Jazz

Betty Vittori, Sua Maestà ‘Maria Elisabetta’

Singer-songwriter, artista vera: di musica e di vita con una tra le più belle voci italiane di sempre, in un disco 'tutti in studio, come ai bei tempi' (flashback...)

Betty Vittori (foto: Diana Bovoloni)
23 aprile 2021
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Su Wikipedia non c’è la definizione esatta di ‘artista di culto’. Senza scomodare il Sacro, restando a quel bellissimo campo che è il Profano, artista di culto è colei che a un certo punto della carriera può anche sparire dai riflettori ma quando torna (‘Border Life’, 2010) tutti si ricordano chi è. Una artista di culto – cambiamo in un più generico ‘artista vera’ – è coerente, non ti delude mai e quando la intervisti sei tu a uscirne migliore di prima. Betty Vittori, una delle più belle voci italiane, è tornata con un nuovo disco dal titolo assai regale: ‘Maria Elisabetta’. «Si chiama come me. È stato un po’ faticoso accettare questo nome un po’ altisonante, ma alla fine ho pensato che dal punto di vista musicale questo disco sia ciò che meglio mi rappresenta oggi». E anche perché è stata sua madre a chiamarla Maria Elisabetta. «E quindi lo accettiamo».

Uscito dalle orecchie analogiche di Stefano Castagna, che lo ha prodotto e ha ‘imposto’ il titolo, in ‘Maria Elisabetta’ Betty Vittori è accompagnata da Felice Cosmo (pianoforte, tastiere), Federica Zanotti (batteria), Simone Massaron (chitarre) e Fiorenzo Delegà (basso). Apre la splendida ‘If I Could Tell You’, seguono il Vittori-style di ‘Saturday Morning’, un singolone chiamato ‘Rise’ e 2 minuti e 19 secondi intitolati ‘Rain’ che finiscono troppo presto. E molto altro. «Abbiamo lavorato in analogico, cercando di tornare alle radici del suono, perché il digitale un po’ raffredda gli umori. Stefano ha fatto incetta di strumenti, strumentini, riverberi, cose un po’ vintage, e mi ha messo davanti al naso due bellissimi microfoni. C’è anche improvvisazione, estemporaneità che abbiamo voluto tenere, perché è sempre bello incidere un po’ live». ‘Maria Elisabetta’ è un lavoro «pre-pandemico, registrato alla vecchia, tutti insieme ogni giorno in studio, e chi veniva da fuori ha dormito in zona. È stato come tornare ai bei tempi della musica». Tempi che tornano in ‘Angel’, ultima traccia del disco ‘Flying Foxes’ (1985), che sul nuovo album, alla traccia 4, (ri)vede Franco Cristaldi al basso e all’acustica…

Volpini

(Flashback 1) Cantautrice, autrice, vocalist, vocal coach, Betty Vittori è stata anche la voce solista della band (di culto) Volpini Volanti, o Flying Foxes, con – il nucleo – Franco Cristaldi (basso) e Beppe e Piero Cazzago (chitarra e batteria, detti ‘I Gemelli’, in quanto gemelli). Nati come band di supporto di Alberto Fortis (con l’aggiunta di Rossana ‘Roxi’ Casale), lanciati da Carlo Massarini nel format Rai ‘Mister Fantasy’, i Volpini divennero a metà anni 80 una piccola Wrecking Crew, quella manciata di session men che da Los Angeles suonò gran parte delle hit internazionali degli anni 60 e 70. A differenza dei Gemelli, per i quali, a distanza di un anno l’uno dall’altro, la vita ha deciso diversamente (Bagnolo Mella, nel Bresciano, dedica loro un parco), Betty, in qualche modo, continua a fare parte dei Volpini: «Abbiamo iniziato nei postacci, fino all’incontro con Alberto Fortis e Claudio Fabi (padre di Niccolò, ndr), al tempo suo produttore e più tardi anche nostro. Ci sentiamo poco, ma quando ci sentiamo è sempre speciale, sono cose che non si possono dimenticare, che restano per tutta la vita, che ti segnano per sempre. Tante date insieme, tanto tempo insieme, come quello trascorso a registrare a Londra».

