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Spiando Leo Zanier, ‘pericoloso sovversivo’

A colloquio con Mattia Lento, autore del radiodramma ‘Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione’, su Rete Due dal 13 al 15 luglio e dal 18 al 22 luglio

Primo maggio a Berna nel 1973: lavoratori italiani manifestano (nel riquadro, Leonardo Zanier)
12 luglio 2022
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Ha messo le mani negli archivi della polizia politica di Zurigo per riportarci tutti all’epoca dello Statuto dello stagionale (abolito giusto vent’anni fa), ai giorni della prima iniziativa Schwarzenbach (l’espulsione di massa dalla Svizzera di migliaia di persone senza passaporto), al tempo delle battaglie del movimento dei lavoratori migranti in cerca di giustizia sociale. Il risultato della ricerca di Mattia Lento, in collaborazione con Manuela Ruggeri, è confluita in ‘Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione’, radiodramma in onda su Rete Due dal 13 al 15 luglio e dal 18 al 22 luglio, sempre alle 13.30, prodotto da Francesca Giorzi e diretto da Flavio Stroppini. «Zanier è la figura che ho scelto per raccontare un mondo. Non volevo santificarlo, né farne un’agiografia», ci spiega Lento. E Zanier è Leonardo ‘Leo’ Zanier (1935-2017), poeta e sindacalista, educatore e attivista sindacale, friulano della Carnia spostatosi dapprima in Marocco e poi a Zurigo per diventare – in quanto figura di riferimento dell’emigrazione italiana in Svizzera – uno dei soggetti più spiati dalla polizia politica elvetica.

‘Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione’ alterna poesia e prosa, nel funzionale incastro con materiale d’archivio inedito e soprattutto con le ‘fiches’ della polizia politica a lui riservate, oggi conservate allo Stadtarchiv di Zurigo, spunto offerto a Lento per raccontare il protagonista attraverso lo sguardo di due poliziotti, un ticinese e un bregagliotto, sulle tracce del "pericoloso sovversivo" (dopo l’emissione, l’opera radiofonica sarà disponibile all’indirizzo www.rsi.ch/radiodrammi).

Mattia Lento, perché proprio Zanier?

A colpirmi sono stati i racconti di molte persone politicamente attive nel mondo della migrazione italiana e spagnola, spiati dalla polizia. In particolare mi ha colpito la storia di Lisetta Rodoni, proprietaria della Libreria italiana di Zurigo, oggi chiusa, spiata per anni dalla polizia e anche dai vicini, sempre cordiali con lei, una doppia faccia dalla quale Lisetta restò assai segnata. Il marito Sandro, un ticinese di Biasca, fu uomo importantissimo del Pci, rappresentò una sorta di trait-d’union tra Partito del lavoro, Pci e mondo della migrazione italiana.

C’è stata una conoscenza diretta con il ‘pericoloso sovversivo’?

Lo incontrai per la prima volta al 50esimo dalla fondazione della Libreria italiana. Non posso dire di aver avuto con lui un rapporto profondo. Io vengo dalla ricerca, ho studiato cinema, ho fatto un post-dottorato con il Fondo Nazionale Svizzero occupandomi dei rapporti tra migrazione italiana e cinema svizzero e Zanier, oltre all’importanza in ambiti di formazione e diritti, fu anche l’artefice del forte impulso giunto ai cineclub delle colonie libere. Se vogliamo, Zanier l’ho più studiato che conosciuto. Tra i nostri incontri ricordo la visione di un film insieme, credo si trattasse di un’opera di Bizzarri. In Zanier s’incarnano la mia volontà di raccontare un mondo della migrazione italiana organizzato e combattivo insieme al trauma della repressione politica.

Quali le fonti, gli spunti per la drammaturgia?

Di Zanier ho approfondito la vita e l’opera, grazie anche a Paolo Barcella, storico della migrazione italiana e autore della sua biografia. Ogni episodio è aperto da un testo di Zanier. Da poesie, in particolare, che fungono da ‘accompagnamento’, a introdurre il tema della puntata o a fare riferimento a un contenuto che emerge dall’episodio. Le schede della polizia zurighese sono state per me spunto ma anche importante fonte in chiave di ricostruzione dei fatti. Zanier stesso, delle sue ‘fiches’, dice: "Quando avrò l’Alzheimer questi documenti mi diranno cosa ho fatto". Sono schede a volte quasi ridicole, nei confronti delle quali non tutti hanno reagito male, alcuni le hanno anche derise per quel misto paradossale di acribia e raffazzonaggine. Una scheda, in particolare, mi è servita come struttura di un’intera puntata: è una fiche pubblicata anche da Paolo Barcella nella quale si legge di quello che pare un inseguimento da cinema americano, un’azione messa in atto per cercare di prevenire chissà quale azione sovversiva per scoprire poi che si trattava solo di una tombolata. La miccia che ha portato al radiodramma è stata proprio questa scheda, e il mio progetto iniziale era quello di costruire l’intera drammaturgia sulle schede stesse, ma sarebbe stato impossibile. Ho dovuto fare riferimento a testimonianze, a interviste dirette, quelle con Marco Mona, o con Bruno Cannellotto, sindacalista anch’egli spiato, amico di Zanier. E poi c’è un po’ di fantasia: i poliziotti sono due italofoni, figure magari un pochino inverosimili, ma ispirate a racconti dei diretti testimoni.

È un attimo, rileggendo questa fetta di storia, immaginarsi ‘Le vite degli altri’…

Anche la mia mente è andata al modello Ddr. Negli anni 60 in Svizzera c’era lo spauracchio dell’espulsione, e Rodoni sarebbe dovuto essere espulso almeno dieci volte, ma lo salvò l’essere ticinese. Sì, il modello è presente, e Zanier si chiede proprio quanto questa attività abbia portato a una sorta di Berufsverbot (legge federale tedesca che esclude dall’impiego pubblico soggetti dalle idee politiche radicali o estremiste, ndr). Nel radiodramma cito il ruolo del datore di lavoro dello Zanier, che sembra coprirlo in quanto il suo dipendente è gran lavoratore, è qualificato. Probabilmente al datore di lavoro non interessava l’attività politica, ma la sua resa lavorativa. E Zanier chiama di suo rispetto e ammirazione. Ho scoperto, studiandolo, che è l’inventore del concetto di albergo diffuso, per esempio. Ecco, sugli altri suoi ruoli sociali, alla fine, si potrebbe scrivere un opera radiofonica a sé.

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