Musica

Wagner, revolver e muri del suono: è morto Phil Spector

In carcere per omicidio, inventò il 'Wall of Sound'. Dalle Crystals alle Ronettes, dai Beatles agli ex Beatles, da Cohen ai Ramones, influenzò Springsteen.

Phil Spector, 1939-2020 (Keystone)
17 gennaio 2021
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“Da Duane Eddy presi il sound della chitarra. Da Roy Orbison arrivava invece la sonora vocalità lirica di un giovane dilettante con un’estensione limitata che si sforzava d’imitare il suo idolo, e da Phil Spector l’ambizione di produrre un frastuono capace di scuotere il mondo. Volevo fare un disco che sembrasse l’ultimo della Terra, l’ultimo disco che vorresti ascoltare… l’ultimo che avrai mai bisogno d’ascoltare. Un rumore sontuoso… e poi l’apocalisse”. È la genesi di ‘Born To Run’ così come raccontata da Bruce Springsteen, che nel 1975, per l’album della consacrazione volle qualcosa di simile al ‘Wall of sound’, il muro del suono creato da Phil Spector, produttore e autore che rivoluzionò il suono del rock e che è morto sabato all’età di 80 anni per complicanze legate al Covid-19. Le autorità del penitenziario di Corcoran, in California, dove Spector trascorreva le sue ore dal 2009, dopo una condanna per omicidio di secondo grado, hanno confermato le indiscrezioni del portale Tmz.

'Piccole sinfonie per ragazzini'

Per via delle vicende giudiziarie, per la generale condotta di vita, ancor più il suo rapporto con il mondo femminile, il post-mortem del creatore del muro del suono non è esattamente un trionfo di commossi “Rip”, in queste ora. Restando alla musica. La carriera di Harvey Phillip Spector, classe 1939, inizia ai tempi della scuola nei Teddy Bears, portatori del singolo ‘To Know Him Is To Love Him’, titolo preso pari pari dall’epitaffio del padre del giovane Phil, morto suicida. Presto entità a sé dai Teddy Bears, nonostante il singolo voli al n.1 della Billboard Hot 100, Spector fonda la sua Philles Records, diventando il più giovane editore musicale dell’epoca. Lungo tutti gli anni Sessanta, Spector fu autore, co-autore e produttore di gruppi femminili di successo come The Crystals e The Ronettes, da cui le pietre miliari ‘Be My Baby’ e ‘Baby I Love You’, quest'ultima affidata più tardi anche ai Ramones (il come è spiegato poco sotto).

Affiancato dall’arrangiatore Jack Nietzche e all’ingegnere del suono Larry Levine, supportato dalla Wrecking Crew – una manciata di strumentisti, una 'macchina da guerra' che sta dietro le maggiori hit statunitensi degli anni '60 e '70 – Phil Spector definiva la propria relazione con il suono un “approccio wagneriano al rock’n’roll, piccole sinfonie per ragazzini”. Una definizione ancor più accurata viene da Ronnie Spector (nata Veronica Bennett), leader delle Ronettes ed ex moglie del produttore: “Tutto era raddoppiato. Voglio dire che dove si era soliti inserire una chitarra e una batteria, noi ne avevamo due, così come di tutto il resto, e questo è ciò che ha creato il wall of sound”. Più tecnicamente parlando, a Spector è riconosciuta la visione di uno studio di registrazione come momento creativo del prodotto musicale, e non mero luogo di registrazione. 

Sempre restando alla musica. È quel muro del suono, già applicato ad Ike & Tina Turner, a portarlo nell’orbita dei Beatles, per l’ultimo atto ‘Let It Be’ (1970). Come co-produttore, Spector comparirà anche nel George Harrison solista di ‘All Things Must Pass’ (1970) e nel Lennon solista di ‘Imagine’ (1971), e in altri album degli ex Beatles (vedi sotto, nella sezione ‘armi da fuoco’), come il Grammy Award per l’album dell’anno ‘The Concert for Bangladesh’ (1973), triplo album live.