Londra significa Abbey Road Studios, l’album ‘Fragole infinite’, la dedica di Alberto Fortis a John Lennon due anni dopo Mark David Chapman: «Fu un’esperienza catartica, forse perché sono stata una fan dei Beatles sin da piccolina e quindi entrare nel tempio fu qualcosa di onirico». Davanti a un microfono Neumann di cui non ricorda il modello esatto, ma dentro ci cantò Lennon, «io e Rossana iniziammo a fare i cori in piena notte. Ho una fotografia bellissima in cui siamo entrambe con un dito nell’orecchio e guardiamo in alto, perché la sala regia è rialzata rispetto a quella di ripresa, e alle nostre spalle c’è l’orologio che segna la mezzanotte in punto. Spesso uscivo da quello studio e andavo in quello vicino, nel quale c’era uno Steinway color ciliegio, che per me era come una calamita».

‘Maria Elisabetta’ contiene un omaggio a Tony Levin (‘Fragile As A Song’), uno a Paul Weller (‘The Cranes Are Back’) e uno alla categoria delle vocalist, alla quale Betty è appartenuta quando i Volpini erano backing band per altri nomi. La premessa: «In Italia si dice ‘corista’, che sembra sempre una specie di declassamento, e invece per fare il ‘corista’ devi essere preparato, attento. È un lavoro faticoso e io ho avuto maestri bravissimi: Rossana Casale, Giulia Fasolino, Lalla Francia, Lola Farahday, Silvio Pozzoli, Naimi Hackett. In quel periodo ero l’ultima arrivata e mi hanno presa tutti sottobraccio, sono sempre stati sempre molto gentili con me». Il tributo alla categoria, si diceva. S’intitola ‘Wild Child’ ed è un brano di Valerie Carter, colei che ispirò ‘Valerie’ a Steve Winwood, ma anche la vocalist per James Taylor e altri immortali: «Ho scoperto che non c’è più andando a cercare il pezzo. Quel disco fu la colonna sonora di un’estate trascorsa in Grecia. Ascoltavo lei e Chaka Khan, ‘I’m Every Woman’ usciva dai portoncini di tutti i bar dell’isola». L’estate, a proposito...

‘Magia’ (maschile, locale)

(Flashback 2). Dopo averlo schiaffeggiato più volte, una giovane Isabella Ferrari bacia un giovane Massimo Ciavarro (s'intravvedono lingue) sulle note di ‘Shadow Dancing’ (Bigazzi-Piccolo), lentone alla Moroder che non sarebbe stonato in ‘Flashdance’. È la scena clou di ‘Chewingum’, teenage movie italiano del 1984. Rete 4, in una notte insonne, ce ne ha da poco regalata una performance. Di quel passaggio tv – «Ero una bambina, con quelle spalline anni Ottanta terribili!» – Betty non ricorda granché. Dell’incisione di ‘Shadow Dancing’ invece sì: «Noi Volpini stavamo provando al Teatro Carcano. Accompagnavamo Giorgio Gaber, Ornella Vanoni, Gino Paoli e tanti altri. Claudio Fabi mi fece scappare dalle prove per registrare al Logic Studio, dove tutti mi stavano aspettando; il problema fu che due sere prima io e i Volpini avevamo suonato ‘pesantemente’ in un locale di Milano che si chiamava ‘Magia’, e non ero proprio a posto con la voce. Ma, fortunatamente, tutto andò bene». Il Magia era un locale dal quale al tempo transitavano tutti. Anche gli Elii: «Ci scambiavamo le serate, noi andavamo a sentire loro e viceversa. Quando ci servì un tastierista per la tournée in Germania pensammo a Sergio Conforti (Rocco Tanica, ndr), ma la scelta poi ricadde su Vittorio Cosma, che adesso con gli Elii ci suona». Tutto torna. «Una sera, al Magia, io e i Volpini ci portammo pure Jaco Pastorius: ci chiamarono da un locale vicino a casa nostra, ci dissero: “Ragazzi! Venite! C’è Pastorius!”; uscimmo di casa e da lì lo portammo al Magia. Beppe, Piero e Franco suonarono con lui, io rimasi sulla mia seggiolina, ipnotizzata…».

