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Condemi, lavoro registico tra linguaggio, spazio e sguardo

Per Lingua Madre, le ‘capsule per il futuro’ del Lac, la terza parte sarà online sabato 10 aprile dalle 9. A colloquio con il regista.

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Incastonate in una regia pulita e precisa, pur nella confusione che va a creare, le parole volutamente incongrue di ‘Analisi Logica’ di Riccardo Favaro sono arrivate alla seconda puntata, sabato la terza. Appuntamento quindi come sempre sul sito del LAC sotto il progetto Lingua Madre. Immagini nitide, una narrazione che procede a capriole e balzi dalla scena a un prato fiorito, da un lucido a una lavagna in ardesia, tre attori, tre parti, ‘tre due uno’ per raccontare il Soggetto.

L’accurato lavoro registico di Fabio Condemi, diplomatosi in regia all’Accademia Silvio d’Amico nel 2015 e tra i rappresentanti di una nuova generazione teatrale italiana, si esprime qui in un’attenzione peculiare rivolta agli spazi in scena e per una originale riflessione sullo sguardo.

‘Analisi logica’, messo on-line solo in parte data la complessità dei temi e la brevità del tempo a disposizione (sarà però disponibile il testo a lavoro ultimato), si pone come obiettivo la messa in crisi degli assiomi sintattici. Una frase è composta da soggetto, predicato e complemento oggetto: lo abbiamo sempre dato per scontato. Ma cosa accade se questiono il dato di fatto attraverso la logica, appunto? Il lavoro di Favaro e Condemi sembra volerci portare in un caos rappresentato, come dicono le note d’autore: ‘una lunga catena di frammenti che tengono insieme prosa, dialogo drammatico e sequenze di parole sciolte, destrutturate, assolute’.

Attraverso l’esasperazione, non sappiamo più esattamente cosa stiamo guardando, dove stiamo andando, perdiamo i punti di riferimento e il senso oscilla continuamente.

Da qui la necessità di una regia con un’idea estremamente chiara, coerente e nitida, che Condemi è riuscito a mettere in atto in mezzo a paradossi linguistici e pindariche referenze letterarie e cinematografiche, passando da una preziosa scelta musicale.

Fabio Condemi, cosa significa approcciarsi a un testo come Analisi Logica?

Dopo aver letto il testo di Riccardo due mesi fa, ne sono rimasto entusiasta. Ne abbiamo discusso sin da subito insieme e ci siamo ritrovati al LAC anche con gli attori Alfonso De Vreese, Leda Kreider e Beatrice Vecchione, per il lavoro di prova e le riprese. Mi piace perché non c’entra con il teatro. Non c’è la frustrazione di un testo teatrale che non si può rappresentare, è più puro. Quasi un saggio, con una storia, che però a un certo punto si trasforma in un’analisi della storia stessa, in un elenco di parole. ‘Analisi Logica’ è un puzzle, in cui si sommano diversi aspetti, già presenti in questa prima parte. Sorprendono queste capriole del pensiero sul tema del soggetto. Mi ha colpito perché è come se Favaro cercasse dall’interno di scardinare l’idea che ne abbiamo a partire dalla grammatica che ci insegnano a scuola.

‘Analisi Logica’ è il primo lavoro che affronto professionalmente come video. Sono molto appassionato da registi come Jonas Mekas, che fanno video-diari. È uno sguardo che mi interessa.

Non è nuovo all’idea di destrutturalizzazione. In occasione dell’ultima Biennale del Teatro di Venezia infatti ha portato una sua personale rivisitazione della Filosofia nel Boudoir di De Sade che andava a indagare proprio lo sguardo e la sua scomposizione.

Sì, nel lavoro che avevo fatto su De Sade c’erano delle riflessioni sullo sguardo, a partire anche da John Berger e Georges Didi-Huberman, riguardanti la destrutturalizzazione. Guardare qualche cosa non è così scontato, tra noi e quello che guardiamo c’è tutta una rete di regole. Il testo di Favaro è simile, anche per lo slittamento di senso.

Georges Perec, sul quale ho lavorato molto in questo ultimo anno partendo dal suo volume Specie di spazi, scrive a questo proposito una cosa molto bella, che ritrovo in ciò che faccio: c’è un décalage, che sente il giocatore, tra i pezzi di puzzle sparsi e l’immagine finale quando sarà completa. Quando accade nel teatro è molto interessante: io cerco questa cosa, creare squilibri, buchi, che lo spettatore poi riempie. 

Concretamente, come ha affrontato la messa in scena di ‘Analisi logica’?

Disegno molto per preparare uno spettacolo, e spesso lo faccio pensando a un’inquadratura. Nel teatro questa è il rettangolo del palcoscenico, una visione d’insieme con pieni e vuoti. Anche qui ho iniziato a buttare giù delle ipotesi con l’idea di ragionare su sovrapposizioni, frammenti, scritte, con una libertà anche non narrativa. Ho prodotto insomma tantissimi disegni e persino un modellino della stanza, che filmavo.

Le immagni sono importanti nel processo di creazione?

Quando ero in Accademia a Roma sentivo uno scarto tra quello che mi immaginavo e poi la realizzazione. Non riuscivo a colmarlo perché, banalmente, non riuscivo a disegnare. Poi pian piano ho iniziato farlo. C’è uno scritto che mi piace molto di Paul Valery, Degas danza disegno, dove si dice che l’atto del disegnare è l’atto di guardare le cose. Il passaggio tra quello che uno guarda, e la tecnica, la matita sul foglio, ce le fa conoscere.

Parliamo del mezzo, cosa vuol dire creare per il web?

Puoi sempre tornare indietro, ci sono diverse parti che poi si ricollegano insieme. Internet funziona così, è dispersivo ma nello stesso tempo è una forza. Ma trovo che le immagini che abbiamo girato sono fatte anche per essere viste su uno schermo più grande.

Ti è capitato in questo ultimo anno di fare altre esperienze particolari, in risposta al periodo che stiamo vivendo?

Sì, ho partecipato a Radio India, un progetto del Teatro di Roma, dove ho curato Specie di spazi. Lì la decisione era stata sin da subito quella di sottrarsi dalla rappresentazione, e ognuno aveva scelto le proprie strategie. Una scelta drastica, forte, che apriva altre porte. Ma si trattava di un’esperienza diversa.

Quello che accade di straordinario secondo me in Lingua Madre è avere sin da subito uno sguardo rivolto al video, al web, lavorare insieme ad altri artisti, in questo caso del settore video (Adriano Schrade, REC). Siamo tante professionalità diverse, i cui percorsi si intrecciamo e si finsce a parlare la stessa lingua, con i macro temi che tornano come il corpo, il linguaggio e il rito.

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