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Marcel Proust e la sua Parigi

In mostra fino al 10 aprile ‘Un roman parisien’, a Parigi al Musée Carnavalet

Jacques-Emile Blanche, Portrait de Marcel Proust, 1892 Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay) / Hervé Lewandowski
5 marzo 2022
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Parigi, la Parigi oggi armata e blindata, da Covid e guerra putiniana, oggi divisa tra una borghesia arroccata tra i suoi arrondissement e le vivaci banlieue. La Parigi dove gli storici ristoranti hanno tradito la tradizione, rimasta trionfante nelle brasserie lontane dai centri turistici, in nome di gusti internazionali che mal sopporterebbero la cassoulet o anche semplicemente un oeuf à la russe. Ebbene questa Parigi non poteva non celebrare uno dei suoi figli più amati, quel Marcel Proust che ne cantò gli ultimi fasti, già con una malinconia sottolineata, infine, con il primo conflitto mondiale, ma ancor prima con la nascita del Cinématographe.

‘Marcel Proust, un roman parisien’ è il titolo della mostra che raccoglie a Parigi, al Musée Carnavalet fino al 10 aprile di questo già fatale 2022, i segni del profondo rapporto tra l’autore de ‘À la recherche du temps perdu’, immenso romanzo che scrisse, dopo vari tentativi, a partire dal 1909 fino all’anno della morte, e la città con cui compenetrò insieme al suo dire il suo vivere. Non esistono altri autori come Proust capaci di partire dal profumo e dal sapore di una madeleine per raccontare insieme a città incredibile la sua inconfondibile essenza. Eravamo passati, prima di affrontare la mostra, al cimitero di Père-Lachaise dove tra tante tombe illustri – ci sono anche Chopin e Rossini e Moliere e Jim Morrison e Edith Piaf – si trova anche la sua, semplice lapide nera, sporca, con quattro fiori secchi. Mette tristezza, mentre quella di Simone Signoret e Yves Montand racconta d’amore tra fiori curati. Inutile dire della bellezza del museo Carnavalet e delle raccolte della vita parigina che qui sono con ordine mostrate, persino le fantasiose insegne di antichi locali di commercio.

Un sentiero luminoso da percorrere

Ecco che passati antichi manufatti che raccontano i secoli di Parigi, entrare nella mostra che ci porta a come Marcel Proust la visse e narrò, e un sentiero luminoso da percorrere. Qui, nella capitale francese, lui era nato il 10 luglio 1871, nel ricco ed esclusivo quartiere di Neuilly-Auteuil-Passy, per morirvi invece, in pieno centro, il 18 novembre 1922, ed ecco che la mostra, essendo stata aperta in dicembre 2021, raccoglie insieme i centocinquant’anni dalla nascita e i cento anni della morte. Cinquant’anni di vita, dalle prime foto di bambino insieme al fratello Robert alla fotografia del suo cadavere, in mezzo una vita e Parigi, e i suoi oggetti cari: il bastone, l’ombrello, il cilindro, il mantello e la sua ultima stanza, quella in cui si era recluso per scrivere quel libro ossessione/testamento che è ‘La recherche’. E sorprende ancora il théâtrophone con cui dalla camera ascoltava malamente il suo amato Wagner e nel febbraio del 1911 il ‘Pelléas et Mélisande’ di Claude Debussy. Il théâtrophone era stato presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1889, in contemporanea al fonografo di Edison e alla Torre Eiffel. Lo usò anche Victor Hugo che scrisse: "È molto curioso. Ti metti due cuffie che corrispondono al muro e ascolti lo spettacolo dell’Opera, cambi le cuffie e senti il Théâtre-Français, Coquelin ecc. Cambiamo di nuovo e sentiamo l’Opéra-Comique. I bambini sono rimasti incantati e anche io." (di Victor Hugo in Choses vues, in Œuvres complètes, édition du Club Français du livre, tome XVI, 1970, p. 911). Per la solitudine di Proust era un sollievo soprattutto ascoltare Tristan und Isolde et Parsifal.

Caduca umanità

Nella mostra si vedono i quadri che raccontano quell’epoca tra il XIX e il XX secolo che cantava il trionfo del mondo borghese e il tramonto di quella nobiltà che aprendo i suoi salotti regalava i piaceri del ballo, della musica e di quella sessualità senza limiti che Proust ben racconta nel quarto libro de ‘La recherche‘, ‘Sodome et Gomorrhe’. Il suo vivere tra amanti femminili e maschili, che ben viene raccontato da Raul Ruiz nel suo film capolavoro ‘Le Temps retrouvé’ (1999), trova tracce ben sottolineate nella mostra del Carnavalet, qui con gran rispetto e con malinconico amore, determinato dai tanti quadri che raccontano quegli anni vissuti, i pittori dei salotti Louis Beraud, Joseph de Nittis, Pierre-Georges Jeanniot, René-Xavier Prinet e altri e altre, ma proprio un quadro di Jean Béraud: ‘La Sortie du salon, au Palais de l’Industrie’ del 1890 è un punto emozionante di fine partita, quei nobili e ricchi borghesi che escono da un rendez-vous mondano, rimanda l’immagine a ‘La Sortie de l’usine’ dei Lumière, quelle operaie, era il 1895, regalate all’eternità dal cinema, quando tutto stava cambiando, anche il mondo di Proust. E la mostra regala anche il senso di quel tempo, caduca umanità in cerca di sé stessa, perennemente.

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