Microcosmi

Transiti, sette e otto

Da Melide, il fluire del naturale intorno a noi che passa per Giubiasco da Tazio Marti e arriva a Casa Astra da Donato Di Blasi

Tazio Marti: a sinistra, ‘Alfabeto N°3’ (2019); a destra, ‘Alfabeto N°16’ (2022)
(Massimo Pacciorini-Job)
12 giugno 2022
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Sul lido di Melide, scelgo la panchina più in ombra, circondata da un pino che offre riparo; il caldo, improvviso, quello che non lascia dubbi sull’arrivo dell’estate rende meno chiaro il litorale opposto, ma basta poco, nuvole, vento, a ridare ampiezza alla vista. La natura è preda di un sentire che si manifesta nell’atto dello sguardo; scesa la scaletta in pietra osservo dal basso il lago, le dita toccano l’acqua, il flusso consacra il dialogo con l’uomo. Le correnti avvolgono la pelle, è il fluire del naturale intorno a noi, è il risveglio di cui ci ha parlato Walter Benjamin, "processo graduale che si fa strada nella vita del singolo e delle generazioni". Il pulsare del mondo è nel volto che passa qui, vicino; una signora con il cane, la barca davanti al litorale, un giovane che rema in direzione di Morcote, arrivando ora dopo ora alla notte silenziosa quando tutto resta vigile, destinato a non scomparire. Il corpo, atlante, mappa che abbiamo avuto in dono, è luogo dove la condizione originaria viene a essere segno universale, luogo della più forte distanza e della partecipazione intima all’altro, inclinazione che scopre nuove sembianze, territori, limiti. Una vela taglia l’aria, la schiuma schizza ai bordi dello scafo. Risaliamo al tempo della nostra infanzia, un percorso che ci porta lontano; lo vediamo come nuovo, parte della nostra identità. Nel venire qui, il Mulino di Maroggia evocava i tempi della costruzione, del lavoro e di ciò che rinasce dopo una sciagura. Si riparte dalle proprie ceneri, quanto è disgregato non è solo dolore e desolazione, piuttosto l’orma di chi inizia a ripopolare il posto, a lavorare per un progetto che vede storia e presente ricomporsi, così gli uomini da sempre dicono, pensano, fanno, uscendo dai loro drammi. La grande figura del Platano che sulla riva opposta lascia spazio alla strada per Brusino, non ci porta a dimenticare seduti sulla panchina in ferro l’inquietudine della ricerca. Le rovine danno forma ai nostri contrasti, quello che è umano accoglie i desideri, una possibile rinascita proprio quando tutto sembra perdersi.

Sette

Il treno entra nel passante che lasciata la stazione di Lugano porta a Giubiasco, minuti di oscurità dove il senso del tempo si attenua, un sentimento che si fa via via palpabile nell’attesa del chiarore, ritornando a se stesso; cosa germina sotto i binari non si conosce, luoghi sotterranei, vibrazioni. La luce si attenua e prende con sé l’ombra sottraendo materia, forza agli oggetti. Dopo il tunnel e la stazione, cammino in vista di un’altra galleria, quella di Massimo Pacciorini-Job, fotografo, dove gli artisti in molti anni di esposizione hanno trovato ascolto e accoglienza. Nel locale d’ingresso e in quello che segue, insieme a un piccolo spazio esterno, l’artista Tazio Marti propone fino al 2 luglio la mostra ‘Alfabeti’, segni di fatto geometrici, essenziali fino a contenere l’eccesso di parole, segni che oscillano tra alto e basso, al pari di atomi composti da una struttura persistente, inscindibile, per poi aggregarsi, generando nuove espressioni. Alfabeti ancestrali da cui discende senso e significato, ma prima ancora terrestri, carnali, dentro acrilici che li ospitano nell’eco residuo di una roccia, di un masso inciso, come è stato all’origine. Tazio Marti è tornato al monolite di Kubrick, alla sua violenza e bellezza, al mistero. La solitudine dell’uomo sulla terra, la forza di una mano in una galassia di segni, qui e ora.

Otto

Quando penso a ‘Casa Astra’ si fa avanti l’immagine di un cantiere attivo, propositivo, ai limiti di una periferia che è ormai centro, approdo di esperienze e culture. È abitare e costruire nel segno di ogni architettura visibile. Incontro Donato Di Blasi, suo coordinatore, per riflettere sul percorso fatto e sulle prospettive. "Stiamo curando un paio di progetti molto interessanti, come sempre difficili da seguire, ma lo si fa. Soprattutto nell’idea di rafforzare l’impresa sociale". In che modo? "Ci hanno invitato a partecipare come parte svizzera a un progetto ‘Interreg Alpine’ con un focus sulle imprese sociali che lavorano con persone fragili e che fanno lavori di vario tipo nel verde. Abbiamo firmato un contratto di collaborazione con la ‘Fondazione Galli’ che si occupa della protezione della Valle della Motta. Stanno terminando la ristrutturazione del ‘Mulino del Daniello’, pronto forse a settembre, con davanti un appezzamento di terreno per la produzione di mais biologico. Poi, c’è una collina dove fino a una decina di anni fa si è tentato di produrre uva per vino; adesso pensiamo, con la consulenza di Marta Cavallini, agronoma, di riprendere l’idea della vite maritata utilizzando alberi che possono anche produrre, penso ai gelsi neri, insieme a viti resistenti per uva da tavola e succo d’uva". È ampliare il vostro terreno di lavoro. "Sempre nella protezione dell’ambiente e della biodiversità, prodotti sani consumati qui e da vendere, valendoci dell’apporto tecnico di Carlo Pavan, responsabile del progetto ‘Terra Viva’". Come vedi oggi, l’asse tra queste attività e l’obiettivo iniziale: l’accoglienza. "Resta il nostro punto fermo. Accogliere porta con sé una domanda importante. Molte persone che ospitiamo non sono solvibili, abbiamo qualche fondo che interviene in merito, ma va dato corpo a delle attività che permettano un po’ alla volta del surplus economico per la gestione della struttura. Penso sia importante ramificarsi nel territorio collaborando con altre realtà, cercando di uscire, noi, dalla ‘Casa’. Riusciamo a sostenere i progetti senza fare passi eccessivi; dopo dieci anni non è poco passare da un appartamentino a Ligornetto, a una realtà così". Tutto questo, credo, comporta un lavoro di motivazione verso i collaboratori. "Quello che dico spesso è che le persone che sono qui vivevano nella società, non su un altro pianeta. Alcuni problemi riguardano loro, altri sono indotti dalla società stessa. Quando sei un po’ fragile certi impatti li vivi in misura maggiore e non faremmo il nostro lavoro fino in fondo se non cercassimo di riflettere anche esternamente alla struttura. Il tentativo va fatto, i progetti mettono in rete persone, enti, realtà che arrivano e ci conoscono. La vita riserva a tutti degli ostacoli che non ci fanno crescere, non conosco una vita del tutto ‘liscia’". Abitare è dare luogo al pensiero e al fare; è il principio di riconoscimento a cui diamo forma cercando di custodire le cose nei gesti minimi a cui siamo chiamati. Coltivandoli nel tempo.


Casiroli 2022
Casa Astra

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