laR+ L'intervista

Stefano Bollani: ‘La musica è una, fine ultimo è la bellezza’

Solo, in trio e con la United Soloists Orchestra diretta da Arseniy Shkaptsov: il 16 ottobre il Cinema Teatro Chiasso celebra con lui i 20 anni dalla riapertura

‘Ritrovo la ritualità del concerto, che trovo ancora sia una delle cose più belle del fare musica’ (foto © Valentina Cenni)
7 ottobre 2021
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La musica del nostro isolamento ha avuto i suoi balconi, i suoi telefoni ma anche la sua televisione. Quando non ce la facevamo più, il 15 marzo di quest’anno, all’orario dei pacchi e delle soap opera, alla tv italiana sono apparsi un pianoforte, Stefano Bollani e consorte, l’attrice Valentina Cenni, e il pubblico della tv generalista rimbambito da mesi da una filodiffusione di virologi ha visto la luce in fondo al tunnel “quando nemmeno aveva visto il tunnel” (cit. Mauro Corona). Lontano dalla collocazione per nottambuli di ‘Sostiene Bollani’ e ‘L’importante è avere un piano’, il ‘Via dei Matti n.0’ di Bollani e Cenni, titolo giocosamente tratto da ‘La casa’ di Vinícius de Moraes (testo di Bardotti, voce di Endrigo), ci ha tirati fuori dal guado, per riconsegnarci poi, un mese e mezzo dopo, al logorio della televisione moderna. Non escludendo il ritorno.

Il passo da Califano a George Gershwin (bieca provocazione per i puristi) è breve: ‘From Gershwin to Bollani’ celebra i 20 anni dalla riapertura del Cinema Teatro di Chiasso. Stefano Bollani, con Gabriele Evangelista (contrabbasso), Bernardo Guerra (batteria) e la United Soloists Orchestra diretta da Arseniy Shkaptsov, inaugurano la stagione teatrale 21-22 il prossimo 16 ottobre, con un concerto (sold out) che di Gershwin propone la Cuban Ouverture e la celebre Rapsodia in blu, e di Bollani, andando per cromatismi, il ‘Concerto Verde’, la cui più recente collocazione è l’album ‘El Chakracanta - Live in Buenos Aires’, uscito nel marzo di quest’anno con dentro anche il ‘Concerto Azzurro’. A Chiasso, spazio anche al trio con Evangelista e Guerra e alla forma piano solo.

Già Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, una ricca discografia e più libri, tra cui ‘Parliamo di musica’, una specie di Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del musicista, Stefano Bollani con signora è fresco di Premio Flaiano per ‘Via dei Matti n.0’, miglior programma culturale; da solo, ha vinto il Nastro d’Argento quale autore della colonna sonora di ‘Carosello Carosone’, una delle ricostruzioni più fedeli e rispettose che la tv italiana, prodiga di commemorazioni d’illustri defunti della musica, abbia dedicato a un grande della world music, ‘sonorizzato’ da un grande del nostro tempo.

Commendator Bollani, ma un titolo onorifico da Chiasso è mai arrivato?

No, non è mai arrivato e sarebbe anche inaspettato. Ma ringrazio per l’idea.

Il titolo del concerto è ‘Da Gershwin a Bollani’: è un attestato di autostima?

(Ride, ndr) In realtà è il tentativo di dire la verità. Noi suoniamo in effetti un brano di Gershwin e arriviamo a Bollani, due compositori entrambi ispiratisi a due colori simili, il blu e l’azzurro. In realtà è un semplice dato di fatto. Dopodiché fa molto piacere, come si può immaginare, stare in un programma da concerto insieme a George Gershwin.

La Rapsodia in blu, non a caso, è uno dei tuoi primi ascolti musicali…

Sì, me ne sono innamorato da bambino. Avrò avuto 8-9 anni quando sentii per la prima volta la Rapsodia in blu e mi sembrò contenere tutto quanto si potesse desiderare dalla musica. Lo penso tuttora, prendendomi oggi, ogni tanto, alcuni spazi di libertà che definirei variazioni sul tema, più che improvvisazione, perché si sa che il buon Gershwin, alla ‘prima’, seduto al pianoforte, non aveva avuto il tempo di completare la propria parte, per cui in molti casi, soprattutto nelle parti solistiche, si prendeva egli stesso delle libertà. Conoscendo l’aneddoto, faccio la stessa cosa.

