Cinema Teatro Chiasso

Stanze dell'arte, Elisa Netzer: ‘Tutta colpa di Walt Disney’

‘Scoprii l'arpa a 5 anni in Fantasia: gli altri strumenti erano logici, io volevo fare la magia’. L'arpista ticinese live in streaming il 2 marzo alle 20.30

Elisa Netzer, martedì 2 marzo alle 20.30 su www.centroculturalechiasso.ch (foto: MolinaVisuals)
28 febbraio 2021
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Tanto ci sa fare alla televisione che verrebbe da cederle il microfono e far sì che sia lei a farsi le domande. Ma prendere appunti e basta sarebbe un gesto poco elegante. Meglio tornare nei ruoli, con Elisa Netzer nella parte dell’intervistata a introdurre la sua personale quarta Stanza dell’arte, l’ultima della rassegna voluta dal Centro Culturale Chiasso, occupata da uno dei più limipidi talenti dell’arpa nazionale e internazionale. Prima arpista solista al Lucerne Festival, Elisa Netzer ha rappresentato la Svizzera al World Harp Congress di Hong Kong, ha tenuto recital in Europa, Russia, Brasile, Cina; solista con l’Orchestra della Svizzera Italiana (Osi), l’Orchestra città di Vigevano, l’Orchestra da Camera di Parma e l’Orchestra sinfonica Arturo Toscanini, una Bachelor con lode al conservatorio di Parma, un Master con distinction alla Royal Academy of Music di Londra. Vincitrice di concorsi nazionali e internazionali (tra cui il britannico Guy McGrath Harp Prize e il Concorso italiano dell’arpa, unica concorrente nella storia del concorso a essere premiata in tutte e tre le categorie), il suo primo lavoro discografico, ‘Toccata’ (Naxos International, 2018), ha raccolto consensi di critica e pubblico. Dal 2016 collabora con l’Osi, con la Tonhalle Orchester Zürich ed è conduttrice di ‘Paganini’, programma di divulgazione culturale e musica classica della Rsi.

Sopra un palco che resta storico anche senza pubblico davanti, ma con platea illimitata di tablet, smartphone e device digitali in genere, l'arpista ticinese porta il suo recital al Cinema Teatro di Chiasso, martedì 2 marzo alle 20.30, rilanciato in streaming su www.centroculturalechiasso.ch, aperto come d’abitudine dall’analisi musicologica di Francesco Bossaglia.

Elisa Netzer musicista, ma anche donna di televisione. Com’è nata la cosa?

Per caso. Me l’hanno detto gli altri che sarei stata donna di televisione. Lo sono diventata con un po’ di tempo. Parlare, come chi mi è vicino sa bene, mi piace. La musica mi piace. Unire le due cose, a un certo punto, mi è sembrata una cosa naturale.

A proposito di televisione: il tuo recital cade nella sera dell’esordio di Sanremo…

Esatto, sono in grande competizione! (ride, ndr). Il rifiuto di guardare Sanremo è un po’ un leitmotiv di molte persone, quindi mi attendo che tutti coloro che ogni anno tengono a esternare il fatto che Sanremo non lo guardano si sintonizzino sul mio concerto.

Quanto a Sanremo, è anche tuo quel letimotiv, o il Festival lo guardi?

In qualche modo, tranne che il 2 marzo, Sanremo va guardato. È pur sempre un momento culturale. Come dire: è un male necessario.

Immagino che tu non abbia scoperto la musica guardando Sanremo, ma in altro modo…

Sì. In casa mia si è sempre ascoltata molta musica, di ogni genere, perché i miei genitori, organizzando concerti soprattutto di world music avevano sempre in casa centinaia di dischi di generi e paesi diversi. Non saprei dire precisamente quando e come ho scoperto la musica, è stata una cosa naturale. Mentre l’arpa è stata puramente colpa di Walt Disney, che piazzandola in ‘Fantasia’, a 5 anni mi ha dannato l’anima, facendomi scoprire ciò che avrei voluto fare per il resto della mia vita...

Guardando il cartone animato ti sei detta “Quello è lo strumento che voglio suonare”?

Guardando il cartone animato un milione di volte, ci tengo a precisare, per ponderare bene la scelta. Ho guardato tutti gli strumenti, ho deciso che gli altri erano belli, ma erano troppo logici: il violino suona perché c’è l’archetto e perché ci son le corde, ed è fatta; nel flauto ci si soffia dentro, la percussione è così, il pianoforte cosà, l’unico strumento non possibile da spiegare, che aveva una dimensione che sfuggiva alla realtà, era l’arpa e io volevo imparare a fare la magia più speciale. Pestando i piedi per terra, annunciai la cosa urbi et orbi nell’ufficio di mia madre, ricordo ancora quel giorno...

Come l’hanno presa i tuoi genitori?

Sono stati i primi a offrirmi l’alternativa del flauto, ma quando l’Elisa si mette in testa qualcosa è piuttosto difficile ricondurla alla ragione. Capendo che si trattava della semplice invidia del compagno d’asilo, del voler suonare lo stesso strumento, hanno dato seguito. Sperando, credo, che la cosa sarebbe rientrata di lì a poco. E invece li ho delusi…

L’arpa non è esattamente lo strumento ideale da portarsi, per esempio, in riva alla spiaggia. Mai rimpianto una scelta più ‘light’?

