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Paolo Di Stefano: 'Noi, capriccioso mélange di tante vite'

La Sicilia, la Svizzera, il Canton Ticino dell'emigrazione, Milano: frammenti di storia del Novecento in un romanzo che scava nel senso delle proprie origini.

Paolo Di Stefano (Ti-Press)
20 febbraio 2021
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Noi (Bompiani, p.598, €22), di Paolo Di Stefano, è un ampio romanzo in cui l’autore, narrando in prima persona, scava nel senso delle proprie origini, addentrandosi in una memoria complessa e vasta, che va ben più indietro rispetto alla propria nascita, e che coinvolge figure familiari in una straordinaria serie di situazioni, legate alle storie personali dentro eventi della Storia del Novecento. I luoghi sono la Sicilia, la cittadina di Avola, dove lo stesso scrittore è nato nel 1956, e la Svizzera, il Canton Ticino dell’emigrazione, e poi Milano. I tempi ci portano al Ventennio fascista e allo sbarco alleato, per muovere poi più avanti le vicende, dove i personaggi vengono a popolare un aperto e molteplice affresco in cui il lettore può farsi agevolmente trasportare. Il tutto nel pregio di una scrittura raffinata e sempre sensibilmente attenta al dato concreto, in grado di trattenere il lettore negli innumerevoli rivoli del suo fluire. Ma abbiamo chiesto all’autore di meglio introdurci nelle varie motivazioni che ne hanno guidato l’opera.

L’importanza delle origini, la loro dimensione, peraltro, aperta e cangiante, varia e mutante, domina questo ampio romanzo. Ma oltre i ricordi e le indagini sul passato, sui personaggi familiari, quanto l’autore che raccoglie tutte queste sparse eredità, sente in sé, dentro di sé, di poter riconoscere?

Molto, forse tutto. Il romanzo non è solo il frutto di una ricerca nella vita degli altri, sia pure vicini o familiari, ma è il risultato di una progressiva e lenta immersione dell’autore dentro sé stesso: e il riconoscimento che la vita degli altri appartiene alla sua. Anzi è materia della sua stessa vita, addirittura è la sua vita. La rivelazione più straordinaria, dopo questo lungo lavoro, è la somiglianza inattesa rispetto a mio padre. Nel corso di tutta la narrazione affiora sempre una presa di distanza e il riconoscimento di una inevitabile vicinanza. Ci sono zii, nonni, nonne, madri, padri, fratelli, cugini, cugine, figli, amici, amiche: una folla di personaggi che finiscono per comporre il patchwork di una sola vita e di una personalità. Ho sempre pensato che siamo il capriccioso mélange di tante vite, nascite e morti, il loro prolungamento.

Vari sono i luoghi, dalla Sicilia alla Svizzera, in cui si svolgono le diverse vicende familiari. Sei d’accordo sul fatto che gli incroci di realtà e culture diverse creino intrecci di energie capaci di produrre identità più ricche e felicemente complesse?

Certo. A volte questo si verifica con disagio e/o con dolore, a volte i contatti producono solo conflitti, ma capita che dai conflitti nascano esperienze, consapevolezze e alla fine energie nuove. Per quanto mi riguarda, ho vissuto in modo perplesso sia la mia sicilianità sia la mia ticinesità (sono arrivato in Svizzera quando avevo 7 anni). Si viveva sdoppiati, certo: il siciliano entro le mura domestiche, lo svizzero fuori casa… La soluzione poteva non avvenire, invece è avvenuta ed è stata una imprevista ricchezza che mi permette di sentirmi noi.

Luoghi e tempi storici diversi e questi ultimi molto rilevanti, vista la presenza del tempo del fascismo e della guerra. Quanto pesa, secondo te, la Storia con la esse maiuscola sulle vicende dei soggetti?

Incontrando molti vecchi per sentirli parlare di come hanno vissuto certi momenti della grande Storia, mi sono stupito dell’inconsapevolezza. Per esempio, ascoltando certi racconti, lo sbarco in Sicilia sembra che sia stato vissuto senza la coscienza di essere dentro la Storia: sentivano che stava accadendo qualcosa di strano, con tutti quei carrarmati e quei soldati neri che arrivavano in paese, ma niente di più. È come se la S maiuscola fosse solo destinata ai libri di storia, ma anche la tragedia viene vissuta dalla gente come un presente da subire o da affrontare come una quotidianità. Il senso dell’epica viene sempre dopo, nel racconto a posteriori, con la distanza.

Oggi si parla molto di auto/fiction. Secondo me il tuo romanzo non appartiene a questo genere, a mio parere abusato, ma va oltre, è un aperto insieme, ricco di circostanze, in cui non importa se il soggetto narrante racconti una realtà davvero reale, come credo sia, o crei una efficacemente realistica verità narrativa e poetica.

In effetti, scrivendo mi sono chiesto tante volte che cosa stessi facendo, per capire meglio le ragioni della strana forma che stava prendendo il libro. La risposta non l’ho trovata, ma ho capito che ogni onesta biografia o autobiografia, anche molto documentata, se vuole avvicinarsi alla verità è sempre in varia misura un’invenzione. Non si può prescindere dall’immaginazione. D’altra parte, se è vero che anche i racconti fantastici sono emanazione di un autore, forse non facciamo che scrivere autofiction.

A proposito di poesia, ci sono intermezzi in versi tra i vari episodi. Una sorta d'interno fil rouge (sono testi anche stampati in rosso) che percorre la narrazione. Abbiamo dunque cronaca, invenzione narrativa e poesia. Ti muovi nell’idea di un superamento dei generi?

Non credo che si tratti di poesia, sono macchie rosse come il sangue malato di mio fratello, una voce postuma che gocciola e alla fine dilaga nella pagina, cioè nella narrazione e nella vita mia e nostra. Mi piaceva questa compresenza di voci, più che un superamento dei generi cercavo un superamento della voce singolare.

Nei molti episodi raccontati si evidenzia una viva concretezza anche nel dettaglio còlto dalla quotidianità. Forse il senso profondo dell’esistere e delle cose è più autenticamente rivelato e accessibile nella stessa apparente minuzia del reale, che nell’emergere esplicito dei cosiddetti grandi temi (che in Noi hanno comunque una presenza di forte sostanza). Sei d’accordo?

Sì, sono d’accordo, Noi è anche il risultato di un’ossessione (filologica) per i dettagli che si trovano nei documenti, nelle fotografie, nelle lettere, nelle voci che ricordano e raccontano.

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