Applicata, la Rapsodia in blu, alle scene d’apertura di ‘Manhattan’, quale fu la sensazione?

Ugualmente forte, anche se da bambino possedevo un disco che conteneva la Rapsodia in blu ma anche Un americano a Parigi. La Deutsche Grammophone decise di mettere in copertina la Torre Eiffel, per cui al primo ascolto della Rapsodia mi ritrovai di fronte questa foto in grigio-azzurro del monumento francese e mai avrei associato quella musica a Manhattan, anche perché avevo 9 anni e, ovviamente, ‘Manhattan’ non esisteva ancora. Ma nel film di Woody Allen l’utilizzo funziona. E funziona alla grande.

Un accenno al concerto di Chiasso?

È un incontro giunto al suo secondo appuntamento, perché con la United Soloist Orchestra e con Arseniy Shkaptsov ci siamo già incontrati a Cremona. È un incontro di forze, c’è anche il trio con Guerra ed Evangelista. Sono sempre contento quando si mettono insieme musicisti d’estrazione diversa, quelli classici con i jazzisti, le diverse nazionalità, per vedere quale cortocircuito si genera. Perché poi la musica è una, solamente che ognuno ragiona in maniera diversa per arrivare a un risultato cui ambiamo tutti indistintamente, che è quello della bellezza.

A proposito del primo appuntamento, com’è stata l’uscita dall’isolamento?

È stata proprio con questo concerto. Ho trascorso l’estate a suonare dal vivo e sono felice di aver recuperato la ritualità, che trovo sia ancora una delle cose più belle del fare musica, lo stare sopra un palco a suonare per le persone che la musica l’ascoltano in quel momento esatto e tutte insieme partecipano con noi a quel tentativo di creare bellezza di cui dicevo. Tutto questo mi è mancato, anche se mi ritengo fortunato perché facendo il programma tv con Valentina ho potuto incontrare un sacco di amici e tornare a suonare con i miei simili.

Anche noi siamo stati fortunati. ‘Via dei Matti n.0’ ci ha fatto del bene, in questa collocazione dopo cena, addirittura: in Rai sono degli incoscienti, era un rischio calcolato o parlare di musica paga ancora?

Qui ci vorrebbe un analista della tv quale io non sono. Posso dirti però che Valentina e io siamo stati contenti di aver potuto parlare a quell’ora, un’ora anche di famiglie e bambini, di cose che ci piacciono molto, raccontando il bello della musica per arrivare a raccontare il bello della vita, perché il legame è strettissimo. Lo abbiamo fatto con gioia e ci siamo accorti che questa gioia è arrivata.

‘Via dei Matti n.0’ mi ha ricordato ‘Non è mai troppo tardi’, programma Rai che negli anni ’60 contribuì all’alfabetizzazione di quella parte del Paese rimasto indietro. La musica non avrebbe bisogno di programmi così?

La domanda presuppone un sì, e io te lo regalo volentieri. La cosa bella del mezzo televisivo è la possibilità di arrivare a mostrare quanto bene può farti una certa attività, e questo può valere per la musica, per la grammatica italiana come faceva il maestro Manzi, o per la fisica o la chimica. Una volta che tu mostri tutto questo, una volta che lo metti in scena più che insegnarlo, che è un verbo sul quale dovremmo dibattere a lungo, allora credo che questa sia la grande chance che il mezzo offre. Nel momento in cui dimostri che la cosa di cui parli ti fa bene, chi ti ascolta può decidere o meno di entrare in questo mondo, ma intanto percepisce l’informazione più importante: ciò di cui stanno parlando può migliorare la mia vita, può renderla più ricca, più interessante. Credo che questo sia in fondo il succo di ogni buon insegnante, mostrare soprattutto, più che interrogare.

Cito due momenti dal programma: il primo sono le lacrime di Stefano Bollani su ‘È festa’ di Fabio Concato, cantata con lui. Erano lacrime di bellezza?