‘Credo di avere ucciso qualcuno’

Non più restando alla musica. Nota più come protagonista de ‘La regina dei barbari’ che per i ruoli da comparsa in ‘Scarface’ di Brian De Palma e ‘Fuori di testa’ (‘Fast Times at Ridgemont High’, sorta di cinepanettone statunitense dei teenage years), lontana dal set da tempo, ridimensionata a responsabile dell’area Vip della House of Blues, la 40enne Lana Clarkson incontra Phil Spector nello storico locale di Los Angeles il 3 febbraio del 2003; prima che il boss della casa del blues le raccomandi di trattarlo coi guanti, l’ex attrice scambia il produttore – dal look non meno eccentrico del solito – per una donna; poi acconsente ad essere accompagnata per un drink della mezzanotte nella di lui reggia, una villa da 33 stanze soprannominata ‘Il castello sui Pirenei di Phil Spector’’, dove – due ore più tardi – verrà trovata cadavere, seduta su una specie di trono Luigi XIV, con la pistola tra i piedi. “Credo di avere ucciso qualcuno”, biascica Spector al suo autista Adriano de Souza, studente brasiliano dalla testimonianza fondamentale al lungo processo conclusosi nel maggio del 2009 con una condanna per omicidio di secondo grado a 19 anni di detenzione, al termine di un processo durante il quale Spector aveva parlato di “suicidio accidentale”, spiegando che il proiettile era partito mentre l’attrice “stava baciando la pistola”.

Era andata meglio alla sopraccitata Ronnie Spector, obbligata a sfornare figli così da non potersi più allontanare da casa, privata delle scarpe per non uscire da sola o, al massimo, obbligata a guidare l’auto con un manichino delle fattezze del marito sul sedile del passeggero. Nella sua autobiografia, ‘Be My Baby: How I Survived Mascara, Miniskirts and Madness’, l’ex signora Spector racconta della bara dorata con coperchio trasparente fatta allestire in cantina a monito di un eventuale fuga extraconiugale, e del killer assoldato per dare un senso al feretro. Oltre alla pistola puntata alla tempia per chiarire che non avrebbe mai dovuto chiedere la custodia dei molti figli.

‘Se vuoi uccidermi ok, ma lascia stare le orecchie, con quelle ci lavoro’

Pistola che per Spector era una compagna di lavoro, e non si tratta di gossip. Molto prima di produrre una parte di ‘Silence Is Easy’ (2003), secondo album dei britannici Starsailor e ultima volta in cui il produttore toccò un banco suoni, non prima di licenziare il batterista che non gli andava a genio, Phil Spector puntò una pistola alla tempia anche a John Lennon: “Ok Phil, se vuoi uccidermi fai pure – gli rispose l’ex Beatle nel 1975, durante le session di ‘Rock’n’Roll’ - ma non rovinarmi le orecchie: con quelle ci lavoro”.

Tre anni più tardi, per ‘Death Of A Ladies’ Man’, che la critica considera il flop iperprodotto da Spector) di Leonard Cohen, il produttore armato e il poeta canadese si chiudono in studio per sfornare dodici brani co-firmati. “Scivolavi sui proiettili e dentro agli hamburger mordevi le pistole”, sintetizza Cohen, impossibilitato ad assistere al missaggio della propria opera, invitato (con una pistola) a girare alla larga. L’anno, dopo, 1979, durante le session di ‘End Of The Century’, Spector puntò una pistola anche ai Ramones. L’ok all’esecuzione di ‘Baby, I Love You’, cover del brano delle sue Ronettes, si dice sia stato dato dalla band sotto minaccia (“Mi puntò l’arma dritta al cuore e ci portò nella stanza del pianoforte dove la suonò fino alle 4.30 del mattino”, dichiarò Dee Dee Ramone). Col produttore già a processo per la morte di Clarkson, Debbie Harry, leader dei Blondie, tira fuori ricordi di gioventù: «Mi invitò a casa sua per discutere di una collaborazione e fece la cosa che mi dissero faceva sempre: tirò fuori una pistola e me la infilò in uno stivale, dicendo ‘Bang!’”. Chris Stein, chitarrista dei Blondie, confermava: “Ci aprì la porta con del cibo dietetico in una mano e una 45 nell’altra. Per me era un pazzo”. Stein non ci era andato troppo lontano. “Direi che probabilmente sono pazzo, in una certa misura”, aveva dichiarato Spector al Telegraph a poche settimane dall’uccisione di Lana Clarkson: “Ho i diavoli dentro che mi combattono”.


'Ho i diavoli dentro che mi combattono' (Keystone)

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