laR+ L'intervista

Fabio Genovesi: ‘Dobbiamo non abituarci alla meraviglia’

Già Premio Strega nel 2015, ama il mare, la natura e l’ambiente: l’ultimo suo libro è ‘Il calamaro gigante’

‘Non diamo lezioni ai figli, lezioni di vita o altre cose saccenti, non ce lo meritiamo; dobbiamo solo chiedere loro scusa e sperare che facciano meglio di noi’
(Sara Lando)
19 luglio 2022
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Fabio Genovesi è autore affermato: nel 2015 ha vinto il Premio Strega Giovani con ‘Chi manda le onde’ e nel 2018 il Premio Viareggio con ‘Il mare dove non si tocca’. Recentemente, lo scrittore ha raccontato le bellezze artistiche e naturali, le storie e le leggende del Belpaese seguendo in diretta le tappe del Giro d’Italia, ogni giorno su Rai 2 e su Rai Sport. Uno dei temi che sta molto a cuore a Genovesi è il mare e più in generale la natura, l’ambiente. Ne scrive anche nel suo ultimo libro, ‘Il calamaro gigante’ (Feltrinelli 2021).

Fabio Genovesi, ne ‘Il calamaro gigante’ lei scrive che "noi per fortuna siamo molto più della Storia: noi siamo le storie". Cosa intende con questo plurale e con la ‘s’ che diventa minuscola?

Di solito la Storia con la S maiuscola è una serie di cose fatte – bene o male – da re o regine, papi, o altre persone ricche e potenti. Le cause della seconda guerra mondiale, ad esempio, saranno sì importanti, ma ecco che lì non ci sono mai le storie che più mi interessano: il modo in cui mio nonno e mia nonna sono sopravvissuti, hanno fatto l’amore facendo nascere i miei genitori, e quindi poi sono nato io. È quella storia che m’interessa di più. Noi siamo figli di quelle storie, ognuno di noi è figlio delle storie che hanno portato a lui.

"La Terra su cui viviamo non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli" (la frase fu pronunciata a metà del 19esimo secolo da Capo Seattle alle truppe americane in risposta alla richiesta del Governo degli Stati Uniti di acquistare territori indiani, poi sottratti loro con la forza). Come valuta questo pensiero?

Concordo in pieno con Capo Seattle e in genere con tutto il pensiero degli indiani d’America e di altri popoli indigeni che gli occidentali hanno incontrato e sottomesso. È quell’atteggiamento, sempre occidentale, del prendere invece che del comprendere, quel considerare tutto come un bene che se non lo prendo io, c’è il rischio che se lo prenda qualcun altro e allora ecco, me lo prendo tutto. Il risultato è che trattando la natura non come qualcosa di vivo ma come un bene inerte da prendere e da accumulare, beh, ecco che questo accumulo muore. E con lui, anche noi moriamo.

Sul piano ambientale, quale eredità lasciamo alle giovani generazioni? Lei ha dedicato alla questione ecologica l’ultimo capitolo de ‘Il calamaro gigante’: tra l’altro vi narra di un’‘isola’ di plastica grande tre volte la Francia scoperta alla fine del secolo scorso tra il Giappone e le Hawaii.

Lasciamo alle nuove generazioni una situazione tragica, che continuiamo a rendere ancora più tragica. Il problema è che oggi si parla moltissimo di plastica e d’inquinamento e questo dà l’illusione che si stia facendo qualcosa. In realtà l’unica cosa che si fa è parlarne, il resto è davvero così piccolo che sfiora il simbolico. Quindi per favore: non diamo lezioni ai figli, lezioni di vita o altre cose saccenti, non ce lo meritiamo; dobbiamo solo chiedere loro scusa e sperare che facciano meglio di noi: peggio, d’altronde, è difficile fare!

Ma non è convinto della necessità di opporsi con determinazione e urgenza ai cambiamenti climatici in atto?

È necessario opporsi, ma non aspettando che esistano leggi o altre decisioni dei governi, perché tanto ai governi non importerà mai davvero. Le loro decisioni sono prese a livello politico ed economico, ai governi è l’economia e non l’ecologia che interessa. E allora dobbiamo capire che la rivoluzione viene da noi, da ogni singolo gesto che facciamo quotidianamente. La grande differenza politica non verrà mai… oppure sì, verrà, ma solo adattandosi a una grande differenza creata da noi, che per ognuno di noi è piccola. E questo è scomodo perché vuol dire che tocca a noi fare qualcosa, invece che lamentarci, tocca a noi cambiare qualcosa nella nostra vita quotidiana. È inutile andare a manifestare e poi andarsi a mangiare un hamburger da McDonald’s, tanto per fare un esempio. A quel punto si protesta solo per farsi dei selfie e il mondo non ha bisogno di selfie.

Il suo libro, a mio parere, è un invito ad appassionarsi, a lasciarsi stupire, a conoscere le evidenze scientifiche dotandole però di aperture, insomma: a sapersi incantare di fronte alla sorprendente varietà della vita.

Grazie, sono proprio le parole che speravo di ascoltare, Vede, io credo nell’incanto che ci possono dare non solo le meraviglie che ci sono a migliaia di metri di profondità marina, ma l’incanto del mondo intorno a noi, e anche di noi stessi. È miracoloso il calamaro gigante, ma lo è anche una rondine, e lo sono anche le nostre mani: macchine stranissime create dalla natura, queste mani che sanno fare cose incredibili. Siamo miracoli noi stessi: il cuore batte anche quando dormiamo, respiriamo anche quando dormiamo. Tutto per me è prodigioso. Dobbiamo non abituarci alla meraviglia. Ecco: il mondo è pieno di meraviglie, solo che non le sappiamo più guardare, e allora rischiamo di appiattirci. Se ci rendiamo conto di tutta la meraviglia che quotidianamente è nel mondo attorno a noi, addosso a noi e in noi, allora diventa più difficile offenderla e avvelenarla come facciamo.

Quindi c’è speranza? Eppure la pandemia prima e la guerra ora non portano certo ottimismo…

Ci deve essere speranza e c’è speranza. La risposta non è mai opporre alle brutture altra bruttura, non è incattivirsi perché c’è il Covid od odiare qualcuno nella guerra: la risposta secondo me è opporre bellezza a tutta questa bruttezza: è l’unica cosa che sappiamo e possiamo fare – anche perché queste persone in quanto a bruttezza non le batti! – e allora devi opporre il fatto che sappiamo creare cose belle. Opporre bellezza e lasciarla così, solo per ricordare cosa si può fare di bello nel mondo.

Cosa si sente di dire ai giovani?

Ai giovani mi sentirei di dire per prima cosa di non dare ascolto a noi e di non fare quello che abbiamo fatto noi. E soprattutto di non credere mai, quando non capiscono le brutture e le ingiustizie del mondo, ai grandi che danno loro questa risposta orribile: "Quando sarai grande capirai". Il che non vuol dire che quando sarai grande sarai più intelligente o arriverai a più cose, no, quando sarai grande sarai più arreso alla bruttezza delle cose che succedono e sarai più cinico. Non è vero che le persone sono più intelligenti se capiscono: ci sono cose che è bene non capire e non accettare. E quindi più sei intelligente e più non le capisci. Consiglio ai giovani di non capire.

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