Cinema

‘Dawn Chorus’ di Pizzicannella, all’alba sulle Isole

Girato sulle Isole di Brissago con in testa Thom Yorke e Antonioni, il primo lungometraggio di Alessio Pizzicannella in anteprima venerdì al PalaCinema

Da sinistra, Ben (Miles Mitchell), Françoise (Annabelle Belmondo), Meg (Colicia Summers) e Memphis (Billy Brayshaw)
27 aprile 2022
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‘Saccopelisti’ nel secolo scorso, ‘backpackers’ oggi. Nel tratto conclusivo del loro anno sabbatico, quattro di essi decidono di chiudere il viaggio, o prolungarne la fine, sopra una strana isola tropicale che sta nel mezzo di un lago svizzero e tra le fronde delle sue palme nasconde la neve delle montagne circostanti. "L’anno sabbatico in giro per il mondo rappresenta, per molti ragazzi, l’opportunità di procrastinare l’inizio di qualcosa che dovranno portare avanti per il resto delle loro vite e affrontare ogni giorno un’avventura completamente diversa, mettendosi alla prova. Ignari che la rivelazione più profonda non la troveranno partendo ma tornando a casa". Così scrive il regista. «Dovessi definirlo io – dice Alessio Pizzicannella – è un film sulle second chance che la vita offre. Ma al contrario delle modalità in cui esse vengono di norma raccontate al cinema, qui sono offerte in maniera un po’ sporca, mai pulita».

Temperature

Il regista e Alessio Pizzicannella sono la stessa persona. ‘Dawn Chorus’ (una produzione Venus e Beyond Multimedia, in co-produzione con Rsi) è il suo primo lungometraggio. Girato sulle Isole di Brissago, viene proiettato in anteprima venerdì alle 20.30 al PalaCinema di Locarno, in sua presenza. ‘Dawn Chorus’ non è un film di formazione benché l’età e le dinamiche si prestino; non è ‘Gli anni più belli’ benché lo siano, non è il generazionale ‘Rito di passaggio’, il Pizzicannella scrittore per Baldini&Castoldi. E non è nemmeno "l’assassino è uno di noi" quando dalle acque del Verbano affiora il dorso di un cadavere. «‘Dawn Chorus’ l’ho fatto ascoltando Thom Yorke e guardando Michelangelo Antonioni, due autori che presentano i loro sentimenti calibrando bene le temperature. So di aver mirato molto in alto, a un cinema che non s’accontenta di raccontare una storia ma ambisce a una poesia e a evocare emozioni con le immagini. D’altronde, il linguaggio cinematografico passa per le immagini prima che per il testo, con il quale comunque mi diverto, provando a creare dialoghi sofisticati e divertenti».

Also sprach Pizzicannella, che cita Antonioni per dire ‘L’avventura’, 1960, riferimento dichiarato di ‘Dawn Chorus’, con citazione conclusiva. «Diffido molto delle idee cerebrali – dice – sono invece attratto dal cuore delle idee. Per intenderci: pur apprezzandolo, non riesco a stare dietro a Christopher Nolan, che parte e muore con il cervello. Nel caso di Thom Yorke e di Antonioni, invece, si percepisce il fatto che si tratta d’idee che partono da un sentimento, ma sono trattate in modo più cerebrale. Trovo lo sviluppo più onesto che non il voler far leva sul sentimento. Il sentimento è iniziale, non c’è bisogno di caricarlo. Con Antonioni, e tutti quelli come lui, mi sento a casa».

Quanto a Yorke invece, ‘Dawn Chorus’ viene da una canzone del leader dei Radiohead: «Nell’estate di pre-produzione del film uscì ‘Anima’, il suo quarto album solista. In quella canzone c’è un piano elettrico, ci sono atmosfere un po’ à la Badalamenti che ho sottoposto a Guido Zen, autore della colonna sonora originale. E quel ripetersi di "If you could do it all again" del testo, visto il soggetto del film, mi ha accompagnato per tutta la produzione». Sarà che Pizzicannella, nella sua veste di fotografo del rock, Thom Yorke l’ha fotografato da ogni angolo possibile, «quando abbiamo inserito il brano là dov’era destinato ci siamo accorti che s’incastrava perfettamente».

Punk

In ‘Dawn Chorus’, l’aristocratica Françoise (Annabelle Belmondo) è una Catherine Spaak che diventa Romi Schneider ne ‘La piscina’ (là era il film del ’69, oggetto di tributo, qui è Villa Emden); dalla misteriosa Meg (la brava Colicia Summers) dipendono le scelte di tutti; il wikipedico Memphis (Billy Brayshaw) è un giovane perso tra citazioni e tanto autolesionismo; Ben (Miles Mitchell) è il collante dei quattro. «Sono alla loro prima esperienza importante. Non disponendo di un casting director, il casting l’ho fatto io», dice il regista. Per quel che concerne le Isole, «cercare finanziamenti è un processo lunghissimo, tedioso, iperburocratico. Mi sono chiesto se fosse esistita una maniera più ‘punk’ di fare cinema; ho pensato quindi di finanziarlo chiedendo aiuto a imprenditori e professionisti locali, previa scrittura di una sceneggiatura realizzabile a basso costo. Ho guardato come fanno all’estero: in America, quattro ragazzi e una baita nel bosco ed è horror; in Francia, una tavolata e una cena ed è commedia. Mi è venuto in mente che da ottobre ad aprile le Isole sono chiuse, ho chiesto il permesso e l’ho ottenuto».


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Alessio Pizzicannella

Nel film, la grande bellezza delle Isole fa il suo; il resto lo fanno il gusto estetico di Pizzicannella, i movimenti di camera e la fotografia (guarda caso), grazie ai quali l’impostazione low budget passa pressoché inosservata. Molto fa l’approccio del Pizzicannella regista, lo stesso del Pizzicannella scrittore: «Fare un libro, peggio ancora fare un film, è un’opportunità che strappi con le unghie. Quando ti dicono che ogni film è un miracolo, io non sono d’accordo: senza il coltello tra i denti, il miracolo non l’ottieni». O meglio: «Una volta che ho l’occasione di fare un film, lo faccio come credo. E se mi riconosco un poco di arroganza, è solo nell’atteggiamento: ho iniziato con la fotografia e ho pubblicato subito sul New Musical Express, ho scritto un libro e l’ha pubblicato Baldini&Castoldi. Provo a fare subito il passo più lungo della gamba, perché non so se posso farne un altro. Se funziona bene, se fallisce amen, non stiamo salvando vite». E dunque «‘Dawn Chorus’ è un film laico, che non giudica i personaggi, che vuole intrattenere senza compiacere a tutti i costi, che non ricorre a facili autoassoluzioni dai sensi di colpa un po’ borghesi, ma che prova a intrattenere pur proponendo un punto di vista autoriale. Posso dire che è un film sincero, trovo che mi rappresenti molto nelle contraddizioni e, laddove ve ne fossero, anche nei passi falsi».

Altro ancora, in ‘Dawn Chorus’, lo fa la generale sospensione spazio-temporale: «Non serve preoccuparsi della storia più di tanto – chiude l’autore – serve piuttosto il voler passare del tempo insieme a quattro ragazzi a vedere cosa si prova su di un’isola. La sospensione è quella di un vecchio cinema che io trovo modernissimo».

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