. Alla fine però, credo che questo programma, così come si presenta, sia estremamente ricco: se fossi oggi un giovane critico metterei le tende per vedere Cineasti del presente; in qualità di cinefilo farei attenzione a non perdere nemmeno un film della retrospettiva Sirk; in qualità di critico cinematografico farei molta attenzione a non perdere nessun film del Concorso, senza parlare di quello straordinario vivaio che sono i Pardi di domani. Io credo, e lo dico con la massima obiettività, che la qualità filmica delle opere che presentiamo sia di un tenore estremamente elevato.

Tre film svizzeri in Piazza Grande è una concessione o un attestato di stima?

È ovvio che in ogni festival nazionale si pensa che la produzione nazionale stia lì per questione di quote. Grazie al cielo, non ho ancora dovuto fare ragionamenti di questo tipo. Per la produzione svizzera abbiamo lo stesso numero di film dello scorso anno. I tre film in Piazza Grande rappresentano la scelta consapevole di utilizzare la vetrina di Piazza Grande per dare un segno forte al resto dell’industria cinematografica, un segno che il cinema svizzero gode di ottima salute e che anche nelle sue punte più avanzate di cinema che guarda al grande pubblico può competere e misurarsi con il grande intrattenimento riconducibile ad altre cinematografie.

Per finire. Lo scorso anno, in occasione della sua nomina, si disse che il Festival confidava in un direttore artistico ‘integrato’. In questi due anni lei ha conosciuto Locarno nel bene e male, inteso come pandemia: si sente ‘uno del posto’?

Mi sento accolto, questo sì. Più conosco il Ticino e più mi rendo conto che ci sono tante storie e sarebbe quindi un po’ presuntuoso dire che mi sento del posto. Mi sento accolto, e mi sento parte di un processo, perché lavorare per tentare di costruire il miglior Festival possibile è un modo di mettersi al servizio di una regione e di un Paese. D’altronde Locarno è l’unico festival al mondo che è diventato sostantivo e aggettivo: è sostantivo perché Locarno significa un’idea di cinema diversificata, ricca, complessa, ma allo stesso tempo un’attenzione al cinema del passato molto premurosa. E allo stesso tempo Locarno è un aggettivo perché ‘locarnese’ significa uno sguardo audace, che ti dà il benvenuto, uno sguardo polemico ma anche generoso. È un aspetto al quale penso molto. In occasione di Festeggiamo 75, la rassegna itinerante per il 75 anni del Festival, ho trovato davvero toccante vedere come queste piccole aree abbiano ricreato lo spirito di Piazza Grande. Non voglio citare un posto a discapito di un altro, ma mi piace constatare come tutta la regione abbia risposto a questa iniziativa. Quindi, in questo senso sì, mi sento del posto e sì, spero di poterlo diventare ancora di più in futuro.


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Con Marco Solari

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