Io dico sempre che potrei aprire una ditta di traslochi, sono abituata a guidare per chilometri e chilometri, porto cose pesanti e delicate e quindi se avete bisogno… (ride, ndr). Quello è il lato poco piacevole, ma devo dire che mi piace un po’ fare la figura dell’unna che trasporta l’armadio con il carrello. Essendo io particolarmente piccolina, poi, il metro e ottanta di arpa fa ancora più impressione e in fondo, segretamente, questa cosa mi piace.

Hai suonato in giro per il mondo. Raccontacene un pezzo...

È una delle parti più belle di questo mestiere, con le dovute, antipaticissime, precisazioni che fanno i business men, che dicono “Sì, va bene, viaggio tanto, ma non vedo mai niente”. Nel mio caso: bellissimo viaggio a Rio de Janeiro, quattro giorni con esame finale al mio ritorno, con la febbre a 39, perché allora si poteva ancora volare a queste condizioni; arrivata a Rio, ho dato fuoco all’asciugacapelli in un albergo sbagliando la presa elettrica, mi sono intossicata col fumo dell’incendio, ho suonato con la febbre e sono andata in cima al Corcovado con la nebbia. Non è sempre tutto glamour, insomma. La cosa più bella, in realtà, è avere amici in tutto il mondo. Posso essere abbastanza sicura che ovunque io vada, in una buona porzione di globo terracqueo ho qualcuno da incontrare.

È stato un anno di streaming, e speriamo non vada oltre. Com’è, se ne hai esperienza, suonare in questa modalità?

Potrò dirlo dopo il 2 marzo. Interamente in streaming, da sola, non ho esperienza. Dico la verità: problemi di nervosismo da palcoscenico non me ne sono mai posti. In questo caso sì, è una situazione un po’ nuova, non so come sarà. Sulla carta non mi piace, senza pubblico, pur essendo contentissima che ci sia questa alternativa, visto che al momento non si può fare altrimenti. Questa è la mia sensazione. Per il pubblico, invece, potrebbe essere diverso: è vero che dal vivo si ascolta il suono naturale, però anche portare la musica classica fuori del suo contesto un po’ ingessato, da quel doversi vestire in modo accurato, lo stare in silenzio, tutto ciò può avere il suo risvolto positivo. Di certo, mi auguro che il pubblico starà meglio di me. E prometto di non suonare in pigiama...

Possiamo entrare con te nel programma della serata?

Ho scelto un programma che ai più dirà ben poco, in quanto si tratta di compositori sconosciuti a chi non suona il mio strumento. L’arpa è, di suo, uno strumento abbastanza raro. Anche se le sue origini sono antichissime, l’arpa come strumento classico è invece molto moderna. Una volta inventata, con tutte le sue corde, i suoi pedali e le sue complicanze, ci è voluto del tempo prima che diventasse uno strumento comune, e in quel periodo si sono alternati artisti e compositori che hanno scritto la maggior parte dei brani. Molti di questi saranno presenti in questo programma, con l’eccezione di Händel, che ha scritto un concerto molto bello per un tipo di arpa barocca, che aprirà il programma. Sarà un recital vario, perché mi sembrava inutile fare qualcosa di troppo concettuale in un contesto del genere. Chiuderò con una chicca, un brano particolarmente struggente, una storia d’amore che verrà presentata prima del concerto, una storia d’amore finita male e che spinse la compositrice Henriette Renié a metterla in musica. Brano struggente per chi l’ascolta e anche per chi lo suona, trattandosi di un’insalata di note, non sempre facile da dominare.

Concludendo. Ti abbiamo incontrato a inizio pandemia, poi al tempo dei famosi 5 posti in sala, e ci sentiamo adesso, alla vigilia di quella che, almeno all’orizzonte, pare una riapertura. Come la vedi?

Penso che tutti i musicisti si rifiutino di fare qualsiasi tipo di pronostico, perché i pronostici disattesi sono stati la parte peggiore di questa pandemia. Noi musicisti siamo una razza piuttosto malleabile, abituata a reagire alle situazioni incerte. Però, qualsiasi cosa che ci siamo fatti venire in mente per poter continuare a lavorare in questo periodo veniva sconfessata dalle conseguenze portate dall'evoluzione della pandemia, anche inevitabili. Cerchiamo di mettere tutta la nostra energia nell’augurare al mondo l’uscita da essa, perché sarà l’unica soluzione. Nel frattempo, siamo ansiosi di tornare nelle sale da concerto a fare musica. La cosa bella, resa evidente a tutti, a chi suona e a chi ascolta, è che non esiste una tecnologia che possa mai sostituire la vera esperienza di un concerto. Spero vivamente che tutti si siano resi conto di quanto questo sia fondamentale per rendere la vita qualcosa da vivere, e non un elenco di cose che bisogna fare.

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