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Canio Loguercio e l'arte di prepararsi al meglio

‘Ci stiamo preparando al meglio’, album del già vincitore di Targa Tenco tra lingua italiana e napoletana, tra resistenza e integrazione, tra ricordo e speranza.

Canio Loguercio (foto: Andrea Boccalini)
10 febbraio 2021
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“Io ho imparato ormai come ci si prende cura del dolore e come si fa a custodire lacrime e paure. Siamo a buon punto, ci stiamo preparando al meglio, pronti all’assalto di un cielo grigio che si schiarirà”. Al pessimista cosmico, il titolo di questa canzone e del relativo album potrà suonare come uno sfottò. L’ottimista, al contrario, non potrà che trovarvi l’auspicio. ‘Ci stiamo preparando al meglio’ (Squilibri Editore) è il nuovo l’album di Canio Loguercio, cantautore, musicista, poeta e performer napo-lucano, come lo chiama qualcuno, o «lucano-partenopeo», come preferisce lui, che dalla Basilicata si è spostato a Napoli e poi a Roma. Sei album all’attivo, una Targa Tenco nel 2017 (insieme ad Alessandro D’Alessandro) per ‘Canti, ballate e ipocondrie d’ammore’, miglior album in dialetto, ‘Ci stiamo preparando al meglio’ è una sorta di album autobiografico, anche laddove le canzoni sono di altri. È il caso di ‘Incontro’ di Francesco Guccini, bolognese che convive con i classici napoletani ‘Core ‘ngrato’ e ‘Lacreme napulitane’ (riadattata in ‘Mia cara madre’), e le sue – di Loguercio – ‘Luntano ammore’ e ‘Core ‘e plastica’, più altri inediti e altre rivisitazioni (‘Quando vedrete il mio caro amore’, orchestrata nel 1963 da Ennio Morricone). Cose in lingua italiana e cose «in lingua napoletana, patrimonio dell’Unesco, non un dialetto, lingua di una ricchezza di vocabolario forse unica al mondo».

'C’aimma fa'?'

‘Ci stiamo preparando al meglio’ non nasce durante la pandemia, ma come spesso accade, vi s’incastra come l’ultimo tassello del puzzle, il cacio sui maccheroni o altra proverbiale affinità. Il video è la marca da bollo dell’ufficialità. «‘Ci stiamo preparando al meglio’ – ci racconta Loguercio – è un titolo, una dichiarazione, un punto interrogativo, la speranza che ognuno di noi possa avere qualcosa di meglio domani, oggi stesso, tra un minuto. Mi sono immaginato un dialogo tra due vecchietti in un ospedale che si guardano e sorridono, proiettandosi in una dimensione spazio-temporale diversa da quella in cui stanno vivendo, magari portatrice di cose belle». Citando Carosone: una specie di “C’aimma fa'”? (un rassegnato e partenopeo “E che dobbiamo farci?”): «Sì, ma anche qualcosa di popolare come “il meglio deve ancora venire”, e uno va avanti con una speranza, con l’idea di un progetto, che il futuro ci possa riservare qualcosa di migliore». Visto con gli occhi del musicista, l’uscita da questa «accettazione quasi moralmente impegnativa – le restrizioni sanitarie – perché è giusto che ognuno di noi faccia il proprio dovere. Ma è dura vedere le persone che non ce la fanno, che sopravvivono a stento. Non parliamo del mondo della cultura, un falcidiare di persone che sopravvivono con questo che è un lavoro e non un divertimento come alcuni pensano, e quando gli spazi per suonare sono chiusi la gente non campa».

‘Mia cara madre’

Sara Jane Ceccarelli, Monica Demuru, Giovanna Famulari, Brunella Selo (e la figlia Carolina Franco), Flo, Barbara Eramo, Laura Cuomo. Sono le donne che accompagnano Loguercio lungo tutto l’album, «contraltare luminoso, radioso alla mia voce pesante», dice il solista. C’è anche la tunisina ‘Mbarka Ben Taleb, e con lei un gruppo di migranti che da qualche anno lavorano a Napoli e che trasformano ‘Lacreme napulitane’ – riadattata in ‘Mia cara madre’ – in un canto sulla lontananza che non è solo (tradotto dalla lingua napoletana) “quanto ci costa quest’America a noi napoletani, che rimpiangiamo il cielo di Napoli”, ma il rimpianto di ogni terra d’origine: «Questo struggente e meraviglioso canto di distanza, di nostalgia, amore, sofferenza – scritto da Libero Bovio nel ’25, strappato finalmente alla sceneggiata, genere con il quale viene spesso assai limitativamente identificato, ndr – mi ha sempre colpito e ho voluto condividere la prima parte, la lettera alla madre, con chi per conto proprio ha vissuto e ancora vive questa condizione». E così Loguercio ha chiesto a ognuno di loro di scrivere una lettera alla propria madre in cui descrivessero la condizione in cui si sono trovati. Le lettere, pur senza timbro postale, vengono da Senegal, Ecuador, Sri Lanka, Costa D’Avorio e altri mondi più o meno lontani.

Detto del Guccini rivisitato – ‘Incontro’ è una di quelle canzoni che è entrata qui dentro da sé, da sempre, non so nemmeno perché. È registrata come la vivo dentro, è di rifarla, il timore, ma l'omaggio a questa grandissima canzone era più forte», e l'ardire non è ardito – Loguercio va a pescare dal canzoniere italiano qualcosa di dimenticato ma di estremamente bello. «Ho una certa età, nella mia testa c’è confusione, si sovrappongono epoche, la vecchiaia porta a questo». Canio ride e descrive il recupero di ‘Quando vedrete il mio caro amore’: «È una canzone del 1963 scritta da Loredana Ognibene, che in quell’anno scrisse un concept album (‘Diario di una sedicenne’) in cui raccontava gli amori di un’adolescente del ’63. La cantò Donatella Moretti, voce bellissima, intrigante, con arrangiamento di Morricone che in quegli anni arrangiava praticamente tutta la musica italiana, rendendola riconoscibile con la riscrittura orchestrale delle canzoni».

Oggetti d'affezione

Anche ‘Quando vedrete il mio caro amore’ sta tra gli “oggetti d'affezione”, come chiama Loguercio le canzoni, e anche i dischi: «Pubblicare un album fisico è un atto d’amore. Parlando con il mio editore, Mimmo Ferrario, gli dicevo “Tu sei pazzo, in questo momento in cui nessuno ha nemmeno più un lettore cd tu fai i dischi?”, e lui mi rispondeva che è bello avere oggetti come i dischi. Ritrovarsi un oggetto tra le mani, sfogliare i testi, sembra un rito quasi antico, anche se credo sia il modo giusto per avvicinarsi alle canzoni, che sono prodotti molto strani, ulteriori oggetti d’affezione che trovano in ognuno di noi uno spazio per essere collocati». In attesa di essere ‘oggetti’ suonabili nuovamente nelle sedi di competenza: «Eravamo tutti in attesa della sentenza Sanremo, chiamiamola così», conclude Loguercio. «Se a Sanremo avessero acconsentito all’entrata di un po’ di pubblico, allora gli altri teatri si sarebbero potuti uniformare. Spero però che si riprenda a suonare prima». Nel frattempo, non ci resta che prepararci per il meglio.

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