Gavetta svizzera

Siamo in viaggio, viaggiamo. «In quegli anni c'era forse più rispetto nei confronti della musica e delle persone che la facevano. Forse c’era meno preparazione, oggi i musicisti nascono già tali, vanno a scuola, fanno cose strepitose; al tempo ti dovevi sudare ogni nota per mancanza di mezzi, di scuole, a parte i conservatori, un po’ ortodossi. Noi invece eravamo dei pazzi che si buttavano nella musica a pesce e ci provavano perché era una cosa che veniva da dentro, irrefrenabile. Lo studio è arrivato dopo». Tanti anni fa Sante Palumbo, tastierista dei Perigeo, band del prog italiano, le disse di non studiare, di «seguire il flusso, di ascoltare il mio strumento, di dargli corda. E per un bel pezzo l’ho fatto. Poi lo studio è arrivato, perché hai bisogno di approfondire. Ma quel consiglio è stato molto utile, perché impari a conoscere aspetti di te che, viceversa, faresti fatica a percepire. Ma c’è comunque tanta gente brava in giro oggi. Manca forse lo zoccolo della gavetta, l’aver patito la fame, tirato la cinghia».

Gavetta che per Betty è passata anche dalla Svizzera: «Ai tempi delle orchestre ho suonato a Friburgo, Berna, Zurigo e Locarno. E poi ci sono tornata coi Volpini, di supporto a Eric Burdon». Per i Flying Foxes la Svizzera fu il trampolino di lancio per la Germania: «In Svizzera ci scoprì Mister Bioleck (Alfred Franz Maria Biolek, vivente, storico conduttore televisivo tedesco, ndr), che ci invitò nel suo programma ‘Mensch Meyer’ e la nostra etichetta, attorno al passaggio tv, ci costruì una piccola tournée». Colonia, Francoforte, Monaco di Baviera, Magonza, e Hannover, ospiti del programma tv ‘Ohne Filter’, dove è passata la storia della musica e dove «la settimana prima aveva cantato Whitney Houston e la sera in cui toccò a noi, Yoko Ono». Ma i Flying Foxes, partiti per un altro locale subito dopo le registrazioni, non ebbero la fortuna di sentirla cantare (è un eufemismo, ndr). Dovremmo chiederle anche di ‘Tears & Joy’, l’album del 1991 che, se mai un giorno verrà pubblicato, porterà come sottotitolo ‘The Lost Tapes’: “Una copia del disco, concluso e pronto per la stampa, è in un cassetto di un appartamento a Madrid; un'altra copia è in un cassetto di una casa di Sirmione”, recita la sua biografia (ndr: chiedere a Betty Vittori di farsi fare una copia). 

Facciamo i nomi?

Abbiamo lasciato i nomi per ultimi. Oltre a Fortis, Betty Vittori vocalist è nei dischi di Vecchioni, Raf, Mannoia, Mina, Zucchero (“Du du du”), Ramazzotti, Vanoni, Ruggeri, Gaber, Paoli, Locasciulli, Morandi, Brian Auger, Rossana Casale («Una delle mie amiche più care»), Niccolò Fabi, Mauro Pagani, Pfm. Siamo noi a fare i nomi, perché nell’epoca dell’ostentazione i nomi sono l’ultima delle cose che Betty ti farà. A meno che non glieli chiedi: «Che dire, non è nella mia indole. Si suona, si vive insieme, si fanno belle cose, chi vuole ascoltare ascolta, senza imposizioni. Nella mia vita c’è posto per tante cose, so che nel momento in cui mi accorgerò che la voce non tiene più non avrò bisogno dello psicologo. Perché non ho concentrato tutta la mia vita sulla musica, anche se la musica è la mia vita». La musica che ci riporta al lago e a ‘Maria Elisabetta’...

“Mi chiamo Betty Vittori e sono nata e cresciuta così, tra le reti dei pescatori, le vanghe nell’orto e quell’idea di bellezza assoluta che costringe a guardare con occhi più profondi”, dice il breve video di presentazione. Detto di persona: «Sirmione è il luogo in cui sono nata, al tempo in cui sono nata. La ricordo come fosse ieri anche grazie a mia madre, donna forte e romantica che mi portava in bicicletta ai giardini del centro storico dove in primavera esplodevano le ginestre e dove mio zio appoggiava il cavalletto e dipingeva uliveti. Noi siamo le nostre radici. Le mie sono particolarmente aeree, ma le porto con me. Dopo tanti anni ho imparato a vivere da sola e ho capito che è una condizione che in questo momento amo. Ma non c’è mestizia nella mia solitudine. La mia casa, la mia terrazza, sono piene di fiori». (www.bettyvittori.it)

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