Sì, assolutamente. Ho un debole per le canzoni e la voce di Fabio, e anche per la persona e lui lo sa. Gli ho chiesto io di fare quella canzone. ‘È festa’ mi commuove sempre, sia quando la sento cantata che quando cerco di cantarla. E poi mi sono commosso, forse riuscendo a mascherare, quando Vinicio (Capossela, ndr) ha cantato ‘L’assente’ di Gilbert Bécaud che lui ha tradotto (‘L’absent’, ndr), dedicata a un tema che nelle canzoni si sente di rado, l’amico che non c’è più e del quale resta al massimo il suo posto vuoto al bar. Quella canzone era una tale coltellata che mi ha fatto pensare non a un amico in particolare ma a tutti gli amici che mi mancano. Il terzo momento è stato quando si è esibita mia figlia Frida, ma lì ho tenuto botta, come si dice in Romagna…

… ci stavo arrivando, era il secondo momento…

Ero sicuro che ci arrivassi, è stato un momento molto importante, per me ma anche per lei che dopo la puntata ha preso il via, ha fatto un tour e quest’estate ha suonato quasi più di me.

Il futuro di ‘Via dei Matti n.0’?

Valentina e io ci siamo, perché il divertimento è stato molto grande, lo staff favoloso della Ballandi, ma anche la benedizione totale del direttore Franco Di Mare che ci ha chiesto di occupare quello spazio. Non ci siamo, poi bisogna parlare di modi e tempi.

Invitare Celentano è ancora un obiettivo?

Celentano è sempre un obiettivo, lui lo sa e probabilmente si sente il mirino addosso.

E magari anche Mina…

Sarebbe bello. Mi chiedi un’impresa piuttosto difficile, però ci possiamo provare…

Il Nastro d’Argento per ‘Carosello Carosone’ dev’essere stato una gran soddisfazione…

La soddisfazione è stata enorme ancor prima del premio, e cioè nel momento in cui mi hanno telefonato per propormi non solo di lavorare alle sue musiche, che ho amato sin da bambino e quindi di riproporle, ma addirittura di scrivere la colonna sonora. Mi è sembrata una specie di chiusura del cerchio, anche perché come sai da bambino gli scrissi una lettera e lui mi diede consigli che ho seguito alla lettera e sono stati molto importanti per me. Carosone è stato un esempio, e non avendo mai avuto l’opportunità d’incontrarlo e ringraziarlo, questo film ne ha rappresentato l’occasione. In questo cortocircuito che tanto piacerebbe a uno psichiatra, il regista Lucio Pellegrini mi ha anche chiesto d’interpretare il maestro di Carosone nel giorno del suo diploma, e quindi quando m’inquadrano le mani, sono le mani mie; poi inquadrano me che giudico quelle mani. Se ci pensi, è materiale per almeno un anno di psicanalista…

Nel tuo libro ‘Parliamo di musica’, Carosone è messo in dialogo con Robert Fripp.

Credo fosse a proposito della precisione degli arrangiamenti, del voler risentire nota per nota quanto pensato. È bello rintracciare somiglianze tra persone di epoche diverse e musiche apparentemente diverse. Insospettabilmente, alcuni musicisti ragionano in modo molto simile per giungere a risultati completamente differenti, altri invece ragionano in maniera molto differente e magari giungono a traguardi simili. È il bello della musica, ognuno segue una strada sua e in questo, ancora una volta, la musica assomiglia alla vita: puoi avere un percorso tuo, accidentato, da autodidatta, e ritrovarti a raggiungere un risultato che alla fine non è dissimile da quello di chi ha studiato al conservatorio.

Nel 2015 a Chiasso ci dicesti di non avere ancora affrontato Billy Joel: a che punto sei?

In verità, ogni tanto mi scappa un suo pezzo. Anni fa, in tv, Valerio Mastrandrea mi chiese di suonare la batteria e io gli proposi ‘My Life’. Ci sto lavorando, Billy Joel rimane uno dei miei punti di riferimento.

Il 2015 era l’anno di ‘Sheik Yer Zappa’. Mi rifaccio per l’ultima volta a ‘Parliamo di musica’ in cui scrivi che il ruolo di Frank Zappa fu quello di “svelare il ridicolo in mezzo alla tragedia”: qual è il ruolo di Stefano Bollani?

Questa è una domanda sulla quale rifletto sempre tanto e cambio la risposta. In questo momento direi che grazie al programma tv il ruolo, che non è un obbligo, è quello di mostrare quanto di bello ci sia nella musica, e grazie a Valentina che amplia il discorso, quanto di bello ci sia nella vita. Ecco, questo ruolo mi piace, e me lo prendo volentieri.

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