laR+ Innocenti evasioni

Accade sempre prima a Hollywood (Hill)

Senza scomodare Jules Verne, da Hill Valley a Washington il cinema ci ha visto lungo. Nel bene e anche nel male (visioni, preveggenze, prese di posizione).

Ora è più chiaro?
9 gennaio 2021
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Conoscete la storia di Biff Tannen? Nel 1985 diventò uno degli uomini più ricchi d’America azzeccando una serie spaventosa di vincite al gioco, scommettendo cifre sempre più grosse sui principali avvenimenti sportivi della nazione. E prendendoci sempre. Lo smisurato quantitativo di denaro accumulato grazie al gioco d’azzardo gli consentì, da modesto tuttofare qual’era in origine, di trasformare la sua città natale in una specie di Las Vegas poco elegante (e già Las Vegas è poco elegante di suo), retta da un'unica legge: la legalità del gioco d’azzardo. Fu così che la città natale di Tannen venne soprannominata ‘La capitale del vizio’, controllata dallo stesso Tannen dall’attico della sua Tannen Tower (che in verità si chiamava ‘Pleasure Paradise’, ma per questioni di opportunismo giornalistico la chiameremo così). La Tannen Tower, è importante saperlo, fu costruita dopo avere raso al suolo il tribunale cittadino perché, in effetti, a che serve un tribunale cittadino se in città comanda una persona sola?.

Preveggenze

Biff Tannen non era nato ricco come Donald Trump ma, senza mandare in bancarotta catene di hotel, aveva fatto altrettanto grazie a un più moderato escamotage, rispettoso delle minoranze etniche, della dignità femminile e del movimento LGBT: per motivi spazio-temporali che non staremo qui a spiegare per intero, Biff venne in possesso (da sé stesso, si sorvoli anche su questo aspetto) di un almanacco sportivo riportante tutti i risultati delle competizioni svoltesi tra il lontano 1950 e l’anno Duemila, cioè quindici anni dopo (si aprirebbe qui un discorso prettamente scientifico sul 1985 alternativo creato involontariamente da Biff Tannen, ma le questioni scientifiche su questo giornale le segue Ivo Silvestro). Per la cronaca, quella città messa a ferro e fuoco da orde d’impresentabili che si scannavano ai piedi dell’hotel-casinò di Tannen si chiamava Hill Valley (se la si cerca su Google Map è impossibile da trovare. E non è un complotto della Cia). Tutto questo per dire che le scene di Washington di qualche giorno fa – che si parli di Capitol o di Valley, sempre di Hill si tratta – hanno un ulteriore e questa volta definitivo corrispettivo nella cinematografia leggera. Perché nel novembre del 2016, mentre Donald Trump, davanti al mondo incredulo, ringraziava i sudditi dal palco dell’Hilton Midtown Hotel di New York dopo avere screditato la categoria dei sondaggisti nello stesso modo in cui il 2020 ha screditato la categoria degli astrologi (eppure Paolo Fox ha scritto ‘L’oroscopo 2021’), mentre tutto questo accadeva, gli appassionati di ‘Ritorno al futuro’ si spendevano nell’attribuire al regista Robert Zemeckis e al co-sceneggiatore Bob Gale doti di preveggenza più cristalline di quelle di Paolo Fox. Biff Tannen come Donald Trump, ognuno nella propria torre. E quattro anni più tardi, a sancire la preveggenza, gli impresentabili a scannarsi nelle strade di Washington come in quelle di Hill Valley.

Insomma. Detto che anche Matt Groening coi Simpson ci aveva preso – in queste ore è virale la pacifica comunità di Springfield calata in diversi episodi di guerriglia urbana, con Donald Trump sullo sfondo – e detto che gli impresentabili di Washington sono peggio di quelli di Hill Valley (perché sono veri), la profezia di Zemeckis e Gale presa nel suo complesso è l’ennesima dimostrazione della teoria di Jules Verne secondo la quale tutto ciò che un uomo è in grado di concepire, altri uomini saranno in grado di realizzare. Vale anche sostituendo ‘un uomo’ con ‘la fantascienza’ oppure con ‘Ritorno al futuro’. E anche con ‘The Purge’ (La notte del giudizio), film di James DeMonaco in cui, nel consueto futuro distopico che va sempre più somigliando al nostro quotidiano, per mantenere i tassi di criminalità e disoccupazione contenuti il governo autorizza ‘Lo sfogo’, dodici ore notturne in cui tutto diventa legale come a Washington, Springfield e Hill Valley, incluso l’omicidio, e uomini e donne armati di ogni arma si riversano per le strade vestiti come Jake lo sciamano di Capitol Hill e altra sartoria da combattimento. D’altra parte, è Hollywood, dove tutto è possibile; dove “puoi venire da quasiasi posto, non hai bisogno di un diploma” (Quentin Tarantino). E da Hollywood, sempre in queste ore, parlano, scrivono, twittano, selfano (da ‘selfie’), videano (da ‘video’) le stelle più luminose e politicamente impegnate.

Wo-wo-wi-wuo-wa!

Spiluccando qua e là in Rete. Per George Clooney, Donald Trump è finito nella “pattumiera della storia”. Tra i divi di Hollywood più impegnati politicamente – George non ha una stella sulla Walk of Fame “perché ti chiedono soldi” (a Fabio Fazio nel presentare ‘The Midnight Sky’) – l’ex infermiere di pronto soccorso definisce "devastante" vedere “la casa del popolo profanata in questo modo”. Dice bene Mark Ruffalo (‘The Avengers’, ‘Il caso Spotlight’), dal cognome che tradisce la razza non ariana: “Fossimo stati noi, disarmati, al loro posto, il sangue sarebbe scorso a fiumi”. Invitando il Congresso a portare via la spazzatura al 1600 Pennsylvania Ave (con il presidente diventato un sacco), Michael Moore – ‘Fahrenheit 911’, ma soprattutto ‘Bowling a Columbine’, saggio visivo da Oscar sul potere della comunicazione – parla di “attacco terroristico", di "migliaia di reati commessi, praticamente senza arresti”. Chiede la rimozione di Trump per evitare "che questi 13 giorni” siano “pieni di violenza e paura”.

Tra James Mangold, regista di ‘The Wolverine’, che chiede ai colleghi di boicottare la Fox, e Stevie Wonder che invoca l’applicazione del 25esimo emendamento per “questo narcisista presidente di una nazione che ha ispirato le mie canzoni di speranza e amore”, Sacha Baron Cohen dichiara a Variety che lo ‘Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan‘ del giornalista Borat Margaret Sagdiyev si è conclusa. “L’ho ritirato fuori – Borat – per Trump, non vedo il motivo per tornare a indossare i suoi panni in futuro”, dichiara l'attore. Accompagnando il suo cinguettio con l’immagine del confederato imbandierato che attraversa le sacre stanze, lo scorso 6 gennaio Borat twittava, con hollywoodiana preveggenza: “Hey Mark Zuckerberg, è abbastanza per voi perché facciate qualcosa?”.


Incrocio pericoloso (Keystone)

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